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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 16 Numero 167 maggio 2001



Hitchcock e l'arte

Dominique Païni

Reminescenze dell'immaginario



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Tippi Hedren fotografata da Philippe Halsman per Gli uccelli (1963). Cortesia ufficio stampa Edizioni Mazzotta.

Le acque profonde (1941), di René Magritte. Cortesia ufficio stampa Edizioni Mazzotta.

James Stewart e Kim Novak in una foto promozionale per La donna che visse due volte (1958). Cortesia ufficio stampa Ediz

Dalle algide protagoniste della Finestra sul cortile e di La donna che visse due volte alle scene oniriche disegnate da Dalí per Io ti salverò, per le immagini che hanno caratterizzato il suo cinema Hitchcock ha attinto costantemente alle forme e alle figure dell'arte figurativa.

Nel periodo più "metafisico" dell'opera di Hitchcock - quello di La donna che visse due volte, alla fine degli anni Cinquanta - i cultori dell'arte nutrivano ancora un tenace disprezzo per questo cineasta dalla figura rotonda e informe, seppure paradossalmente mediatica: un clown più furbo degli altri, un intrattenitore la cui definitiva impurità era assicurata dalla suspence, suo "segno distintivo". Quanto ai cinefili, solo molto recentemente hanno accettato che la storia del cinema potesse essere oggetto di studi e raffronti con la storia dell'arte. Che il cinema, come le altre arti visive, fosse valutato anche secondo principi iconografici, e fosse così dotato di una potenza figurativa, era stato negato. Gli amanti del cinema si guardarono a lungo, gelosamente, da quell'aria di serietà che, ai loro occhi, emanava dai musei, dimore per le "belle" arti. La cinefilia non fu forse quella squisita controcultura che impose, parallelamente ai luoghi ufficiali di diffusione del sapere, una cultura clandestina?
Da una trentina d'anni la sua opera affascina un numero sempre crescente di intellettuali. Filosofi, storici dell'arte e artisti contemporanei hanno attinto nuovi stimoli per i loro lavori, in seno a una creazione la cui apparenza spettacolare non sembrava più contraddire gli apporti della cultura dotta, letteraria e pittorica. I film di Alfred Hitchcock, pur rimanendo indiscutibilmente un piacevole intrattenimento, si sono imposti come i risultati di una concezione del cinema estesa alle altre arti e ai misteri dell'anima. È questo doppio volto a conferire all'opera hitchcockiana quella persistenza romantica, quei modi simbolisti, eredità del XIX secolo mantenute anche nel corso del XX secolo. Folgorazione, ipnosi, cattura dello sguardo: tuttavia senza mai permettere alla ragione di cedere, sia pure in preda allo sgomento e allo smarrimento. Spesso, addirittura, alcuni film appaiono come vere e proprie folgorazioni. Così, dalla filosofia alla psicoanalisi, dal cinema alle arti figurative contemporanee, l'opera hitchcockiana, con il suo universo coerente, ha inciso su una parte considerevole delle idee e dei sogni. "Una decina di migliaia di persone forse non avrà dimenticato le mele di Cézanne, ma saranno un miliardo gli spettatori che ricorderanno l'accendino del Nord Express e, se Alfred Hitchcock è stato l'unico poeta maledetto a raggiungere il successo, è perché è stato il più grande creatore di forme del XX secolo e perché, in fin dei conti, sono le forme a dirci cosa c'è in fondo alle cose; e poi, che cos'è l'arte se non qualcosa attraverso cui le forme diventano stile?" (J.-L. Godard, Histoire(s) du cinéma, Parigi 1998)

