Equipèco Anno 5 Numero 16 estate 2008
Testimonianza del pittore e del regista del film«Ce que mes yeux ont vu»(Quello che hanno visto i miei occhi).
Il film segue le ricerche di una studentessa di storia dell’arte, interpretata da Sylvie Testud, (L'Héritage, La môme, La France) che svelano un dipinto inedito di Antoine Watteau. Il quadro che appare sotto gli occhi dell’attore Jean-Pierre Marielle, (IlCodice da Vinci, La petite Lili, Quattro mosche di velluto grigio) era la scommessa plastica piú ambiziosa del film, poiché si trattava di ricreare un Watteau inedito assemblando personaggi prelevati da diversi suoi dipinti. Per esigenze di narrazione, l’opera doveva fare riferimento al teatro della commedia dell’arte italiana.
La prima tappa di assemblaggio grafico ha richiesto tra il grafico Gédéon Rudrauf, il pittore e me stesso un importante lavoro di determinazione della fattibilità e della veridi-cità del progetto, quindi di scelta di personaggi, composizione e ambientazione. Abbiamo prodotto una quarantina di abbozzi virtuali che abbiamo presentato a Pierre Rosen-berg (storico ex direttore del Louvre) che ha accettato di illuminarci con i suoi preziosi consigli. Ma l’esecuzione del quadro restava da fare. Per questo delicato lavoro ho scelto il pittore e restauratore italiano Valerio Fasciani che aveva già realizzato copie di opere di G. Bellini, Vermeer, Mantegna, Bocklin. Abbiamo definito insieme lo spessore della tela, la sua preparazione, il tipo di tocco, i pigmenti, la luce, le crettature.
La tela e il telaio utilizzati sono, peraltro, dell’epoca.Tutto è stato fatto per aderire al formato e allo stile de «L’amour au théâtre Français», piccolo grande capolavorodel Maestro francese. Valerio attacca in seguito la preparazione della tela all’antica, gesso di Bologna e colla di coniglio, e decide per una base rosso-arancio poi avallata da Pierre Rosenberg. Dopo aver riportato il disegno, comincia a posare i colori e incontra le prime difficoltà: 12 personaggi,12 piccoli ritratti quasi tutti presi da quadri differenti o da incisioni in bianco e nero, con luminosità diverse e da reinquadrare coerentemente su un piccolo formato (L49 × H38cm). Certi personaggi, come quelli del Pierrot e dell’attrice Charlotte Desmarres che è al suo fianco, sono stati realizza-ti miscelando differenti versioni dello stesso personaggio, mentre certi altri, poco illuminati, obbligano il pittore a recarsi al Museo di Berlino, per verificarne i dettagli. Al di là delle difficoltà tecniche, Valerio è disorientato per l’interpretazione del disegno, per la luce, il rispetto dello stile, il tocco diWatteau: al contempo spontaneo ed estremamente preciso.Si sa che Watteau dipingeva come eccitato, alla ricerca di un risultato rapido. E quando non era soddisfatto riprendeva la sua composizione imbevendola di essiccante, ciò che fu del resto la causa della degradazione di numerose sue opere.Cosí, quando il nostro copista cerca la precisione del segno, perde in nervosità del tocco. Quando cerca la rapidità e laspontaneità, perde in definizione e intensità: un vero rompicapo. Dopo sei mesi di lavoro accanito, il quadro è risolto. Valerio Fasciani lo ricopre di una ridipintura assai grossolana che raffigura «L’allontanamento dei commedianti» e che nasconderà il nostro dipinto per tutta la durata del film. Bisognerà attendere le riprese della scena finale per veder riapparire la composizione sotto l’obiettivo della camera, in una sola ripresa ad alto rischio.
LAURENT DE BARTILLAT, regista.
«Laurent mi ha chiesto di dipingere un vero-falso-inedito Watteau ed il cerchio mi è sembrato chiudersi; io faccio un gioco di simulazione dell’arte e ho l’onore di metterlo a disposizione del cinema, che fa un gioco ancor piú grande: quello di simulazione della vita.»
