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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 16 Numero 168 giugno 2001



Un linguaggio per l'invisibile

Giovanni Lista



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Eliche (1930-1940), composizione fotolibera di Cesare Cerati. Cortesia ufficio stampa Mart.

Depero e grattacieli. Milano 1933, fotomontaggio dello studio Castagneti. Cortesia ufficio stampa Mart.

Tato, Aeroritratto fantastico del poeta Mino Somenzi (1934), fotomontaggio; Rovereto, Mart. Cortesia ufficio stampa Mart

Il contributo del futurismo, e in particolare dei fratelli Bragaglia, all'ingresso della fotografia nel novero delle avanguardie di inizio Novecento è indagato dalla mostra Cinema e fotografia futurista a Rovereto.

I futuristi hanno cercato di assimilare in pittura le conquiste e le proposte percettive della fotografia scientifica. Quest'ultima, superando la resa visiva diretta, a connotazione banalmente naturalista della realtà, aveva da tempo intrapreso - con Marey, Muybridge, Mach - l'investigazione dell'infrasensoriale e del metapercettivo. L'obiettivo fotografico scrutava le leggi dell'accadere vitale ed è esattamente questa rivoluzione dello sguardo che i futuristi volevano introdurre in pittura. Rifiutavano invece la fotografia come medium estetico, cioè in quanto ipotesi di ricerca e di creazione. Boccioni, che aveva costruito su basi bergsoniane la poetica del "dinamismo plastico", vedeva nella fotografia solo una registrazione passiva della realtà, cioè un medium freddo che non conteneva alcun riflesso dell'energia vitale. Per lui, il determinismo meccanico dell'obiettivo escludeva l'apporto soggettivo dell'artista, che si manifesta sempre, in quanto esperienza del latente e dell'inconscio, all'interno dell'atto di creazione inteso come processo qualitativo e percezione dinamica della realtà in divenire. E l'artista appariva ancora, per i futuristi, come l'unico legittimo mediatore tra l'esperienza estetica e il mondo sensibile.
La storia della fotografia futurista cominciò quindi con un episodio maggiore, l'invenzione della fotodinamica, che si svolse all'esterno del movimento diretto da Marinetti. Il protagonista ne fu Anton Giulio Bragaglia il quale, dopo aver visto le cronofotografie di Marey, intraprese lo studio di una fotografia del movimento che fosse basata sulla "sintesi" della traiettoria dello spostamento di un corpo nello spazio e non sull'analisi positivista del movimento come avveniva nelle immagini del fisiologo francese. Dei lavori scientifici di Marey si era parlato a Roma, nell'aprile 1911, in occasione di un congresso di fotografia indetto tra le manifestazioni celebrative del cinquantenario dell'Unità italiana. Sempre nell'aprile 1911 si era tenuto a Bologna il Congresso internazionale di filosofia al quale partecipò Bergson, venuto a esporre le sue idee sul tema dell'"intuizione filosofica", suscitando un vasto dibattito tra gli intellettuali italiani.
Questa doppia attualità, che vide il confronto tra le ricerche di Marey e le teorie di Bergson, fornì il retroterra concettuale del "fotodinamismo" dei fratelli Anton Giulio e Arturo Bragaglia.
Al primo si devono le teorie estetiche che accompagnarono la creazione di questa inedita espressione della fotografia del movimento come energia in atto, mentre al secondo va accordata la realizzazione concreta delle prime immagini di questa nuova arte futurista. Tutti e due erano fotografi dilettanti e avevano una certa pratica del cinema. Le loro ricerche sul fotodinamismo sono documentate solo dal luglio 1911. Fu allora che Anton Giulio spedì da Frosinone, sua città natale, la fotodinamica Salutando in cui appare la testa di un uomo che si muove in un inchino di saluto. L'immagine rivelava già gli orientamenti precisi che i due fratelli davano alle loro ricerche: figurazione continua del gesto repentino e subitaneo al posto del movimento lineare e segmentato che interessava Marey, evanescenza della forma che doveva tradurre l'immediatezza dell'evento cinetico. Alcuni mesi dopo, tra il settembre e l'ottobre 1911, Anton Giulio dava le sue prime conferenze sul fotodinamismo.
Nel luglio 1912, su "La Fotografia artistica" di Torino, Giovanni Di Iorio affermava che i fratelli Bragaglia creavano immagini "strane e bizzarre", a volte "mostruose", in cui si poteva vedere "la vita còlta nel suo apparire rapido e fugace". Le fotodinamiche di questo periodo, quali la Mano in movimento e Cambiamento di posizione, comportano infatti delle scie luminose che colgono il soggetto al limite della disparizione completa della forma. Sono immagini in cui la dinamica gestuale è restituita in una dimensione di vitalismo assoluto, come se l'occhio meccanico avesse fissato solo l'immanenza energetica del gesto che trascende la materia. Con il fotodinamismo dei fratelli Bragaglia, la fotografia riusciva infine a strappare il velo della realtà oggettiva, cioè le apparenze del mondo banalmente rappresentabile nelle sue forme naturalistiche. Iniziava allora anche in fotografia la grande avventura creativa delle avanguardie e della modernità.

