Un ritmo di maree alterne
Renato Barilli
Naturalmente un tema come quello proposto dal presente convegno è, per me, un invito a nozze, quasi un risalire alle proprie radici. La "necessità di relazione" mi ricorda i tempi entusiastici della mia giovinezza, scanditi dal "relazionismo" di cui si era fatto accanito interprete Enzo Paci, in sinergia con gli insegnamenti della Scuola di Parigi, incentrata soprattutto su Merleau-Ponty: pronti, i francesi e l'italiano, a risalire al gran padre Husserl, e a darne una lettura "mondana", facendo cadere l'accento più sul versante esistenzial-fenomenico che su quello delle idee e della logistica. Ma mancava ancora, a questo quadro teorico, una fondazione "forte", quale poteva venire solo da un aggancio con la cultura materiale, con la tecnologia. L'occasione per operare un simile aggancio mi è venuta quando, a metà degli anni '60, all'uscita della traduzione italiana degli "Strumenti del comunicare", ho incontrato il pensiero di Marshall McLuhan, che da quel momento è divenuto per me una stella polare. E dunque, oggi non possiamo non ragionare nei termini del campo elettromagnetico, scoprendo così che ovunque e comunque siamo in rete, che mille fili ci intrecciano all'ambiente, fisico e sociale, naturale e culturale. Di ciò deve tener conto in primis l'opera d'arte, cui quindi stanno strette le vesti tradizionali della superficie dipinta, appesa alle pareti di gallerie. Essa non si lascia prendere da queste trappole ma si slancia a coinvolgere lo spazio e il tempo, presentandosi con assetti ben diversi da quelli del buon tempo antico.
Tutto noto e risaputo, tanto che non varrebbe neppure la pena di tornarci sopra. Su questo solido tronco, però, la mia esperienza capillare di critico militante mi insegna a inserire dei micro-movimenti dialettici, pendolari. Ovvero, l'invasione dello spazio-tempo si può condurre con modalità tra loro alquanto divaricate: talvolta il reticolo dei legami può essere di natura sottile, pressoché impalpabile, e allora l'arte va verso quel limite degli "immateriali" che Jean-François Lyotard ha documentato in una celebre mostra al Beaubourg. E' questa anche la prospettiva del postconcettuale, tutta all'insegna del "triangolo di Kosuth": solo foto, oggetto, e dichiarazioni linguistiche, con quasi assoluta proscrizione dei valori del colore, della mano, dei materiali fisici. Ma altre volte questi aspetti "ritornano", si fanno di nuovo incisivi, incombenti. Così come talvolta l'arte si protende verso il futuro, bruciando i vascelli alle sue spalle, ma talaltra si lascia attrarre dal passato. Diciamo allora, ricorrendo a una similitudine in chiave naturale, che questi ritmi altalenanti sono come i movimenti delle maree, dominati da una loro intrinseca necessità e regolarità, perfino prevedibile a distanza.
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