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Inside Art Anno 9 Numero 89 settembre 2012



La modernità come distacco

Félix Duque

Siamo la caduta di molti sogni, non resta che affrontarli



The Living Art Magazine


SOMMARIO N.89

NEWS

11 l’amore ai tempi dell’amaci di Silvia Novelli

PRIMO PIANO

12 la modernità come distacco di Félix Duque
13 La crisi globale vista dagli artisti di Maurizio Zuccari
14 la parte dell’arte e della cultura di Armando Massarenti
16 crisi: Zitti e fermi ma non tutti di Bruno Corà
19 Abo: si reagisca senza folclore
conversazione con Achille Bonito Oliva di Maria Luisa Prete

MONDO

22 gli eventi del mese di Giorgia Bernoni
24 Londra, ispirati dal Belpaese di Carlo Berardi e Jason Lee

ITALIA

28 La Chapelle, il vizio ironico della vanità di Maurizio Vanni
34 gli eventi del mese di Silvia Novelli

GALLERIE & vernissage

36 filo art bar, aperitivo in galleria di Valentina Cavera
39 Rossmut, la nuova ricetta romana di Teresa Buono
42 Indirizzi d’arte di Maria Luisa Prete
48 le inaugurazioni del mese di Teresa Buono

PORTFOLIO

50 La memoria senza popolo di Giorgio Barrera

INSIDE ARTIST

52 aron demetz, le verità dell’anima in un cuore
di legno di Maurizio Zuccari

OUTSIDE ARTIST

59 Latrones, la voglia di cambiare declinata al plurale di Maria Luisa Prete

FORMAZIONE & LAVORO

63 torna arte laguna, a marzo i finalisti di Alessia Cervio

ARGOMENTI

67 Atelier Wicar, lille-Roma andata & ritorno di G. Bernoni
70 wicar e talent prize insieme per l’arte
intervista con la vicesindaco Catherine Cullen di Sophie Cnapelynck

MERCATO & MERCANTI

64 mature folgorazioni di Ornella Mazzola
72 aste, poche sorprese a Londra di Stefano Cosenz
73 la capitale inglese aspetta l’autunno di Stefano Cosenz

ARCHITETTURE & DESIGN

74 La rinascita in quattro stagioni di Valentina Piscitelli
76 “Slow architecture”, costruire con lentezza di L. Bosso
78 eataly, il bello preso per la gola di Giorgia Bernoni
82 Ugo nespolo, l’arte è di casa per campari di F. Angelucci
84 alessandro orlando, il talento esce se c’è di Giulio Spacca

LETTURE E FUMETTI

86 non a dio, né alla ragione, ma ai soldi, colloquio con Sebastiano Vassalli di Maurizio Zuccari
90 Juarez Machado, essenze ricche di note artistiche
di Camilla Mozzetti

VISIONI & MUSICA

92 Reality, dura e cruda realtà di Claudia Catalli
94 roma europa festival al via di Francesco Angelucci
95 Ammutinamenti, ravenna balla sotto le stelle
di Giorgia Bernoni
96 Urock, una partenza a stelle e strisce di Simone Cosimi


RUBRICHE

09 IL LINGUAGGIO DEGLI OCCHI di Giorgia Fiorio
21 LA FINESTRA SUL MONDO di Giorgia Calò
33 QUI ITALIA di Anna Ferraro
62 sacralitars di Andrea Dall’Asta
80 SEGNI PARTICOLARI di Francesca Castenetto
98 mipiacenonmipiace di Aldo Runfola
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Quattro cavalieri in cerca d’autore
Maurizio Zuccari
n. 92 dicembre 2012

Lunga vita alle pin up
Serena Savelli
n. 90 ottobre 2012

L'estate che verrà
Maria Luisa Prete
n. 88 luglio-agosto 2012

Cultura:un manifesto per ripartire
Maurizio Zuccari
n. 85 aprile 2012

Mastromatteo. Il paesaggio in superficie
Maria Luisa Prete
n. 83 febbraio 2012

Chiara Coccorese. Scatti dal paese delle meraviglie
Giorgia Bernoni
n. 82 dicembre 2011