LA FRATTURA NEL MOVIMENTO

Nel giugno 1913 Anton Giulio Bragaglia stampava il libro Fotodinamismo futurista, in parte scritto già nel 1911. Si tratta del primo saggio di teoria e di estetica fotografica pubblicato dalle avanguardie della prima metà del secolo. Opponendosi a Marey, Bragaglia proponeva un'investigazione della "sensazione" del movimento, cioè una psicofisiologia della percezione. Da qui la tendenza a iscrivere il gesto dei suoi modelli nell'"hic et nunc" del gesto subitaneo e psicologicamente motivato. Per Anton Giulio Bragaglia solo il fotodinamismo poteva rendere la naturale continuità del movimento, cioè la realtà indivisibile nel suo divenire di cui aveva parlato Bergson. La prima rivoluzione estetica della fotografia d'avanguardia assurgeva così a una piena coscienza teorica di se stessa. Con il fotodinamismo bragagliano la creazione fotografica superava d'un balzo l'ormai sterile confronto tra i passatisti del "pictorialism" difeso da Emerson e i fautori del "realismo" rivendicato da Stieglitz. L'esperienza della dematerializzazione della forma, che apriva la strada alla fotografia astratta, rendeva possibile anche l'ipotesi dell'invenzione fotografica surrealista.
I contatti tra i fratelli Bragaglia e il gruppo futurista furono stabiliti alla metà del 1912. Le ricerche fotodinamiste vennero allora aiutate finanziariamente da Marinetti, ma lasciarono perplesso Boccioni. Quest'ultimo finì per condannare ufficialmente il fotodinamismo quando Bragaglia, spinto dall'entusiasmo e dalle progressive scoperte della sua ricerca, si attribuì il ruolo di portavoce ufficiale dell'estetica futurista. La scomunica ufficiale dei Bragaglia contribuì a marginalizzare lo sperimentalismo fotografico futurista. Dopo questa data, l'interesse dei futuristi per la fotografia non scompare, ma si svolge ignorando le ricerche condotte in pittura. La fotodinamica è invece adottata poco dopo dalle avanguardie straniere: da Sophie Taeuber in seno al gruppo dadaista di Zurigo, da Schlemmer e Lux Feininger al Bauhaus. Oggi l'immagine fotodinamizzata è largamente ricorrente nella fotografia pubblicitaria e nella fotografia di danza come in genere nelle immagini dello spettacolo teatrale.
Nel corso degli anni seguenti, i futuristi attribuirono soprattutto un ruolo concettuale ed emblematico alla fotografia, posando davanti all'obiettivo nell'intenzione di creare, attraverso l'immagine, un documento iconografico carico di pregnanza ideologica. Balla si è fatto ritrarre in pose gestuali che appaiono come vere e proprie teatralizzazioni del programma rivoluzionario futurista. Depero ha realizzato tra il 1915 e il 1916 una serie di autoritratti, ideati come immagini iperboliche dell'artista futurista, che sono le prime esperienze della fotoperformance in seno all'avanguardia storica. Questa linea di ricerca sarà poi continuata dai dadaisti (Tzara, Picabia) e dai surrealisti (Breton, Dalí) fino ad arrivare all'arte contemporanea. Carrà e Dottori esplorarono la tecnica del fotocollaggio, basato sull'integrazione reciproca tra fotografia ritagliata e disegno, cioè sulla dialettica visiva instaurata tra il "frammento di realtà" che sembra essere ogni fotografia e il segno manuale e immaginativo prodotto dall'artista. Nel dopoguerra il fotocollaggio fu largamente praticato da Diulgheroff, Vottero, Aschieri, Cernigoj che se ne sono serviti sia come strumento politico, sia a fini didattici o propagandistici in funzione del programma futurista di celebrazione della civiltà tecnologica. Un'applicazione originale del principio del fotocollaggio, in un'accezione quasi dadaista, venne attuata da Pannaggi nei suoi "collaggi postali", composizioni fotografiche da spedire alle quali dovevano collaborare, in modo anonimo, gli impiegati delle Poste. Impiegando il loro materiale fiscale, cioè timbri, etichette, iscrizioni, questi ultimi completavano così, involontariamente quanto necessariamente, l'opera stessa.