C’è una cosa da dire, anzitutto: le copie di quadri, in genere, non mi piacciono. E mai avrei pensato che, un giorno, ne avrei dipinte. Dopo anni di pittura, prima, e restauro professionale poi, l’occasione arrivò come per caso: mi si chiedeva se fossi in grado di dipingere una Madonna del Bellini. Non ci avevo mai pensato. Il risultato fu una sorpresa, anche per me. Da ragazzo avevo copiato dei dipinti: per studio, come tutti. Mai con l’intenzione della mimesi illusionista. Stavolta era diverso. Lí ho capito a cosa fossero serviti tutti questi anni passati a contatto con le opere, a vivisezionarle, a farsi rubare gli occhi, a toccarle, a fare stuccature, ritocchi e velature. Il restauro aveva modificato il mio bagaglio, affinato il mio sguardo a poco a poco, senza che veramente me ne rendessi conto. Ora faccio cose che non sapevo nemmeno di saperfare. «E poi …» come per il Suonatore Jones (Lee Masters/DeAndrè) «…se la gente sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita, e ti piace lasciarti ascoltare.»
Cosí mi è stato chiesto di dipingerne un’altra, poi un’altra…Mi sono lasciato ascoltare… E non si smette di imparare. Ecco: dipingo copie per cercare di imparare. Un pretesto.Un autore, la sua vita, i suoi luoghi, la sua musica, le sue abitudini, un libro, un catalogo, una relazione di restauro, un viaggio. Un viaggio attorno e dentro il quadro. Questo mi interessa…, per capire. Forse. Però, signori, una cosa, per carità: è un gioco. L’arte esige rispetto: lasciamo stare tutta la retorica sui segreti rubati ai grandi pittori, i materiali come quelli di una volta, i certificati di garanzia, il fatto a mano. Che tristezza. È un gioco. Un gioco di ruolo: io prendo quello del pittore, e giuro che ce la metto tutta, voi scegliete il vostro.
Ero a Parigi per il restauro della Galleria degli Specchi di Versailles, quando ho conosciuto il regista Laurent De Bartillat. Cercava un pittore per il suo film «Ce que mes yeuxont vu – Quello che hanno visto i miei occhi» che è stato poi invitato in concorso all’ultima edizione della «Festa del Cinema» di Roma. Lui mi ha confessato: «le copie che vedo in giro non mi piacciono, tutto finto» «Ci intenderemo». ho risposto. Sembrava un discorso tra due pazzi: uno ne dipinge, l’altro ne cerca per il suo film ed entrambi non ne amano. Una contraddizione. Apparente. C’è un livello di eccellenza oltre il quale i dubbi, come al cinema, in dissolvenza sfumano. Quel livello cercavamo, tutti e due.
Laurent mi ha chiesto di dipingere un vero-falso-inedito Watteau ed il cerchio mi è sembrato chiudersi; io fac-cio un gioco di simulazione dell’arte e ho l’onore di metterlo a disposizione del cinema, che fa un gioco ancor piú grande: quello di simulazione della vita. Del resto tutto torna: in francese recitare si dice jouer – giocare.
L’esperienza è stata straordinaria:una sfida difficile, faticosa, esaltante, divertente. Allora tutto mi è sembrato chiarirsi, accrescere di senso. Una metafora che si compie. Questo mi piacerebbe che le mie copie riuscissero a fare una volta entrate nelle case: col sorriso accompagnare lo stupore lungo un sogno. Ma con ironia, per favore.
Durante l’esecuzione del dipinto siamo stati ricevuti da Pierre Rosenberg (ex direttore del Louvre), per sottoporre il quadro in corso al suo giudizio. Ora, lí il gioco cominciava a farsi serio. Ma, mi chiedo: senza un poco di ironia come sarebbero stati possibili la sfrontatezza e l’ardire di presentarsi al massimo esperto mondiale di Watteau con una piccola tela che aveva la pretesa di sembrare un vero Watteau? Ho pensato: «mi metto in tasca una piccola…tela» e cantando sono andato. Poi tutto è andato bene, meglio di quanto si potesse sperare. Ma questa è un’altra storia. Monsieur Rosenberg è persona squisita. L’incontro è stato filmato, cosí come l’intera esecuzione del mio dipinto e saranno allegati al DVD del film. La sceneggiatura prevedeva che il dipinto fosse nascosto sotto una ridipintura che doveva poter essere rimossa per permetterne la scoperta. La teoria mi diceva che problemi non ce ne sarebbero stati, bastava fare ciò che non va fatto: dipingere magro su grasso. Ho fatto molte prove, superato diverse difficoltà tecniche: tutto funzionava. Ma il rischio sussisteva perché prove d’appello non ce n’erano. Al momento delle riprese della scena l’emozione era nell’aria, l’atmosfera sospesa. Oserei dire che tutto è andato secondo copione. E sentendo Jean-Pierre Marielle, nei panni del critico d’arte,pronunciare stupito la battuta «È un vero Watteau!», ho finito quasi per crederci anch’io.
VALERIO FASCIANI, pittore e restauratore.