Equipèco Anno 5 Numero 18 inverno 2008
Male, dunque bene
Lo stato dell’arte polacca è molto buono, oppure è molto cattivo. In Polonia i pareri in merito sono divergenti. Si tratta piuttosto di una sorta di schizofrenia, di una coesistenza di entrambe le opinioni, come dimostra il caso del Museo d’Arte Moderna di Varsavia. La decisione di creare questo centro è stata accolta come il maggiore successo istituzionale dell’ambiente artistico polacco dopo la caduta del comunismo. Per le dimensioni il Museo eguaglierà il Louvre e la Tate Modern. La sua ambizione sarà quella di essere un luogo chiave per il riesame della piú recente storia dell’arte dell’Europa centrorientale, e anche per l’attuale discorso artistico nella regione. La sua collocazione è nella zona migliore del centro della capitale, in prossimità dell’edificio piú emblematico di Varsavia: il Palazzo della Cultura, la Disneyland stalinista del socialismo reale. Già ora il Museo impegna la crema dei curatori polacchi. Per ora lavorano in una sede temporanea, in un locale di taglio modernista anticamente occupato da un negozio di mobili. La postazione è strategica: le finestre della sede temporanea danno sulla piazza dove sorgerà il futuro edificio; lo scenario piú ottimistico prevede che si riuscirà a terminare il museo nel 2012. Nella versione piú pessimistica sarà realizzato piú tardi. O forse non si farà affatto.
La costruzione del Museo è stata promessa dalle piú alte autorità nazionali e locali. La volontà di costruire è forte, ma altrettanto forte – se non piú forte – è la volontà di non costruire. Dapprima, con l’aiuto di assurde procedure, sono state cacciate dal concorso internazionale stelle dell’architettura mondiale come Zaha Hadid e Eisenmann. Alla fine il concorso per il progetto di costruzione del Museo è stato vinto dallo svizzero Christian Kerez. Il vincitore in Polonia è dovuto passare sotto le forche caudine della burocrazia; il poveretto è dovuto volare a Varsavia un giorno sí e uno no, si è sottoposto a interrogatori, ha cambiato, corretto e adattato, naturalmente peggiorando sempre di piú la propria situazione. Il vantaggioso sito, che avrebbe dovuto essere uno dei punti di forza del Museo, si è invece rivelato una palla al piede che spinge l’istituzione sul fondo della Vistola. Troppo tardi le autorità cittadine si sono ricordate che si tratta di un terreno di grande valore, per il quale è in corso un’aspra contesa: al tavolo da gioco siedono il mondo degli affari, gli investitori, i politici, gli speculatori edilizi.
Le cose vanno bene, dunque, perché deve nascere un museo. Vanno male, perché forse non nascerà. La nota positiva è che in Polonia ha luogo un reale boom istituzionale. Dopo la caduta del comunismo sono stati piú i musei chiusi che quelli aperti, ma negli ultimi tempi si è verificata un’inversione di questa tendenza: per la prima volta da venti anni a questa parte sono comparse nuove istituzioni pubbliche che si occupano dell’arte piú recente. Nel 2008 nuovi centri d’arte contemporanea sono stati aperti a Radom e Torun, mentre Breslavia e Cracovia si apprestano a costruire musei di arte moderna. Nonostante tutto, Varsavia non perde le speranze. A Lodz è stato da poco aperto, in pompa magna, un nuovo Museo d’Arte.
Con che cosa vengono riempiti i nuovi musei? In Polonia per molti anni l’arte contemporeanea è stata una disciplina in qualche modo esotica, animata da un dinamico, ma in fondo ristretto gruppo di appassionati. Ora si è fatta finalmente strada nel mainstream culturale, tradizionalmente (cioè da 200 anni buoni) dominato dalla letteratura e dal teatro. L’arte è diventato un tema trattato dai principali media non solo in occasione degli scandali di costume che hanno animato la scena pubblica negli anni Novanta, quando gli artisti sistematicamente irritavano la Chiesa, la maggioranza cattolica conservatrice dei polacchi e i custodi delle buone tradizioni con le loro bestemmie, la loro iconoclastia e le loro provocazioni. Per la classe media, i trenta-quarantenni benestanti che risiedono nelle città, l’arte è diventata hype. Alcuni hanno iniziato persino ad acquistare opere d’arte. Per tutta risposta le gallerie commerciali si sono immediatamente moltiplicate: nel corso dei due ultimi anni a Varsavia sono nate oltre 10 nuove gallerie. Poche, in confronto a Berlino, Milano o Roma. Molte, se si pensa che ancora dieci anni fa non ce n’era nessuna.