Trastulli Gianluca, Io non ho paura, 2012

Ouddu Paolo, Ottorosso, 2012

Il tema trito e ritrito della crisi della modernità nasconde una circolarità, una ridondanza. Infatti crisi significa in realtà separazione, lacerazione. Ed anche: momento culminante di una malattia. E, a sua volta, modernità deriva dal latino modo: finora, ma non più. Di modo che la modernità, che discopre al tempo stesso la coscienza e la sua rottura, che conosce quindi se stessa in quanto coscienza storica e pertanto finita, mortale, non consiste in altro che in separarsi. Ma separarsi, da cosa? Forse dal Medio evo, o dall’Antico? [...] E tuttavia, non solo nel nostro corpo (questo corpo che essendo rovina – vale a dire, pura perdita – terrorizzava sant’Agostino), ma anche negli artefatti rifiutati, negli utili ormai inutili, nei nostri scritti anteriori, riletti a volte col timore e il pudore di scoprire in essi quell’altro che ugualmente ero io: avvertiamo in essi un’ombra d’inquietudine che monta dalle viscere come una marea. Un’inquietudine simile a una lieve brezza velenosa che sussurra: non è che ti manchi qualcosa per metterti in salvo, non è che tu abbia dei difetti, ma il fatto è che tu stesso sei infermità (infirmitas: mancanza della fermezza di un fondamento), tu stesso sei una collezione indefinita di mancanze e difetti. Mancanze e difetti, non di qualcosa di presente (o constatabile a partire da qualcosa che è presente), ma di ciò che non è mai stato, né potrà più essere. Ciò di cui sentiamo la mancanza sono progetti di vita, illusioni spezzate e a volte mai nate: ciò che sarebbe potuto essere. Non si decade mai da una situazione stabile e preesistente. Al contrario: siamo la caduta di molti sogni. […] La scienza, la tecnica, il diritto (insomma, la “civiltà”) fanno onestamente quanto possono per sviare il nostro sguardo da questa rovina, da questa perdita che siamo noi stessi. Lenitivi del dolore, si ripartiscono bene o male l’immenso vuoto lasciato dall’ombra del Dio morto (e il Dio cristiano è, per la terra e dalla terra, da sempre un Dio morto: di lui ci resta solo un sepolcro vuoto e la promessa di un ritorno). E sta bene così. Diversamente, la vita diventerebbe insopportabile. Se non possiamo essere tutto, a cosa vale essere qualcosa? Finché non ci renderemo conto, ancora una volta, che questa totalità sacra è fatta dei gironi dei nostri desideri incompiuti, dei nostri desideri non solo inconfessabili, ma sicuramente, nella loro maggioranza, inconsci e inconcepibili. L’arte e la fondazione della politica custodiscono questa integrità di spoglie e rifiuti. Essi non aprono la breccia del possibile, per permettere l’avanzata non si sa bene verso dove. Al contrario, mantengono la custodia dell’impossibile. La fine dell’arte, sancita da Hegel, costituisce in verità l’espansione irresistibile e planetaria dell’arte, solo che non più come un simbolo di concordia, di perfetta fusione tra forma e contenuto […] né tantomeno come un simbolo inconscio. […] La nuova che adesso si diffonde, come il lezzo dolciastro di un cadavere, e che non è mai esistito un tale simbolo, ma solo simulacri del suo sogno plurale. […] Se le cose stanno così, allora cominciamo a intravedere che la crisi della modernità è la modernità come crisi, e che il suolo d’Europa è composto dai rottami dei regni e degli imperi che ebbero la pretesa di fermarla. Dopotutto, l’Occidente è il luogo in cui tramonta il Sole: la terra dell’occaso, la terra che è occaso. […] Il moderno si conforma dipingendo artisticamente il demonio sulla parete, affinché rimanga lontano: senza considerare che tale pittura è già il demonio. È troppo tardi per rendere grazie a servigi in altro tempo prestati. È già qui il demonio, ma come spettro (non è mai stato altro: solo che adesso noi, contemporanei di tutti i tempi e di tutte le epoche, finalmente lo sappiamo). […] Ma poi, cosa ci resta? Ci resta da affrontare il sogno, in quanto tale.

Félix Duque e’ docente di filosofia
da Geni, dee e guardianicortesia Edizioni scientifiche italiane