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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 16 Numero 164 febbraio 2001



Il talento e la grazia

Giorgio Soavi



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Donna in piedi (1946). Cortesia ufficio stampa mostra A. Giacometti: le dessin à l'oeuvre al Centre Georges Pompidou.

Tre teste (1962). Cortesia ufficio stampa mostra A. Giacometti: le dessin à l'oeuvre al Centre Georges Pompidou.

Giacometti nel suo atelier di Stampa nel novembre 1963, in una foto di Giorgio Soavi. Cortesia autore.

Il disegno, per Giacometti, era l'atto fondatore della sua stessa scultura; lo strumento mentale più efficace di una ricerca incessante volta a scavare nell'oggetto fino a catturarne l'essenza. Tentativo che l'artista definiva immancabilmente fallito, ma che ai nostri occhi appare come un miracoloso labirinto di linee nervose e contorte, incerte tra la distruzione del pieno e la costruzione del vuoto.

Mi sembra di ricordare perfettamente bene la mia faccia tosta quando, dopo aver guardato una sua scultura, dissi a Giacometti che a me piacevano i suoi disegni.
"E i quadri?", chiese Alberto.
"Oh, certo. Non dimentico i quadri. Ma i tuoi quadri sono sempre dei disegni. C'è il quadro, ma tutto l'insieme, la traccia, sta nel disegno. Non so se mi sono spiegato".
"Ti sei spiegato benissimo, ma non capisco perché resti abbastanza assente di fronte alle mie sculture".
Risposi che non c'era un perché. Ma restava quell'idea, per me ben fissa nella testa, che il suo modo di disegnare fosse unico. Tanto è vero che in molti gli sono andati dietro. Come Cartier Bresson, che sa disegnare e forse vede l'aria sui fogli, come la vedeva Giacometti. E Balthus, che non copia minimamente il suo grande amico Alberto Giacometti ma ne tiene conto. E non a caso, nello studio della sua casa svizzera di Rossinière, poco lontano da Gstaad, Balthus tiene appesa una sola fotografia, grande, ben visibile: quella di Alberto Giacometti.
E adesso cosa racconto, di nuovo, sui suoi disegni? E ne sarò capace? Posso dire che la prima, o le prime, cose che ho acquistato di Giacometti sono state tre acqueforti: il ritratto di Rimbaud, e le altre due sono figurine nello spazio. Non avevo denaro e non potevo fare di più: perché un'acquaforte, o una lito, sono pur sempre il ritratto dei suoi disegni. E Alberto difficilmente si muoveva senza carta e matita litografica perché la necessità di disegnare il ritratto dello spazio lo teneva sveglio. L'ho visto lavorare, a Parigi come a Stampa o al ristorante, o quando stava al telefono.


- DISEGNARE L'ARIA

Disegnava l'aria su qualsiasi pezzo di carta, sulle buste delle lettere che gli erano appena arrivate: ma poiché tra le sue dita c'era una matita a mina dura o una biro, quell'aria diventava una stanza, un tavolo, un lume sospeso, la montagna appena sopra il villaggio di Stampa, le mele in un piattino, l'albero e la figura di un uomo che guarda in su - questi disegni dell'uomo che guarda in su sono stati fatti con le matite colorate -, o sua moglie Annette che se ne sta semisdraiata su una brandina.
Il risultato era non tanto la fragilità di quel segno, che spesso era attraversato da altri segni, ma le correnti d'aria che davano all'interno dei suoi fogli la leggerezza più resistente che si fosse mai vista.
Non dimentico che quando Picasso inventava la sua Suite Vollard aveva un segno sottile, perfettamente lineare che andava a chiudersi intorno alla figura, ai capelli, agli occhi, al viso: ma la sottigliezza inventata da Giacometti aveva un altro spessore. Per esempio non era classica, non era greca, come fatalmente Picasso intendeva che fossero le sue acqueforti della Suite Vollard. Giacometti, nei disegni, ha inventato - credo di averlo già detto ma mi ripeto volentieri - i fantasmi più resistenti della storia dell'arte, gli unici fantasmi con i quali possiamo fare conversazione.


- LA RICERCA INFINITA

E la conversazione con Alberto era delle più emozionanti perché Alberto era ingordo di sapere. Era anche ingordo di come fossero l'aria e la luce quando usciva dallo studio e si guardava intorno. Guardava l'aria, ne traeva profitto, infilava nella memoria quei dati, e li teneva stretti perché non si perdessero. I poeti hanno sempre fatto così. Eugenio Montale se non aveva uno spazio libero sul cartoncino dei fiammiferi Minerva era perduto. Come si fa a ricordare se la memoria sta già rincorrendo un'altra cosa? Bisogna sempre scrivere, prendere appunti. Giacometti prendeva appunti che, molto spesso, diventavano delle conversazioni con chi stava disegnando. La memoria faceva conversazione con lui: e lui disegnava, tracciava...
La grazia di un artista ha a che fare con la sua bravura? Può esserle parente?
Me lo chiedo adesso perché mi sono tornati in mente i ritratti che Giacometti ha fatto ai figli di un grande personaggio londinese, sir Robert Sainsbury, un collezionista e appassionato d'arte che si è concesso il lusso di finanziare la costruzione della New Wing della National Gallery di Londra.
Be', sotto uno di quei disegni c'è scritto come dedica, cito a memoria: "Mi dispiace di non aver saputo fare di meglio e sono convinto di aver fallito, ma posso ritentare alla prossima occasione e spero di migliorare: ma in questo momento sono incapace di disegnare" (segue la data del 3 dicembre 1955, e la firma: Alberto Giacometti).
Ecco questa dedica è il lato, il versante della grazia nella quale Giacometti sapeva muoversi. Figuriamoci se quei disegni non erano belli, lo erano; e io li ho visti in casa di Sainsbury, guardandoli con grande attenzione perché tutto quello che è stato disegnato nella testa di quella ragazza Sainsbury è il romanzo dei pensieri che le passano per la testa.


Giorgio Soavi, scrittore, ha pubblicato nel 2000 per Mazzotta Alberto Giacometti. Il sogno di una testa, ora tradotto anche in tedesco.