Virus (1994 - 1998) Anno Numero 2 febbraio '98
Lois Keidan è la direttrice del dipartimento LIVE ART dell'ICA (Institure Contemporary Art) di Londra, uno dei più interessenti luoghi di sperimentazione artistica internazionale. Originale,
coraggiosa, ribelle, è proprio grazie al suo impegno e alle sue scelte, che si è potuta evidenziare
l'importanza di una generazione di artisti contemporanei che agiscono le nuove modificazioni
del corpo, e che hanno introdotto un nuovo tipo di performance completamente diversa da quella
della Body Art.
Franko B: Tu dirigi la sezione LIVE ART dell'ICA di Londra. Cosa facevi prima?
Lois Keidan: Sono stata dall'87 al '90 coordinatrice del Dipartimento Teatrale dell'Institute Contemporary Art (ICA), e mi sono avvicinata molto durante questo periodo alle pratiche performative dell'arte. Ho lavorato al ART HAUSE COUNCIL, e anche lì ho sperimentato nuove possibilità della performance. E poi sono tornata all'ICA come direttore della LIVE ART. In
realtà sono almeno dieci anni che lavoro nell'ambito della performance sperimentale.
Come è stata la tua esperienza come direttore della Live Art?
Una esperienza preziosa per sperimentare quella performance definita ad 'Alto Rischio'. Ho avuto la possibilità di definire un ambito di sperimentazione artistica che difficilmente era possibile vedere, producendo alcune performance, creando relazioni con i media dell'informazione e trovando un pubblico per 'operazioni' che abitualmente non lo avevano. E' stato difficile trovare finanziatori per questo tipo di arte, ma questo era uno degli obiettivi del mio programma, e devo dire che, anche se con difficoltà, siamo riusciti a produrre performance veramente straordinarie.
Come definiresti la Live Art?
La LIVE ART definisce una serie di convenzioni. Possiamo definire questo tipo di arte come un
diretto discendente della PERFORMANCE ART ma è anche un ibrido delle arti plastiche, delle
installazioni, del teatro sperimentale e un'evoluzione nel linguaggio dei media elettronici. E' un insieme di forme, idee e contesti, uno spazio in movimento, sempre in evoluzione, per esperienze intense e momentanee, che raggiungono anche una generazione diversa e in crescita saturata da una informazione omogeneizzata, dall'immaginario di fine del Ventesimo Secolo, e alla ricerca di altri mezzi di espressione creativa e di metodi alternativi per trattare i rischi emozionali e intellettuali. L'arena globale culturale si è aperta nelle ultime decadi in modi eccitanti ed eclettici , nel momento in cui gli artisti hanno trovato nuovi modi per rappresentare e rispondere alle incertezze e ai cambiamenti del nostro tempo. Gli anni Novanta, in particolare, sono stati testimoni dell'emergere di nuove significative idee nelle pratiche dal vivo che stanno aiutando a definire un nuovo tipo di lavori culturali - nuove idee che stanno sfidando la natura e il ruolo della performance contemporanea e mettendo in discussione i modi usuali di leggere il mondo. E' caratteristica di molti degli artisti di questi ultimi anni la contaminazione tra linguaggi, teatro, installazione, cinema, musica, arte visiva, danza, culture popolari, e proprio questa contaminazione ha permesso la possibilità di nuove forme d'arte basate proprio sul tempo in cui viviamo e non limitate dalla tradizione e dalle convenzioni.
C'è quindi una grande differenza tra la Body Art e la performance contemporanea?
Non si può quasi fare un confronto, anche se è molto comodo per molti dire che è la performance
contemporanea è simile alla Body Art. E' completamente mutato e rivoluzionato il concetto di corpo. Dal momento in cui la scienza è riuscita a portare il corpo in un'altra dimensione, da quando il body piercing e il tatuaggio sono diventati accessori rigorosamente di moda, da quando
l'ortodossia delle religioni occidentali ha perso il suo ruolo e la sua rilevanza, da quando le nuove tecnologie hanno rivoluzionato le nostre relazioni interpersonali, da quando i media dell'informazione hanno sostituito selvaggiamente i luoghi della spiritualità, e da quando gli individui hanno intrapreso una ricerca personale di rituali contemporanei, le domande sul corpo nella società e sulla società nel corpo hanno acquisito urgenza e potenza. La LIVE ART è tutt'ora l'unica che possa porre correttamente queste domande e provare a dare delle risposte. Non c'è dubbio che questa è una zona pericolosa, sebbene eccitante ed influente. In questo periodo di estreme divisioni fra le correnti conservatrici e quelle radicali, il pericolo è che moltissimi artisti rischiano di passare come 'stravaganti' che stanno giocando con il fuoco. Fuori dal loro contesto, il teatro rituale di dolore e di erotismo di Ron Athey, le tue immagini dure del corpo e del sangue, la chirurgia plastica di Orlan, i test di resistenza fisica ed emotiva di Stelarc e il sesso come pratica sacrale di Annie Sprinkle, corrono il rischio di essere 'isolate' ed 'identificate' come oscenità e stranezza dalle correnti culturali dominanti ed essere preda della censura.
Sei soddisfatta dei risultati che stai ottenendo con il tuo lavoro?