Fascino simbolista

L'opera di Hitchcock si è nutrita della cultura figurativa dei secoli precedenti. D'altronde il cineasta era un appassionato di Georges Rouault, Milton Avery, Walter Sickert, Raoul Dufy, Maurice de Vlaminck, Paul Klee e Auguste Rodin. Possedeva diverse opere di questi artisti. Salvador Dalí lavorò per gli scenari onirici di Io ti salverò. I film di Hitchcock si alimentano di numerosi temi iconografici che appartengono al simbolismo e al surrealismo. Per esempio, l'ideale femminile del cineasta di La donna che visse due volte è contraddistinto da complessi riferimenti.
Le attrici scelte da Alfred Hitchcock hanno una somiglianza che "firma" la sua opera con un effetto assai caratteristico. La regolarità dei tratti, la "biondezza", quella "freddezza" divenuta un cliché contraddistinguono la donna hitchcockiana. L'origine di questo ideale è più lontana dei cliché imposti dalle fabbriche di sogni cinematografici; i loro modelli vanno cercati tra le donne distaccate, evanescenti di Dante Gabriel Rossetti o di Julia Margaret Cameron. Le sopravvivenze vittoriane della formazione iniziale del regista in Inghilterra si possono scoprire anche nei suoi ultimi film (Frenzy). Lettore di Edgar Allan Poe, di Oscar Wilde, di Chesterton, il regista di Rebecca, la prima moglie e di La donna che visse due volte ha fatto spesso ricorso a primi piani, veri ritratti, conferendo loro, indipendentemente dal valore pittorico, una posizione centrale ipnotica, se non terrificante. Come dire che la pittura - con i suoi dispositivi di illusione spaziale, le sue preoccupazioni di somiglianza e le sue figurazioni mitologiche - ha lasciato il segno in tutta la sua opera. La capigliatura, fissazione erotica suprema, genera probabilmente questo sentimento di intercambiabilità dei volti e dei corpi, intercambiabilità di cui ha fornito così tanti esempi la storia dell'arte: Leonardo, Rembrandt, Picasso hanno spesso disegnato i tratti di una stessa donna. Hitchcock ha forse filmato uno stesso modello immaginario? Per di più, egli è un maestro nell'avvicinarsi da dietro alle sue attrici, nel seguirle a loro insaputa, nel filmarne la nuca. Questo era stato un punto di vista ricorrente da parte dei pittori nei confronti delle loro modelle, da Edouard Vuillard a Georges de Feure e, più recentemente, Domenico Gnoli e Cindy Sherman. In La donna che visse due volte, la chioma fluente e vaporosa si irrigidisce in uno chignon a spirale, la contemplazione del volto si fissa nel gelo di un profilo da medaglia, il fascino erotico porta allo spezzettamento feticista delle parti del corpo e alla violenza, a furia di bramosa contemplazione. Donna idealizzata, idolatrata, smembrata, fatta a pezzi, annegata (Frenzy). Questo processo, che coniuga possessione erotica e omicidio, è una vecchia storia riportata in vita dalle finzioni hitchcockiane, ma di cui Fernand Khnopff, René Magritte o Man Ray avevano già detto tutto quanto si poteva pensare di infernale sull'argomento.
Desiderata e allontanata, glaciale ed esibita, posseduta e divorante, la donna hitchcockiana è una reminiscenza simbolista, una di quelle magnificate e temute dai preraffaelliti inglesi, sorella di Beata Beatrix, di Lady Lilith. Impassibili, i volti levigati delle donne-sfinge annullano ogni pathos. Ma, dietro la maschera, si annida una crudeltà animale, una voracità ninfomane. Grace Kelly, borghese inaccessibile e infedele, giovane fanciulla di buona famiglia e amante curiosa e perversa; Kim Novak ed Eva Marie Saint, donne dalla doppia faccia, spie e amanti, calcolatrici e sottomesse; Tippi Hedren, donna-uccello intraprendente, sfinge e cleptomane, sincera e infinitamente travestita.
Ma, in fin dei conti, quella che Hitchcock impone è una visione globale del mondo, secondo una rigida geometria che porta a un'inventiva sconfinata di forme. Come se il caos del mondo venisse incasellato nella rigida struttura di una trama astratta, con l'incarico di riorganizzare e di reinquadrare. Così, nella famosa sequenza di cleptomania notturna di Marnie, la messinscena fa presagire la chiusura psicologica dell'eroina e l'imminente pericolo della sua carcerazione.

