Virus (1994 - 1998) Anno Numero 10 gennaio 1997
Lea Vergine é stata uno dei primi critici ad occuparsi della Body Art, pubblicando, nel 1974, Il corpo come linguaggio, il libro che ha creato uno 'scandalo' simile a quello delle opere che analizzava. Collaboratore sin dal 1973 di quotidiani come Il manifesto, ha organizzato numerose
mostre e pubblicato vari libri sull'arte contemporanea. Nel 1996 ha organizzato alla Galleria d'Arte Moderna di Torino il convegno La scena del rischio, e pubblicato il volume Arte in trincea, per Skira editore.
Fam: In un recente saggio Jean Baudrillard scrive: "Se nella pornografia si é persa l'illusione del desiderio, nell'arte contemporanea si é perso il desiderio dell'illusione..."
Lea Vergine: E' giusto, nei confronti della vita contemporanea si é persa la necessità e il piacere dell'illusione. Sappiamo che di illusioni si vive, di delusioni si decede: oggi c'é una corsa masochista, sadomaso, verso la grande estinzione dell'illusione, una pulsione, direbbero i freudiani, autopunitiva...
Fam: Continua Baudrillard: L'arte che rappresenta la propria sparizione e quella del suo oggetto, era ancora una grande opera. Ma l'arte che gioca a riciclarsi indefinitamente facendo man bassa della realtà? Ora la maggior parte dell'arte contemporanea si dedica proprio a questo: ad appropriarsi della banalità, dello scarto, della mediocrità come valore e come ideologia. In queste innumerevoli installazioni, performance, non c'é che un gioco al compromesso con l'attualità, e allo stesso tempo con tutte le forme passate della storia del'arte. Una diciarazione di inoriginalità, di banalità, di nullità, trasformata in valore, ossia in godimento estetico perverso.
LV: Baudrillard dice cose giuste, ma fa quei discorsi a margine dell'arte, che fanno sempre i filosofi, i letterati, i sociologi, che hanno consumato l'arte con una serie infinita di aspettative, che forse non erano tutte giuste, e non facendo mai tabula rasa di quelli che sono i "pre-giudizi" della loro formazione teorica specifica. I loro discorsi somigliano spesso ai discorsi fatti dalle persone molto colte ma di buon senso. Di fronte all'arte se non ci si pone in una condizione di disponibilità emotiva, oltre che intellettuale, non si riesce a cogliere il 'momento magico' quando passa, o l'emozione, quando si dà. Baudrillard ha ragione di fondo, però ha questa sorta di disfattismo di "sinistra", un disfattismo cartesiano. Forse il suo discorso oggi è anche un pò vecchio, si riferisce a quello che accadeva circa dieci anni fa, quando tutti erano preoccupati di dire la loro sul Post-moderno, e oggi, che si pongono queste questioni, gli "avvenimenti" sono già altrove.
Fam: Insisto con Baudrillard, il quale scrive nello stesso saggio: "Avendo perso il desiderio dell'illusione a favore di un innalzamento di tutte le cose alla banalità estetica é diventata transestetica.(...) E si chiede: "Ma che cosa può ancora significare l'arte in un mondo iperrealista d'avanzo, cool, trasparente, pubblicitario? ", nella frase citata prima parlava di utilizzo dello scarto, qui parla di avanzo. Lei stà preparando una mostra per il museo di Trento, proprio sull'utilizzo del residuo, dello scarto, sul 'rifiuto', sull'avanzo. Questo utilizzo come lo vede lei, come la capacità dell'arte di trasformazione o come attenzione proprio al detrito del mondo contemporaneo?
LV: L'unica ragione per fare una mostra é proprio porsi delle domande e andarle a verificare. Penso che l'uso dell'oggetto di scarto, destinato all'immondizia conservi come un rapporto di
affezione, inteso nel senso della malattia ma anche nel senso dell'affetto, con un oggetto, una entità, che é comunque traccia, traccia di storia, di energia individuale, di emozioni vissute.
Fam: Come sarà strutturata la mostra? So che si snoda lungo tutto il XX secolo, che differenze ci sono, in un tempo così lungo, nell'uso, da parte dell'arte, del rifiuto?