Molto, sono consapevole anche dei rischi di una produzione come quella della Live Art. Centri
come l'ICA abitualmente finanziano mostre ed eventi di arte visiva più 'canoniche' e mi rendo
conto che, ancora oggi, il lavoro di Ron Athey, il tuo o quello di Annie Sprinlkle, possano apparire 'strani' o 'estremi'. Ma sono altrettanto convinta che il concetto di arte stà cambiando, e proprio questo tipo di performance traccia una direzione ed una possibilità preziosa. Gli ultimi anni proprio con la Live Art , l'Inghilterra è diventata un punto di riferimento importante per la performance, soprattutto evidenziando la differenza con la performance degli anni '60. E' stata particolarmente importante la presenza del
pubblico che ha partecipato numeroso alle performance. I termini usati dai media sono stati
forti: 'oltraggiose', 'alto rischio', 'cruente', soprattutto per azioni in cui il sangue, il sesso, la religione, erano protagonisti. Ma il pubblico ha capito e partecipato. E' questo è ciò che per me ha contato molto, la gente ha voglia di vedere e partecipare a forme d'arte che ci coinvolgono emotivamente. Non c'è distacco ma partecipazione. Questo mi interessa molto. Così
come è stato importante, per me, presentare il lavoro delle nuove generazioni Latino-Americane e
Cinesi, due altri eventi che mi hanno molto coinvolta.
Come si pone l'ICA nei confronti degli artisti?
E' un ruolo molto difficile quello dell'ICA, è come disfare le valigie ogni giorno... E' una posizione che quotidianamente viene messa in discussione, è molto difficile riuscire a lavorare con gli artisti senza che l'ente modifichi o riduca il loro potenziale creativo, riuscendo a fare in modo che il loro lavoro sia presentato al massimo e riuscendo a creare anche un adeguato dibattito critico.
Io credo che il mio lavoro sia conosciuto proprio grazie al lavoro che tu sei riuscita a fare con la Live Art. E sono sicuro che hai dovuto faticare molto per ottenere i tuoi spazi all'interno dell'ICA. Quali sono le differenze ideologiche tra te e i tuoi 'capi'?
NO COMMENT. Penso che non sia carino parlare di queste cose ma ci sono delle differenze nel modo di considerare il nostro ruolo. Io mi considero come l'interfaccia tra gli artisti e il pubblico e cerco di dare il massimo a questi artisti e a questo pubblico.
In questo momento a Londra non ci sono spazi indipendenti dove gli artisti possono presentare il loro lavoro. Ci sono invece molti club, come il 'Torture Garden' , dove gli artisti possono esibirsi, anche se spesso viene richiesto di modificare il proprio lavoro per adeguarsi alla 'filosofia' del club.
Si, bisogna riconoscere che le performance che hanno luogo in questi club snaturano molto il senso del lavoro degli artisti, quello di cui sono veramente preoccupata è l'enfasi sul prodotto mentre quello che sottolineiamo noi è l'enfasi sull'idea. Spesso in questi club si punta sull'effetto della performance, senza distinguere la performance degli artisti dalle 'attrazioni' tipiche dei club, e sopratutto, non c'è mai informazione per il pubblico, che in questi posti può vedere veramente di tutto.
Sei ottimista sul futuro degli artisti che hai promosso nel Live Art?
No, francamente sono molto pessimista... Intanto perchè il mondo 'ufficiale' del sistema dell'arte, non è interessato ad informare il pubblico su queste performance, che ritengo siano veramente l'arte di questo tempo. Poi anche la critica è ostile, difende e propone la solita 'minestra già riscaldata', e lo stesso vale per i giornali e le riviste d'arte. E poi ritengo che in questo senso anche il lavoro dei club sia dannoso, perchè gioca sul sensazionalismo. Mi piacerebbe invece che di questo tipo di arte si discutesse proprio sulle riviste specializzate e che fosse possibile vederle nelle gallerie e nei musei... Molto spesso accade che alcune delle idee di queste performance vengono utilizzate da artisti che lavorano per gallerie d'arte, senza che però vengano mai citati né gli artisti né le performance da cui il lavoro proviene. E' questo il caso, ad esempio, di Connie Parker che ha utilizzato delle intuizioni di Tilda Swanson...Sono però ottimista per il fatto che invece altri mezzi di comunicazione, stanno prendendo in considerazione e amplificando il linguaggio dell'arte performativa. Per fortuna le riviste d'arte non sono l'informazione, e spero che prima o poi se ne rendano conto. Finché operano censure che riguardano proprio le innovazioni dei linguaggi in arte, sono destinate ad essere strumenti marginali che soddisfano solo galleristi e collezionisti che scelgono il già assodato.
Pensi dunque che quest'arte abbia il destino di restare nell'underground?
Credo proprio di no, il pubblico giovane è entusiasta di questo tipo di arte, e comunque ritengo che ci sia una grande attenzione su di voi.
Questo tipo di arte incomincia ad influenzare la cultura ufficiale, così come anche la pubblicità e il teatro, l'editoria, ed altro ancora utilizzano immagini che provengono dalle performance. Resta comunque una differenza tra l'arte 'ufficiale' e l'arte performativa, probabilmente dovuta al fatto che non vi 'possano comperare', e per i curatori è molto importante vendere il lavoro degli artisti... A volte penso che i cataloghi siano quasi cataloghi di 'vendita' di opere, e che ancora una volta è il prodotto che venga promosso e non l'idea che li genera. In fondo non c'è molta differenza tra la mentalità dei club e quella dell'arte ufficiale...
A volte sono preoccupato dagli 'opportunisti' che cercano di utilizzare e di modificare il nostro lavoro... Mi chiedo, quanto può essere utile per un artista essere disposto a modificare il proprio lavoro pur di essere accreditato?
Non serve a niente, certo è molto difficile per un artista continuare nella propria ricerca quando il mercato non li sostiene... Forse in questo è stata molto importante la funzione di organismi come l'ICA.