Il dedalo e l'altitudine

La prospettiva dall'alto e il labirinto, già sintetizzati da Gustave Caillebotte nel secolo precedente, ritornano percorrendo tutta l'opera e dimostrando la potenza del cinema di Hitchcock, che trae origine da una cultura figurativa presa a prestito dai maestri del secolo scorso.
La ripresa dall'alto sulle scale in Ricatto o il punto di vista quasi "divino" dalla cima di un grattacielo su Cary Grant che fugge dal palazzo delle Nazioni unite (Intrigo internazionale), insieme ad altri vortici ottici, sono i segni di una visione opprimente e agorafobica. È appunto questo il malessere ricorrente che colpisce James Stewart in La donna che visse due volte. Il pittore belga De Boeks avrebbe potuto fornirne l'immagine e il titolo. La prospettiva architettonica del punto di vista dall'alto è un partito preso assai affermato negli anni Trenta modernisti e dà a Hitchcock un'ulteriore occasione per numerose vertigini e cadute reali o sognate (Io ti salverò, La finestra sul cortile, Caccia al ladro, La donna che visse due volte). Più frequentemente, le donne vengono salvate sull'orlo di pozzi abissali, in extremis, come dentro un sogno (Giovane e innocente, Intrigo internazionale). Ma il sabotatore non viene risparmiato dalla caduta dall'alto della gigantesca e simbolica statua della Libertà (Sabotatori). In Hitchcock, infatti, la maggior parte delle coppie in fuga sono sottomesse tanto al dedalo quanto all'altitudine, sintetizzati dal disegno di Paul Klee, Tempio di roccia, artista di cui Hitchcock possedeva un dipinto molto "architettato" e insolitamente "metafisico". Un disegno che ricorda stranamente i leggendari monti Rushmore e i loro monumentali volti presidenziali che vengono scalati da Cary Grant e da Eva Marie Saint. Quanto a dedali e scanalature, essi evocano più specificamente quel gusto precocemente affermato di lacerare l'immagine, tradendo così, iconograficamente, un segreto sadismo.
Un altro tema: le condizioni della coppia hitchcockiana sono la fusione e la fatalità dell'unione inseparabile che conducono al sacrificio. Ettore e Andromaca illustrati da de Chirico, Lancillotto e Ginevra ricreati dalla pittorialista inglese Cameron, le coppie di Giovane e innocente, Il peccato di Lady Considine, L'altro uomo o Il sipario strappato resistono alle prove che minacciano di separarli. Il vincolo e l'incatenamento vanno al di là dell'effimera attrazione erotica.
Per Hitchcock, il desiderio è un'energia che può trascinare verso inquietanti reversibilità. Da un lato la donna amata, unica e idolatrata, si moltiplica come la Rosa Triplex di Rossetti, che offre i tratti del suo volto, hitchcockiani ante litteram e ribaditi, come quelli di Madeleine e di Judy (La donna che visse due volte), o come quelli, innumerevoli, di Marnie. D'altra parte, l'alterità radicale dei sessi tende a dissolversi nell'eccesso passionale che porta a non poter più distinguere l'altro da sé: la giovane Charlie e suo zio Charlie in L'ombra del dubbio hanno illustrato l'audace metafora di quell'assorbimento, di quello scambio di identità raffigurati allo stesso modo dalle trasparenze di Picabia (Aello, 1930 circa).
Il cineasta, a sua volta, è diventato un eccezionale "fornitore di immagini" per l'arte di fine Novecento. Numerosi artisti contemporanei - come, fra gli altri, Douglas Gordon, Stan Douglas, Pierre Huygue, Victor Burgin, Cindy Bernard, David Reed - hanno trovato in lui motivi della cui persistenza egli si sarebbe senza dubbio stupito. È anche in questo modo che la sua opera continua a essere attuale e che la sua influenza si è estesa alle arti sceniche del XX secolo, da Bob Wilson a Robert Lepage.