Per lungo tempo il pittore polacco piú famoso è stato immancabilmente Jan Matejko, accademico ottocentesco, pittore di scene storiche monumentali, battaglie, incoronazioni e miti nazionali. Oggi il suo posto è stato preso da Wilhelm Sasnal. Negli ultimi anni in Polonia pochi sapevano che cosa esattamente dipingesse Sasnal, ma sui giornali si poteva leggere dei ripetuti record battuti alle aste dai suoi lavori, e del fatto che Charles Saatchi collezioni le sue opere. Questi successi artistico-commerciali hanno generato emozioni simili a quelle che hanno accompagnato le imprese di Adam Malysz, il saltatore con gli sci polacco che per qualche stagione è stato il numero uno in Europa (sebbene in seguito si sia ridimensionato). I quadri di Sasnal sono stati a lungo assenti, ma ciò non ha minimamente scalfito la popolarità del pittore. Il recente interesse per la nuova pittura tuttavia è in Polonia ancora abbastanza superficiale. Inoltre, in mancanza delle opere, nei media è stato molto presente l’autore, che in innumerevoli interviste si è espresso su ogni argomento, ha criticato la guerra in Iraq, ha condannato il presidente Bush e ha confessato che di fronte alla vittoria elettorale dell’estrema destra in Polonia pensava seriamente alla possibilità di emigrare (cosa che non è però avvenuta).
Quando infine, a cavallo tra il 2007 e il 2008, la Galleria Nazionale Zacheta ha inaugurato una grande mostra di Sasnal, questa si è rivelata l’avvenimento artistico piú importante nella Polonia democratica dopo il crollo del muro di Berlino. In verità è possibile che i fan dell’artista, che non hanno troppa familiarità con la sua opera, si siano sentiti un pó disorientati. I quadri erano difficili ed ermetici, alcuni poi non sembravano mica tanto belli...
Per fortuna, al pubblico che sciamava sbattendo porte e finestre è stato in fretta spiegato che alcuni dei quadri trattavano il tema dell’Olocausto. Questo ha rassicurato la vasta folla degli spettatori sul fatto che Sasnal sia davvero un grande pittore nazionale, che affronta questioni fondamentali e fa i conti con il passato. Bisogna chiarire che la memoria dell’Olocausto è uno dei grandi temi dell’arte contemporanea polacca, soprattutto di quella dei piú giovani, mentre i piú anziani sono stati troppo a lungo cresciuti nella cultura della congiura del silenzio. È ovviamente difficile tracciare un confine netto tra l’autentica riflessione sul trauma storico e la costruzione della memoria collettiva di un popolo, che ha avuto l’ambiguo ruolo di testimone e ospite del maggiore crimine del XX secolo, e l’Holocaust business espressamente adattato per la specificità polacca.
In ogni caso, quasi ogni cosa in Polonia può essere associata alla Shoah. Nel pieno centro di Varsavia si erge la palma da datteri piantata dall’artista Joanna Rajkowska. L’albero è ovviamente finto, perché nel rigido clima polacco una palma all’aria aperta è impensabile. Quello che conta è che persino questa impossibile manifestazione di esotismo tropicale abbia un rapporto con l’Olocausto: l’albero sta al centro dell’arteria principale di Varsavia, Aleje Jerozolimskie. Il nome non è casuale: due secoli or sono questa strada conduceva allo stetl ebraico allora situato alla periferia della città.