In questo stesso periodo, è al seguito delle avanguardie straniere, dadaismo e costruttivismo in particolare, che i futuristi introdussero nelle loro ricerche la tecnica del fotomontaggio, inteso come articolazione sintattica di immagini fotografiche ritagliate e diverse tra di loro. Il futurismo ha infatti sempre preferito al procedimento del ritaglio quello della parziale sovrimpressione dei dati fotografici che attua un'articolazione sintattica più sciolta e cinematografica, seguendo una tecnica, allora chiamata fotocomposizione per sandwich di più negativi, che era stata proposta già nel 1914 dai "ritratti futuristi" realizzati dai Bragaglia. In Italia il fotomontaggio per ritaglio si diffuse invece, verso la metà degli anni Venti, grazie soprattutto a Paladini che, allineato su posizioni politiche di sinistra, era in contatto con i gruppi dell'avanguardia europea. Paladini fondò poi nel 1927 l'immaginismo, lanciando una nuova estetica in cui la tecnica di manipolazione dei materiali, specifica del fotomontaggio, ebbe un ruolo di primo piano. Spesso dotati di una forte componente gestuale, i suoi fotomontaggi annunciavano le immagini più significative della Mec Art di Gianni Bertini. Una forte influenza del costruttivismo russo e dell'Europa dell'Est è anche nei fotomontaggi di Pannaggi e Cernigoj.
Alla fine degli anni Venti la fotografia tornava ad assumere un ruolo di primo piano, come campo specifico di ricerca, nella creazione futurista. I futuristi elaborarono altre tecniche innovative dando luogo a esperienze molteplici. Una prima catalogazione sistematica venne fatta grazie alla Sala futurista organizzata da Marinetti e da Tato in occasione del Primo concorso fotografico nazionale che si tenne a Roma nel settembre 1930. Marinetti e Tato lanciarono anche un Manifesto della fotografia futurista il cui testo, soprattutto nella sua seconda edizione, racchiudeva le principali proposte estetiche che ispiravano lo sperimentalismo fotografico futurista, come "il dramma di oggetti umanizzati pietrificati cristallizzati o vegetalizzati mediante camuffamenti e luci speciali" o "la composizione organica dei diversi stati d'animo di una persona mediante l'espressione intensificata delle più tipiche parti del suo corpo". Fu in seguito, a Torino, che ebbe luogo, nel settembre 1931, una Mostra sperimentale di fotografia futurista con la partecipazione di ventidue espositori. Con l'aggiunta di altri fotografi, la mostra fu poi presentata a Milano, in occasione della Triennale, e a Trieste.
Nel dicembre 1932 i futuristi parteciparono ancora alla Prima biennale internazionale d'arte fotografica organizzata a Roma. Alla sezione futurista di questa mostra erano presenti anche alcuni fotografi d'avanguardia stranieri: i tedeschi Kesting, Ernst, Kulley, Karkoska, Halke, l'italo-americano Antonelli, il belga Stone, lo svedese Winquist. Infine un'importante sala dedicata alla fotografia fu presentata alla Grande mostra nazionale futurista che si tenne a Roma nell'ottobre 1933. Si deve risalire a queste esposizioni futuriste dell'inizio degli anni Trenta per comprendere gli aspetti più significativi della fotografia d'avanguardia in Italia per quegli anni.