La mostra

Avremmo mai immaginato che i film di Alfred Hitchcock un giorno sarebbero stati "appesi" alle pareti di un museo?
Ospitare l'opera di un cineasta in un museo, e non più proiettandovi i suoi film, non è un evento comune. Inoltre Alfred Hitchcock è proprio il cineasta che ha più specificamente incarnato il cinema. Il suo nome è tra i più leggendari presso il pubblico, la cui principale preoccupazione non è quella di ricordare il nome degli autori. In compenso, se venisse condotta un'indagine, questo sarebbe senza dubbio il nome più spontaneamente citato quale simbolo del cinema, e Gli uccelli o Psyco sarebbero evocati come due dei film più famosi in tutta la storia della Decima Musa.
Dedicare un'esposizione a un cineasta, e a maggior ragione il più celebre, così come è stato fatto con Hitchcock et l'art. Coïncidences fatales al Musée des Beaux Arts di Montreal e dal 6 giugno al 24 settembre al Centre Pompidou di Parigi, catalogo Mazzotta -, è stata una scommessa audace ma legittima. L'esposizione Hitchcock et l'art non vuol essere una concatenazione di prove comparative. Vuol essere lettura, interpretazione secondo tre punti di vista che non è possibile separare. Il primo punto di vista, documentario, contribuisce alla conoscenza dell'opera filmata, partendo da archivi conservati nelle cineteche di tutto il mondo e da collezionisti privati: fotografie delle riprese, sceneggiature, modelli scenici disegnati e schizzi di costumi, carteggi, manifesti, "film per la famiglia" e documentari. Il secondo punto di vista è più scenografico, per invitare il visitatore a rivivere fisicamente l'atmosfera interna dei film, per capire il carattere sapiente della regia e gli esperimenti ai quali il cineasta sottometteva la visione e l'immaginazione. L'arte scenografica del cineasta viene evocata con la ricostruzione di alcuni allestimenti scenici (Gli uccelli, Psyco, Io ti salverò) e di stralci di film, di fronte ai quali "scorrono" i visitatori, così come fanno gli attori di fronte alle trasparenze - proiezioni di scenari prefilmati in studio - che Hitchcock prediligeva. Oggetti che contraddistinguono l'identità dei film e che danno vita a una presentazione lirica e feticista: per esempio una corda (Nodo alla gola), un accendino (L'altro uomo), la testa mummificata di Miss Bates (Psyco), un bicchiere di latte (Il sospetto), una bottiglia di Borgogna riempita di uranio (Notorious, l'amante perduta), un gioiello kitsch (La donna che visse due volte). Tutti oggetti presentati secondo una messinscena che ricorda il gusto "Harper's Bazaar" e la moda "Costa Azzurra" degli anni Cinquanta. Infine, il terzo punto di vista propone ipotesi di influenza, ispirazione, eredità. In questa mostra, alla fine, l'universo di Hitchcock è più sognato che esposto, con accostamenti favoriti talvolta dallo stato mentale del sonno. Forse, in questo modo, si sono ritrovate le radici del simbolismo e del surrealismo nel cineasta, e il legame tra loro. È il metodo di Robert Bresson che, nei suoi Appunti sul cinematografo, raccomanda di "accostare le cose che non sono mai state accostate prima e non sembrano predisposte a esserlo" ( Robert Bresson, Notes sur le cinématographe, Parigi 1975). Si tratta di costellazioni di immagini che si impongono rivedendo i film. Non sono state temute le somiglianze, ma a condizione che esse "urlassero", così come invocava Georges Bataille, prodigioso manipolatore di immagini.

D. P