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Juliet Anno 22 Numero 121 febbraio - marzo 2005



Fulvia Spizzo

di Eleonora Gregorat



Art magazine
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Veri francobolli dalle Nazioni Unite FUNtastiche, AAA Edizioni

Veri francobolli dalle Nazioni Unite FUNtastiche, AAA Edizioni

Progetto di Fulvia Spizzo per Teatri di Vita, autoritratto, gennaio-dicembre 2001

Come spesso accade, quando siamo di fronte a una espressione originale, si nota una corrispondenza tra gli stilemi che sottendono i tratti fisici di un artista e il suo segno. Particolarmente vero per "la Spizzo", per chiamarla con una locuzione vagamente androgina, come il suo aspetto: la nervatura espressiva della sua linea la riflette coerentemente. Il suo stile, caratterizzato dall’irrinunciabile disegno della forma, esercitato nelle numerose tavole a fumetto degli esordi, si travasa da un mezzo all’altro, da un soggetto all’altro, con la sicura naturalezza di chi sembra essere nato con dei lapis al posto delle dita. È un’artista di lunga esperienza e un’insegnate d’arte sempre aperta alle sperimentazioni.Usa con grande raffinatezza tecniche semplici come il collage, la tempera, il frottage, il gesso. Per gli assemblaggi sceglie prevalentemente elementi purificati dal tempo e dall’usura, di cui sa cogliere l’intrinseca liricità.La sua gamma coloristica preferita è formata da tinte naturali e, come la linea ritmica e nervosa, è vincolata da una interiore esigenza di eleganza. Molto produttiva, ha fatto le più varie esperienze, e da sempre, continuamente, disegna, assembla, installa, costruisce, filma, danza e dipinge.Ha vissuto molti anni a Pordenone ma si è formata a Gorizia "prima della caduta del muro". Negli anni in cui la città era percorsa da originali correnti sperimentali, non solo per l’influenza dell’arte (soprattutto grafica) dei paesi dell’est, ma anche perché sede dell’intervento di Franco Basaglia, con effetti allargati al quotidiano degli abitanti.
Alle sperimentazioni solitarie e collettive nella pirotecnica atmosfera dei laboratori dell’Istituto d’arte Fabiani, seguivano i suoi viaggi da cui tornava con intrecci amicali piuttosto originali e raccolte di oggetti orfani e parlanti, da accudire, da incastonare in una storia.Il dialogo segreto con gli oggetti, memoria dei giochi fantasmagorici dell’infanzia, rappresenta uno dei criteri più usati per la scelta dei temi dei suoi quadri. Con suppellettili, indumenti, tazze, teiere, forchette, coltelli, piatti di zuppa, dolci di gesso, mattoni e soprattutto mobili: frigoriferi, credenze, cassettiere, sedie, l’artista instaura una sorta di complicità "animistica". Nei suoi quadri c’è sempre qualcosa che si muove, o che si è appena mosso, o manda segnali. Code e antenne, buchi neri o buffe espressioni umane spuntano inaspettatamente. Non sono in effetti solo dei mobili i suoi, sono dei contenitori di storie, di misteriose o forse indicibili pulsioni. Così è nella serie Mobilità dove frigoriferi e cassettiere (e ville) sembrano abitati da saturnine presenze. Le serie Vestitini, Momobili e Mattoni Animati evidenziano quella sua vena di ludica ironia, presente da sempre. Diamoci del te, una delle ultime opere in "cinque attimi", è girata improvvisamente in esterno: si vedono le tazze fumanti bisbigliare qualcosa, in una radura del bosco, invitati assenti, mentre l’artista si occupa di nuvole in viaggio.

Le numerose serie di ritratti, anche filmati, esprimono le sue riflessioni sull’identità e la forma dei volti, e anche i risultati imprevisti di una ricontestualizzazione degli atteggiamenti delle persone, come in Teatri di Vita. Dame e Toreri si fronteggiano in due serie parallele: le dame si sa che cosa vogliono, lo scrivono sui muri, Casa dolce casa, ma che cosa prendono o non prendono tutti quei toreri pensosi che si affacciano alla stessa finestra, da una polverosa natura morta alla Morandi, che sta al di qua?Tratto economico del suo essere una "mestierante" dell’arte era l’elaborazione in serie. Ora, col tempo, è proprio la serialità che si è sviluppata come principale elemento lirico della sua produzione. La sua visione si articola sempre più spesso in tre o più scene, come a catturare un elemento temporale sfuggente, collegato alle sue esperienze di fumetto e di teatro. Laboriose opere sequenziali sono Il Marinaretto ha il sole in faccia, ventiquattro (come i fotogrammi in un secondo), scene in cui il protagonista, un marinaretto alla Bibì e Bibò, esibisce una serie di micro-reazioni all’avvicendarsi delle apparizioni di vari animali in riva ad un riconoscibile (eppure archetipico) fiume Stella. Oppure Alunni con Numeri, costituita da 50 pannelli in cui compaiono volti di "alunni" oscurati da fiori giganteschi: catalogo botanico, catalogo di talenti. È una grande opera emblematica sul mondo della scuola, forse un’allusione alla difficoltà di instaurare un rapporto educativo che sia autenticamente maieutico. Alunni con Numeri è il seguito di Classe indisciplinata, praticamente un materasso da cui le molle si sono rese indipendenti così come gli alunni a volte fanno, lacerando il gruppo-classe, in preda ad una claustrofobia da campo di concentramento. E' a quello che fan subito pensare i vestiti numerati con cui si presentano le molle, ricavati dalla "pelle"del materasso, a strisce.
Rappresentativo dell’originalità della produzione della Spizzo è il minicatalogo di mobili "spiritati" che compare sulla serie di francobolli dedicatale da AAA edizioni e presentata a FUN of FUN.E questi invece? "Sono i mobili della casa delle Gemelle Irvette", dice lei ultimamente, chiudendo in un cerchio ideale la sua produzione. Le Gemelle Irvette, infatti, sono nate come striscia molti anni fa, da una giornata di spensierata schizofrenia. Abitano un mondo vuoto (da arredare, appunto) dove risuonano nonsense e giocose illazioni sulla loro identità doppia, tripla, nulla. Veramente impudiche, esprimono l’allegra nudità mentale attraverso un uso spregiudicato del linguaggio: frasi in libertà e persino locuzioni ecolaliche scandalosamente infantili (oppete, oppete).Non c’è da meravigliarsi che poi "l’architetto che c’è in me ci fischiano le orecchie", come ammette la Spizzo, sedendosi su una delle quattro sedie appena finite, piene di oppete e pasticcini, accanto ai Sig.ri Architetti Mario Marenco e Bruno Munari.

Eleonora Gregorat