IL RIAVVICINAMENTO ALLA PITTURA

Per volere di Marinetti, l'orientamento generale di queste ricerche fu marcato dal tentativo di ritrovare una specificità futurista contro l'apporto delle avanguardie straniere. Un approccio più istituzionale della fotografia portò quindi quest'ultima a riavvicinarsi alla pittura. Tato rilanciò come principio fotografico futurista il fotomontaggio per sovrimpressione di due o più negativi, con effetti simili alla "dissolvenza" che crea il raccordo incrociato tra due sequenze cinematografiche. Teorizzò in questo modo la "trasparenza dei corpi opachi" e il "ritratto futurista di stato d'animo" che, nell'intenzione di dare una qualificazione totale del soggetto rappresentato, assumeva di volta in volta dimensioni allegoriche, narrative, psicologiche, caratteriologiche, fino a sconfinare nei sottogeneri del "ritratto spiritico", del "ritratto meccanico" o dell'"aeroritratto".
Tato sviluppò inoltre le ricerche, già praticate da Carmelich, del "camuffamento di oggetti": la fotografia di una composizione di oggetti che, attraverso travestimenti e studiatissimi effetti di luce e di ombre, doveva suggerire una realtà diversa da quella rappresentata. In questo campo, la sua fotografia più celebre è Borghese perfetto dove il busto di un uomo seduto a tavola è allusivamente suggerito da una giacca appesa a una stampella. I dati realistici della composizione, come le mani in primo piano, culminano in un vuoto che carica l'immagine di umori surreali. L'effetto di sorpresa, su cui punta il camuffamento d'oggetti, è dato spesso da una connotazione antropomorfa o comunque mimetica dei materiali utilizzati. Questa ri-definizione semantica determina anche il loro assemblaggio a livello strutturale. In questo senso, il genere reso celebre da Tato può essere vagamente accostato al principio degli oggetti-fantasma dei surrealisti.
Il camuffamento di oggetti è stato praticato anche da Guarnieri, Ricas e, in un'accezione nettamente dadaista, da Farfa. Una sua variante è la "spettralizzazione di oggetti", su cui si è applicato soprattutto Bellusi. In questo caso, attraverso ombre, angolature particolari e ingrandimenti smisurati, l'immagine fotografica creava una distanziazione percettiva dei materiali conferendo loro una carica fantastica e un alone di mistero che annullava il dato oggettivo senza per questo ricorrere a una sua nuova semantizzazione. Queste ricerche futuriste sono riprese oggi da Muriel Olesen e altri artisti contemporanei.
La fotodinamica venne rilanciata da Arturo Bragaglia che partecipò alle mostre collettive di fotografia futurista organizzate da Marinetti. Al suo seguito, Montacchini, Civis, Munari, Wultz hanno svolto ricerche simili ma con accenti diversi, cercando in particolare di correggere la tendenza verso la totale sparizione della forma che era rinvenibile presso le prime esperienze fotodinamiste. Tramite accostamenti analogici, visualizzazioni memorizzatrici, deformazioni e alterazioni espressive, i futuristi della nuova generazione cercarono piuttosto di integrare nell'immagine fotodinamica una dimensione fantastica, per cui la registrazione di un evento cinetico, aprendosi all'evocazione fantasmatica del gesto e del movimento, portava a epifania i contenuti inconsci e i risvolti surreali implicati dal dato visivo.
Il principio teorico della "visione dinamica", enunciato nel 1913 da Anton Giulio Bragaglia, fu adottato in modo personale da Filippo Masoero nelle sue "aerofotografie". Utilizzando la stessa tecnica di ripresa della fotodinamica, cioè l'apertura ritardata dell'otturatore, Masoero realizzava fotografie aeree scattate durante i voli acrobatici o le discese in paracadute. In questo modo, il cinetismo non era più all'interno dell'immagine, cioè visto tutt'insieme all'oggetto rappresentato, ma espresso al livello dell'atto percettivo, tradotto come fattore inerente all'obiettivo fotografico. Restando aperto durante il volo, l'obiettivo sfocava o sfilacciava l'immagine registrando così la caduta del corpo appeso al paracadute o il movimento dell'aereo in discesa sul paesaggio. Delle ricerche affini vennero successivamente condotte da Willy Ruge in Germania e da Byron C. Hale in Inghilterra.
In quanto sismografie immediate dell'atto vitale, le immagini aeree di Masoero equivalgono a una sorta di "action painting" fotografico su cui resta inscritta in filigrana la partecipazione futurista al dinamismo eracliteo che regola la vita cosmica. Da queste esperienze nascevano poi, precorrendo di qualche decennio i lavori molto simili di Pol Bury, le cinetizzazioni criptofobiche e fantastiche di Boccardi e dello stesso Masoero.
La fotografia futurista cercò di riscattare l'immagine meccanica dalla sua povertà naturalista, contestandola in quanto menzogna, rifiutando cioè la sua verità strumentale atta a riprodurre solo materia. Le premesse bergsoniane del "dinamismo plastico" imponevano infatti la volontà di tradurre l'intensità vitale delle cose e di cogliere nello stesso tempo il processo psichico che accompagna l'atto percettivo facendone un atto di creazione e di trasformazione. Trasgredire il preteso realismo inerente al codice della fotografia significava esprimere lo svolgersi fluido e incessante dello slancio vitale, cioè trascrivere la realtà come immanenza del divenire.

LA MOSTRA

Fino al 15 luglio è aperta a Rovereto la mostra intitolata Cinema e fotografia futurista (Museo di arte moderna di Trento e Rovereto, corso Rosmini 58; telefono 0464-438887; http://www.mart.trento.it ; orario 9-12.30, 14.30-18, chiuso il lunedì), curata da Gabriella Belli e Giovanni Lista. L'esposizione, realizzata in collaborazione con la Estorick Foundation
di Londra, presenta circa centocinquanta immagini originali provenienti da fondi nazionali e internazionali. Il catalogo è pubblicato da Skira.