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boîte Anno 6 Numero 14 primavera 2015



La libertà dell’irrazionalità

Giulia Brivio



Scatola d'arte, di studi , d'idee e di altri pensieri


SOMMARIO Boîte #14

tutta l’arte è stata contemporanea
Giulia Brivio / La libertà dell’irrazionalità

testimoni oculisti
Federica Boràgina / Il sogno di Davide
Chiara Camoni e Federica Boràgina / Chiara, Ines e il caso

camera con vista
Alessandro Roma / Dissimularsi

amarcord
Elio Grazioli / Con Andrighetto
Magiciens de la Terre
Bianca Trevisan / Bruno Munari. L’arte e il caso

biblioteca universale
Dell’imprevedibile

idee con intorno una linea
Arianna Vairo / Senza titolo

locanda dei forestieri
Patrizio Peterlini / Piccola divagazione su Fluxus e la sua eredità
cesta dei granchi
Elvira Vannini / Revisiting Exhibitions. “Il luogo dove la nostra fronte sfiora il cielo”

inventario privato
Federica Boràgina / Toti Scialoja. La strada bianca
aspettando godot
Fulvio Ravagnani / Esercizi di illuminazione per un corpo in scena
boîte en rêves
Jackson Mac Low e La Monte Young, An anthology, 1961-63
Guilherme Gerais, Intergalàtico, 2014
prendi cura di te stesso
Antonella Scaramuzzino / La tua porzione di stelle: Maria Mulas


Gianluca Codeghini per Boîte: Everything begins and ends on the tips of the fingers
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

La tua porzione di stelle
Antonella Scaramuzzino
n. 13 autunno 2014

Piero Manzoni in-finito
Gaspare Luigi Marcone
n. 12 primavera 2014

Brusii
Richard Sympson e Federica Boràgina
n. 11 estate 2013

Non ho mai pensato alla Narrative art…
Anna Valeria Borsari
n. 10 inverno 2012

Un uovo fritto? No, grazie
Giorgio Bonomi
n. 9 primavera 2012

L’album da viaggio di Marcel Duchamp
Carla Subrizi
n. 8 primavera 2011


Em’kal Eyongakpa, veduta dello studio d’artista, Rijksakademie Amsterdam 2014

Nella storia dell’arte contemporanea come sono concepiti e percepiti il caso, la serendipità, l’epifania, l’irrazionalità, l’affiorare dell’inconscio e il sogno? Il caso può intervenire in diversi momenti, vogliamo darci una regola, solo una, ed è quella di ristringerlo al momento dell’ideazione dell’opera e del processo creativo dell’artista.
Se volessimo trovare un’origine dell’ispirazione e creazione artistica “libera” e sopraffatta dall’irrazionalità e dall’emotività dovremmo pensare al Romanticismo, alle passeggiate nella natura di Jean-Jacques Rousseau, alla deriva nomade, la Wanderung dei romantici tedeschi, alla trascendenza, alla rêverie.
Il vagare senza i freni della ragione, l’ebbrezza di abbandonarsi al sogno a occhi aperti, alla contemplazione, affinché lo spirito dell’uomo trovi sollievo e la sua creazione artistica sia altrettanto libera e incantata. Nei suoi studi su Rousseau, il critico letterario Marcel Raymond afferma che il verbo rêver (da cui deriva il sostantivo rêverie) probabilmente ha origine dal latino reexvagare, quindi il primo significato sarebbe proprio quello di errare, vagare.