LV: Da Schwitters a Picasso, a Tatlin, gli artisti avevano la necessità di dimostrare che con l'oggetto da immondizia, si poteva dipingere o scolpire, esattamente con gli stessi risultati formali che con il bronzo, il marmo, il colore, eccetera. Nei primi decenni del secolo, l'arte ha necessità di creare scandalo, di ribellarsi a quello che avveniva,... tutte le Avanguardie hanno sempre contraddetto quanto avvenuto prima, con l'intenzione di portare il nuovo verbo, il nuovo.Questa la prima sezione. Nella seconda ci sono le opere del Dopoguerra, degli anni Cinquanta/Sessanta, in cui gli artisti ritornano ad adoperare questi materiali, ma già con un altro intendimento, che é più critico, sociale, 'politico'. Terza sezione, l'oggi: molto meno ironia, più tragicità,...Ho la sensazione che chi fa oggi questo lavoro, esercita, come dire, una
sorta di esorcizzazione contro la grande paura collettiva.
Fam: Nella sua teorizzazione sulla Body Art, degli anni Settanta, di cui é stata teorico e 'testimone', lei parla del 'rimettersi al mondo' di questi artisti, una nascita seconda, scelta e presentata al pubblico attraverso il proprio corpo. Oggi c'é un nucleo dell'arte, straordinariamente interessante che si occupa del corpo e delle sue relazioni con la tecnologia. Trova continuità tra i due momenti o una estrema diversità.
LV: E' innegabile che ci sia in comune questa vocazione, questo tropismo per l'esagerazione, per l'estremo, per la condizione che va al di là di quello che si immagina essere il possibile, e che ci sia in queste persone, una patologia di fondo notevolissima, probabilmente in altri tempi avrebbero fatto i mistici, i santi,...Lei pensi agli stessi dervisci, i dervisci cosa fanno? Con la loro insistita, esagerata, esasperata, ossessiva, danza, praticano questa stessa automantica, come diceva Socrate, cioè un rimettersi al mondo di nuovo. Mi sembra evidente una certa relazione tra il 'corpo' della Body Art e i corpi degli artisti a cui lei si riferisce, anche se il fenomeno corpo ed estensione del corpo ha radici lontane, agli inizi del secolo, ma ancora più in
là...pensi agli sciamani, ai guru, ai bonzi...Certo l'elemento nuovo é l'impiego di tecnologie super-sofisticate. Ma penso che, la Body di venti anni fa e la Body di adesso, sono delle richieste d'amore di persone disperate...L'uomo da millenni sa che il vero problema, la vera difficoltà è riuscire a vivere con gli altri, e, vivendo con gli altri, dover rassegnarsi a vivere senza gli altri. Tutti i problemi derivano da questo, e non dal fatto come diceva Pascal dal vivere chiusi nella propria stanza, dal fatto che non si è mai, mai, amati abbastanza.
Fam: Il ritorno al corpo è un fenomeno recente...
LV: Dopo gli anni Ottanta, che hanno fatto terra bruciata di tutta una serie di tematiche, anni in cui si è praticata una sorta di autoterapia dell'arte...Ci sono momenti in cui l'arte ha bisogno di autoassistersi, con risultati certamente non brillanti, perchè sappiamo che le cose straordinarie avvengono nei momenti in cui gli artisti si espongono al rischio e all'avventura in maniera estrema.
Fam: E' possibile leggere questo 'ritorno' al corpo, da parte dell'arte, come una risposta alla smaterializzazione del corpo nelle reti telematiche?
LV: Certo, é possibile, anche perché di fatto quello che accade nella vita quotidiana é comunicare attraverso strumenti, e sempre meno incontrandosi 'di persona'. La gente non si incontra più, é come vivere in una dimensione di suicidati della società...E l'arte pone attenzione sul corpo, un modo per dire: "guardami, sono qui...e stò soffrendo...", un pò il discorso che fanno i bambini per chiedere attenzione, o il discorso che facevano i "santi"...Una
sorta di 'esibizionismo' che ci costringe a guardare l'altro. Una pretesa più che naturale! L'arte ha posto da sembre delle domande, l'arte non é mai stata consolazione, anzi, é sempre stata un pugno nello stomaco.
Fam: Non pensa che la grandezza dell'arte sia, anche, la consapevolezza estrema dell'impossibilità del linguaggio di rappresentare il mondo?
LV: Si, e che apra tutta una serie di riflessione sulla comunicazione, sulle specificità, sugli specialismi. Sull'inutilità delle separazioni. Come si fà, per esempio, ad amare il cinema di Kurosawa e non capire Fontana? C'é qualcosa che non và...E questo lo vede anche socialmente, in politica, questa fuga dalle relazioni, dai rapporti, dagli intrecci tra i linguaggi...Da quando l'arte é diventata meno utilizzabile socialmente, dalla fine dell'Ottocento, ad alcuni sembra anche inutile. Anche se l'arte continua ad esprimere questa impossibilità, pur nella disperata voglia di cambiare lo stato delle cose.