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Cut up (2001-2004) Anno 3 Numero 2 nuova serie



Tognazzi Ferreri Pasolini

Pierluigi Iviscori

Attacco al cuore dello stato borghese



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Ugo Tognazzi

Marco Ferreri

Pier Paolo Pasolini on location for Teorema

Nel breve spazio di qualche mese ci siamo trovati a celebrare, senza troppo entusiasmo mi è parso, tre grandi del cinema italiano: Marco Ferreri, Pier Paolo Pasolini e Ugo Tognazzi. Tre voci diverse di quella geniale anomalia italiana che ogni tanto qua o là produce dei fenomeni che tutto il mondo ci invidia. Ugo Tognazzi per me è stato sempre un punto di riferimento, tra i mattatori quello che ho sentito più vicino, capace di profondità psicologiche che ne' Sordi ne' Gassman avrebbe mai potuto toccare. Tognazzi con il suo sguardo disincantato e triste ha spesso interpretato personaggi perdenti, i cosiddetti loser (oggi hanno anche il loro inno, l'omonimo pezzo di Beck) quelli che comunque vada peggio non potrebbe andare. Il fallimento del ceto borghese, della sua stupida condizione di (supposta) eterna giovinezza per cui tutto è permesso se sei giovane. Erano gli anni del boom e il maschio italico maturo si illudeva di potere tutto: film amari come La voglia matta (Salce 1962), Io la conoscevo bene (Pietrangeli 965), Menage all'italiana (Indovina 965), sono la celebrazione di questo povero fallito che arranca scivolando sugli specchi dove si riflette angosciosa la cifra della sua condizione di lucida sconfitta.
Pensate al Commissario Pepe (Scola 969) che si perde dietro le turpi beghe sessuali di un'intera città/società paludata di perbenismo e rettitudine e finisce con l'essere vittima dei suoi stessi demoni. Per questa particolare tendenza e ricchezza lo scelse Ferreri per la sua prima opera in Italia dopo "l'esilio" spagnolo (stupendo El Cochesito!): L'ape regina (963) che non superò ad un primo esame la censura d'allora; questo inno funebre all'istituzione matrimoniale era un colpo troppo basso per l'Istituzione cattodemocrista del tempo e minava alla base le fondamenta di una nazione in crescita (il boom appunto) dove non c'era tempo per le cassandre di turno che già intravedevano i segnali di cedimento dell'edificio borghese. Un valore marcatamente dissacratorio assume invece La donna scimmia (963) dell'avvilimento morale e dell'asservimento padrone-vittima di questo saltimbanco da strapazzo che scopre una donna pelosa e strappatala con fatica all'istituto religioso dove è ricoverata la esibisce in giro per le piazze come fenomeno da baraccone. Anche qui un Tognazzi insuperabile lestofante amorale che agisce come se il suo comportamento fosse la cosa più naturale del mondo, ingravida la donna solo per avere un piccolo scimmiotto da aggiungere al "numero" della donna scimmia: purtroppo verrà beffato dal destino poiché donna e feto periranno, ma il genio non si ferma di fronte a nulla e porterà sul palcoscenico le salme impagliate. Necrofilia e sesso bestiale in questo film incredibilmente malato e cattivo restituito alla sua integrità solo l'anno scorso dopo che Carlo Ponti ancora per aggirare la censura fece girare all'epoca un finale alternativo al regista. C'è da chiedersi oggi dove sia finito lo spirito di questo cinema corrosivo ed incisivo? Penso ad esempio ad un film fortemente antifascista come Il federale (Salce 961) che seguendo le vicissitudini di uno sciocco invasato morde con l'arma dell'ironia e della demenza tanto quanto I sette fratelli Cervi. Tognazzi è interprete principe di questi piccoli borghesi arrivisti in fondo neanche troppo cattivi che ci fanno tanta pena... la tragedia di un uomo ridicolo intitolò Bertolucci il film che vide come protagonista Ugo e scelta non poté rivelarsi più azzeccata. Nell'anno della contestazione Pasolini licenzia il suo film più antiborghese Teorema nel quale una famiglia benestante viene sistematicamente distrutta dall'arrivo di un giovane bello ed enigmatico che metterà a nudo la natura bacata dei personaggi. Una delle prove assolutamente più riuscite di questo genio poetico che replicherà nel 69 (e qui si chiude il cerchio) con Porcile dove nella feroce satira grosziana e cannibalica sul potere, il regista coinvolge proprio i due amici Ferreri e Tognazzi.
Pasolini e Ferreri registi dell'Apocalisse (come canta Ferretti "l'Apocalisse è quello che c'è già...) l'uno legato ai temi della religione della verità rivelata ai relitti unici detentori del Diritto e del tocco salvifico, l'altro completamente anarchico dubbioso fino alla violenza del ruolo maschile, che vede nella figura muliebre la sola via per la salvazione terrena.