Spostandosi dalla natura alla città, alla fine degli anni Cinquanta, il vagabondare senza meta, lasciandosi andare alla deriva, viene sperimentato dai flâneur del movimento Internazionale Situazionista, anticipati dalle “visite-escursioni” dadaiste e dalle “deambulazioni” surrealiste di una trentina di anni precedenti. L’irrazionalità nella conoscenza e nella rappresentazione della geografia e della realtà urbana è descritta nelle psicogeografie, di cui si parla nel primo numero del bollettino Internazionale Situazionista (1958). Le traiettorie percorse diventano raffigurazioni di città che non esistono, fatte di frecce e linee, nate da incontri fortuiti, dalla serendipità. Sembra una passeggiata con James Joyce, aperta a ogni direzione che le epifanie involontarie del reale vogliono far prendere. La mente, come i piedi, si lascia andare in libere associazioni suscitate da visioni, il flusso di coscienza diventa un romanzo, come le derive
diventano una città, ma forse entrambi non esistono realmente. Guy Debord suggeriva: “Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta...”(1)

Esiste una totale imprevedibilità? Oppure la casualità è sempre preparata e indotta? Esiste nella irrazionalità del sogno, analizzato per scoprire l’autenticità e il funzionamento del pensiero.
Con André Breton e la psicanalisi l’immaginazione affiora in superficie, il sogno è considerato un momento fondamentale dell’esistenza umana, che occupa quasi lo stesso tempo della veglia. Teoria poi ripresa dall’architettura radicale e utopica di Andrea Branzi, che evidenzia l’importanza dell’immaginario onirico nella produzione creativa: “I sogni solidi sono visioni di un presente continuo, profondo,
inesplorato, ma più credibile delle illusioni della sola realtà materiale...”(2) Breton si chiede quale sarà il punto di convivenza, o coincidenza, delle due realtà, quelle del sogno e della veglia, ipotizzando la surrealtà, dove finalmente liberare l’Io inconscio anche nello stato della veglia. Il Surrealismo indaga profondamente le oscurità dell’inconscio: “Surrealismo è automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica e morale”.(3) Ed ecco che compare l’automatismo, una delle chiavi per far affiorare l’inconscio. Aristotele lo chiamava tò autòmato: un fatto che accade per causa di un agente senza capacità di scelta, per impulso, non guidato, accidentale, casuale. Le tecniche surrealiste sono diverse. Salvador Dalì adotta un metodo di conoscenza irrazionale basato sull’interpretazione critica dei fenomeni del delirio, per cui le imma- gini paranoiche che gli appaiono sono organizzate e controllate rigidamente, secondo quella che può essere chiamata una casualità obiettiva.(4) Max Ernst provoca la sua immaginazione e porta alla luce fantascientifici mondi, realtà oniriche ed esseri viventi trasfigurati. Hans Arp realizza collage di frammenti colorati di carta lasciandoli cadere sulla superficie di una tavola, According to the Laws of Chance, criticando l’eccellenza prevedibile della tecnica nell’arte tradizionale.

L’irrazionalità nel sogno diviene condivisione con la collettività nei lavori di Susan Hiller. In The Dream Seminar (1973) i partecipanti si incontrano a cadenza settimanale per raccontarsi e documentare i loro sogni e le interazioni subconscie. In Dream Mapping (1974), invece, sette partecipanti dormono all’aperto, sdraiati in un “cerchio delle fate”, perimetro delimitato da particolari specie di funghi, che secondo la leggenda apre le porte al regno delle fate. Al risveglio registrano i loro sogni con diagrammi, testi e mappe che vengono successivamente sovrapposte tra loro per creare una mappatura dei sogni collettivi.
Insieme alla condivisione del sogno, Hiller si dedica alla scrittura automatica, iniziando con un esperimento di gruppo chiamato Draw Together, inteso per esplorare la nozione di telepatia e trasmissione di idee e immagini. Nella serie Sisters of Menon (1972–9) gli scarabocchi diventano un flusso di parole che l’autrice non percepisce più come sue, sono le voci delle Sisters, un’estensione dell’identi- tà individuale alla collettività. L’inconscio, codificato dal sogno, diven- ta una fonte di conoscenza, diventa una realtà condivisibile.