Dell’Olocausto si occupa anche Artur Zmijewski, il piú caustico degli artisti polacchi oggi in attività, che tre anni fa decise di ripetere il famoso esperimento psicologico condotto dal professor Zimbardo: a questo scopo organizzò una prigione privata, sebbene per fortuna temporanea, e ne diventò il direttore. Zmijewski è anche l’autore del testo programmatico piú animatamente discusso degli ultimi anni. Il saggio è apparso sulle colonne di «Krytyka Polityczna», la pubblicazione degli ambienti piú influenti della Nuova Sinistra polacca. La Sinistra in Polonia esiste per ora su un piano esclusivamente teorico, appunto sulle colonne di «Krytyka Polityczna». Dei temi tradizionali della sinistra si era sfacciatamente appropriato per 40 anni un regime totalitario solo nominalmente socialista. Ancora oggi è difficile che lo screditato concetto di sinistra sia recuperato dall’attuale discorso politico. È un problema per i giovani intellettuali polacchi, il cui cuore batte ovviamente a sinistra, e anche per gli artisti, che come Zmijewski vorrebbero impegnarsi a sinistra. Il saggio di Zmijewski apparso su «Krytyka Polityczna» era intitolato Arti sociali applicate. L’autore propugnava un diretto impegno degli artisti, volto ad agganciare l’arte alla produzione di un sapere politicamente utile e di una formulazione alternativa dei discorsi progressisti e di emancipazione, e anche alla verifica del valore dell’arte secondo il criterio dell’efficacia sociale. Come si è detto, Arti sociali applicate è stato il manifesto ideale piú discusso nell’arte polacca degli ultimi anni. Si è discusso, ma nel frattempo i giovani artisti polacchi fanno proprio il contrario di ciò che sognava Zmijewski. Intorno all’anno 2000 nella scena artistica polacca c’è stata una rivoluzione di velluto, in cui la ribalta è stata conquistata da giovani artisti nati negli anni Settanta. Questa generazione, le cui figure simbolo sono Wilhelm Sasnal, Monika Sosnowska, Robert Kusmirowski, Marcin Maciejowski, Zbigniew Rogalski e il duo Smaga & Grzeszykowska, ha conseguito un significativo successo, sia dal punto di vista istituzionale che commerciale. A questa generazione, fortemente radicata nella tradizione postconcettuale, è toccato elaborare la tarda lezione della pop art, commentare le tempestose trasformazioni socioculturali avvenute in Polonia, l’espansione della cultura dei mass media, il consumismo di massa, l’invasione della pubblicità nella sfera pubblica. È stata una generazione di realisti, di critici e commentatori della realtà. Gli artisti che all’insegna della giovinezza si sono impadroniti della scena dell’arte polacca intorno al 2000, oggi ne costituiscono il filone principale: sono il suo establishment e non sono piú cosí manifestamente giovani.
All’ombra dell’stituzionalizzazione dei giovani della rivoluzione di velluto è maturata una nuova generazione di artisti ancora piú giovani.
Nel 2002 ho curato, insieme a Ewa Gorzadek, una mostra dedicata agli artisti nati negli anni Settanta. Il progetto si chiamava Davvero, i giovani sono realisti. I giovani di oggi invece, senza dubbio, non sono realisti. L’arte degli artisti piú interessanti della nuova generazione, come Wojciech Bakowski, Tomek Kowalski, Iza Tarasewicz, Olaf Brzeski o Norman Leto, rifugge sia il rigore concettuale che il pop-realismo critico degli ultimi anni, per non parlare delle arti sociali applicate. Questa nuova arte è conservatrice, straordinariamente personale, emotiva e soggettiva, a momenti addirittura surrealisticheggiante.
La situazione dunque è buona. È però anche cattiva. In Polonia il mercato cresce rigoglioso, i collezionisti durante le mostre si strappano di mano i lavori dei giovani artisti nei corridoi delle accademie di belle arti. È una buona cosa. Ma il mercato è anche molto superficiale e immaturo, e questa è una cosa totalmente negativa. L’arte polacca ottiene un successo internazionale, ma nella stessa Polonia già si parla di crisi, si fa notare che gli autori di questo successo hanno perso il loro slancio; i «rivoluzionari sono stanchi», ha scritto nel suo blog un influente critico, il giovane Jakub Banasiak. Non ci sono mai stati tanti artisti, gallerie, curatori e critici come ora, e tuttavia i polacchi sono ancora tormentati da complessi e dall’eterna paura del provincialismo. C’è il boom istituzionale dei musei, ma arriva in un momento in cui l’istituzione museo è sempre piú fortemente messa in dubbio. La giovane generazione è ricca di talenti, ma non vuole impegnarsi politicamente. A Varsavia non si sta costruendo il nuovo Museo, il piú grande dell’Europa orientale, eppure anche cosí è attivo (in un negozio di mobili). Tutte le contraddizioni coesistono allo stesso tempo: le cose vanno male, come al solito, ma in fondo vanno molto bene.
STACH SZABLOWSKI è critico d’arte e curatore del Centro d’Arte Contemporanea Zamek Ujzadowski. Vive e lavora a Varsavia.