In Traces (2014), Em’kal Eyongakpa, ar- tista di discendenza sciamanica, lascia liberi i visitatori della mostra di dipingere, scrivere, lasciare un segno su lunghi rotoli di carta bianca appesi alle pareti. Unica guida sono tracce audio prove- nienti dalla stanza accanto, dove una complessa installazione vuole rappresentare un sogno avuto diversi anni prima, attraverso proiezioni di luce, disegni, sculture metalliche, ed echi di diari sonori registrati affidandosi al caso, per strada, nei mercati, tra le scogliere.
Sciamanesimo e ritualità possono sti- molare l’inconscio espresso nel gesto pittorico o performativo. Nella cultura statunitense che tende a recuperare il legame con gli antenati indiani e a studiare la pratica sciamanica, può diventare un punto di partenza per l’affermazione dell’identità.
Jackson Pollock, tra il 1917 e il 1928, visita alcuni siti archeologici dei nativi americani, frequenta una riserva india- na ed è testimone di riti tribali che, in seguito, avranno un’importanza fondamentale nella sua ricerca pittorica lega- ta all’espressionismo astratto.
Negli anni Settanta, Joan Jonas si rifà alle cerimonie Zuñi e Hopi, tribù origina- rie del confine tra Nuovo Messico e Arizona, dove l’artista è cresciuta. I riti avvenivano ai piedi delle colline, in spazi aperti, dove vivevano le tribù, la guida era affidata agli sciamani. Jonas cerca di portare all’interno degli spazi dell’arte l’esperienza rituale open-air degli indiani, utilizzando video, specchi per creare l’illusione della profondità dello spazio, per suggerire il movimento di un viaggio interiore e per renderlo visibile. Nella video- performance Organic Honey’s Visual Telepathy (1972) conserva il misticismo di tali riti, sempre portandoli in spazi circoscritti, in videotrasmissioni a circuito chiuso, dove il suo corpo di performer agisce dal vivo e anche nello schermo tv, cercando nelle forme del rito, attraverso l’utilizzo di maschere e copricapi, una propria identità, non autobiografica ma personale.

Ritorna la domanda se il caso può essere davvero libero. Sicuramente esiste un caso preparato. Il caso scrive una partitura, appoggiandosi a una struttura elettronica che genera casualità. C’è una piattaforma tecnica di partenza, come per la fotografia, ci sono dei media che si preparano ad accogliere il caso. Accade in Variations V (1965) di John Cage, in collaborazione con Merce Cunningham, Barbara Lloyd, David Tudor e Gordon Mumma, una performance la cui partitura è scritta solo a posteriori con metodi casuali, per possibili ripetizioni. Lo spazio della performance si estende sopra una griglia di celle foto-elettriche, ognuna delle quali viene attivata dal movimento del danzatore e produce effetti sonori e luminosi corrispondenti.
Pensando alla fotografia, invece, Vincenzo Agnetti fa cadere dell’acido sulla superficie della carta fotosensibile, da lui scelta e preparata. Lo fa anche Mimmo Jodice per sperimentare nuove forme irreali.
Franco Vaccari lascia che la macchina fotografica ritragga i passanti, nell’Esposizioni in tempo reale n°4, presentata alla Biennale di Venezia del 1972, non può scegliere le pose, i soggetti, le espressioni, tutto è delegato al destino di chi si siederà die- tro alle tendina del gabbiotto per fototessere. “La capacità dell’inconscio tecnologico della macchina di produrre realtà continuamente nuove e imprevedibili...”.(5)
Il caso solleticato dalla tecnologia è quello sfruttato da Gerhard Richter per definire la composizione dei colori delle sue opere, ottenuti grazie a tecniche di estrazione casuale o di calcolo randomico.
Ed è per imprevedibili anomalie che Raphael Hefti ottiene i suoi monocromi, grandi lastre in vetro colorato con tinte e sfumature derivate da errori avvenuti in fase di produzione dell’opera da parte dei vetrai. In entrambi i casi il colore, componente principale del lavoro, non può es- sere scelto, si genera indipendentemente dal volere dell’artista.

Estremo gesto irrazionale e imprevedibili, per la scienza e per l’uomo, è l’autismo. Nel tentativo di non farsi sostenere dalla razionalità, Robert Wilson si lascia guidare dal “linguaggio” di Christopher Knowles, teeneger affetto da autismo, come materiale estetico e di produzione creativa per il suo spettacolo A Letter for Queen Vic- toria (1974). Il testo è illogico, errato, oltre ogni convenzione linguistica. La lunga collaborazione con Knowles permette a Wilson di associare la sua fantasia straordinaria e il suo linguaggio con l’innocenza e la pre-coscienza della mancanza di razionalità.(6)
Forse è la casualità dadaista a essere davvero libera. L’irrazionalità del caso trova sicuramen- te il più celebre esempio in Dada. Tornando indietro alle Avanguardie storiche, a Zurigo, nel 1916, al Café Terasse, Tristan Tzara pronunciò la parola “Dada”, trovata per caso nel dizionario Larousse, perché un tagliacarte finì accidentalmente tra quelle pagine del dizionario.(7)
Il caso diventa uno strumento di rivolta e di negazione della società in primis, ma anche dell’arte, della poesia e della letteratura. La casualità dell’incontro tra parole e immagini è ricercata come antidoto alla ragione, come rifiuto violento della razionalità. La logica è vista come falsità, la verità è da trovare altrove. L’imprevedibile è un incontro o un appuntamento per Marcel Duchamp; è un impulso ma non può completare i suoi lavori, come annotava nel 1913, riguardo al suo esperimento dei 3 Stoppages étalons (3 Rammendi tipo, tre fili lunghi un metro sono buttati a terra e un disegno ottenuto con pezzi di legno ne ricrea la forma): “È stata una grande esperienza. È importante accogliere l’ispirazione casuale - tante delle mie opere organizzatissime hanno preso il via da incontri casuali”.(8)
E nel vagare, liberi dalla razionalità e dalla prevedibilità, si può incappa- re nell’Enigma di Isidore Ducasse (1920), omaggio di Man Ray al poeta Lautréamont, “bello come l’incontro fortuito sopra una tavola di anatomia fra una macchina per cucire e un ombrello”. Si può percepire come l’irrazionalità, il sogno e l’imprevedibile caso possano svelare la realtà e l’autenticità.
Man Ray spiega: “Lautréamont mi interessa perché mi rivelava un mondo nuovo, il mondo che io stavo cercando, un mondo di libertà completa. Non si è mai proposto di registrar i sogni ma di tradurli in realtà, in questo cerca di fare il mio lavoro, a differenza dell’artigiano, cercando di essere il più libero possibile, nessuno può dettare norme o guidarlo... Le strade sono piene di meravigliosi artigiani, ma sono così pochi i sognatori pratici.”(9)


Note
(1) G. Debord, “Théorie de la derive”, in Les Lèvres nues, n. 9, novembre 1956, Bruxelles; trad.it. Internazionale Situazionista, Nautilus, Torino.
(2) Intervista ad A. Branzi in occasione della mostra Heretical Design, Museo MARCA, Catanzaro, 23 dicembre 2014 - 29 marzo 2015.
(3) M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2003, p. 181.
(4) M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, cit., p. 189
(5) R. Valtorta, Volti della fotografia, Skira, Milano 2005, p. 46.
(6) R. L. Goldberg, Performance Art. From Futurism to the Present, Thames & Hudson, London 2001, p. 187.
(7) M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, cit., p. 153.
(8) B. Fässler, “L’azzardo addomesticato”, www.undo.net/it/argomenti/1390583510
(9) A. Schwarz, Man Ray, coll. Dossier d’Art, Giunti Editore, Milano 1998. p.13.