L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Arte contemporanea Anno 1 Numero 4 novembre - dicembre 2006



ARTEZOOM

Giovanna Le Noci



bimestrale di informazione
e critica d'arte
Dadada 1916-2006
Dada e Dadaismi del
contemporaneo

Artezoom

Sound Zero
Arte e Musica dalla Pop
alla Street Art

Primo Piano.
Parole, azioni, musica,
immagini... in una collezione
d’Arte

L’Immagine del Vuoto

Fausto Melotti
Consonanze

Astrattismo Italiano
1910-1970
La Fiamma di Cristallo:
da Giacomo Balla a
Lucio Fontana e …

Gino Bogoni
Un Maestro del XX secolo

The Jean-Michel
Basquiat Show

Andy Warhol
The Bomb

Architettura Radicale

Manifestazioni Artistiche

Eventi Flash

20th Century Italian Art:
Nuovo Autunno Caldo

Risultati d’asta 2005/2006

Mostre in Italia

Mostre all’Estero
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Nelio Sonego
Diego A. Collovini
n. 38 dicembre 2015 - gennaio 2016

Riccardo Guarneri
Diego Collovini
n. 37 gennaio-febbraio 2015

Arturo Carmassi
Diego Collovini
n. 36 marzo-aprile 2014

Claudio Verna
Diego Collovini
n. 35 novembre-dicembre 2013

Gianfranco Zappettini
Diego Collovini
n. 34 giugno-luglio 2013

Maurizio Cesarini
Katiuscia Biondi Giacomelli
n. 33 febbraio-marzo 2013


Antonio D’agostino, Metamorfosi, 2006, rifacimento interpretato da Asha Bliss, in video, di una performance realizzata a Bologna presso la Galleria 2000 nel 1968

Maurizio Cesarini, The Rise and Fall of the Water
2006, still da video

Emiliano Zucchini, Ricucio Fontana Nero Opaco N° 4
2006 smalto e zip su tela

Questo gruppo, che già opera da qualche tempo, è costituito da artisti che rivelano paradossalmente una condizione di estrema singolarità; ognuno di loro pur lavorando con simili modalità è contraddistinto da una propria peculiarità operativa, inoltre il concetto di unione non presuppone una chiusura, anzi Artezoom si propone di essere aperto ad ogni intervento, ad ogni proposta artistica.
La presunta contraddizione tra singolarità e gruppo, tra unione ed apertura, viene adottata sia come pratica operativa, che teorica attraverso l'assunzione delle singole personalità nell'ambito della molteplicità della ricerca artistica.
La stessa definizione di Artezoom si presta ad una possibilità interpretativa non univoca, ma dichiaratamente aperta, pur riferendosi a situazioni e realtà artistiche individuabili diacronicamente nelle esperienze sviluppatesi già dagli anni '70, sincronicamente assume il presente attraverso la trasversalità e la contiguità dei linguaggi artistici adottati.
Zoom dal canto suo è un termine che, seppur definibile nel suo significato di vocabolo, tuttavia reca tracce di un trascorso artistico non eliminabile, né misconoscibile, caratterizzato da due funzioni significative: l'una onomatopeica e fonetica inerente al suono e al fragore degli strumenti a percussione, l'altra tecnico/tecnologica indicante sia una causa, l'obiettivo a lunghezza focale variabile, sia l'effetto che ne deriva, la carrellata ottica usata come effetto espressivo sia nel cinema, che nel video.
La metafora delle assonanze e delle differenze sono similarmente associabili ad esperienze artistiche di ampia valenza, una per tutte pensiamo al movimento di architettura Archizoom, caratterizzato da una creatività ludica e liberatoria che può riferirsi all'aspetto fonetico del termine, contestuale ad una lucidità progettuale legata alla produzione industriale relativa alla definizione tecnica del vocabolo.
Ma Artezoom seppure assume l'ambivalenza descritta, non si riduce a questo, adotta percorsi non lineari, introducendo lo scarto significativo come procedura dell'azione attraverso la pratica oggettuale, ma parimenti adotta modalità concettuali e visive attraverso prassi artistiche quali l'oggetto, il video e la fotografia. Ma come si diceva anche se il gruppo viene da lontano, sia per i riferimenti adottati, che per il rigore operativo, agisce radicalmente nel presente consapevole che nel periodo appena trascorso, la metafora ossessiva nell'arte sia stata la sparizione, i vari "post" del secolo appena concluso hanno successivamente indicato come questo prefisso abbia assunto il senso, non del superamento, ma dell'attraversamento, il porsi oltre, come movimento che presume ed ingloba le esperienze precedenti, ma al contempo le attualizza in una sorta di approfondimento dialettico.
Prendiamo in esame alcune idee che hanno caratterizzato le esperienze artistiche precedenti e che trovano riscontro nelle operazioni di Artezoom; Paul Virilio, filosofo contemporaneo, nell' "L'incidente del futuro", testo esemplare, ribadisce che l'incidente deriva ed è effetto già implicito della tecnologia; l'aereo ha già come effetto implicito della sua tecnologia, la possibilità di cadere, l'auto contiene in nuce la possibilità dello scontro.
Così l'incidente dell'arte, il gruppo, presuppone la motivazione interna al suo esistere; Dada, Fluxus, Concettuale, Video e quant'altro sono già inseriti nelle possibilità operative che Artezoom adotta, non come citazione, ma come possibilità costitutive dell'agire artistico.
Il disastro secondo Virilio è l'essenza del mondo, così come una inondazione svela e rivela la realtà dell'acqua, così la pratica artistica svela e rivela le realtà storiche ed attuali dell'arte che la prassi operativa contiene.
Un altro aspetto di Artezoom è la definizione non definitiva, non già afferente ad una rottura dei limiti, come accadeva nelle avanguardie post e non, quanto una aperta possibilità partecipativa sotto l'egida di una sigla che unisce differenti singolarità, pur mantenendo una intima coesione attorno ad un centro, ma al contempo praticando una modalità operativa decentrata, aperta e quindi possibile.
Non c'è neppure un vezzo ideologico che compatta il gruppo attorno ad una idea costrittiva, perché ciò significherebbe porsi nuovamente nel solco di una specificità temporale e determinata, ma come diceva Pierre Levy, che il virtuale non è il contrario del reale, ma una condizione che crea sensi al di sotto della presenza immediata, condizione totalizzante del qui ed ora, ecco ciò che caratterizza l'agire del gruppo, una pienezza del senso che si dà al momento del presentarsi dell'opera.
Quindi gli artisti di Artezoom pur rimanendo personalità specificatamente caratterizzate, si coagulano attorno ad un nome, una definizione che asserisce e sostiene una idea di un "qui ed ora", che pur recando le tracce temporali delle esperienze trascorse, fluidifica tali pratiche in una trasversalità operativa con una attitudine di spostamento del senso ed un ampliamento del fare artistico e dei suoi significati.
All'interno dei contesti operativi di Artezoom ci sono falle, aperture, sospensioni, dove si insinua l'agire e la riflessione artistica dei componenti, sorta di "non luoghi" secondo la definizione di Marc Augé, spazi di transito dell'arte definibili in termini relazionali, di gruppo, ma marcati da un agire che produce singolarità specchianti, il cui senso sta nel reciproco confronto dell'azione e della produzione artistica.
Prendiamo ad esempio l'uso del video, tutti i componenti del gruppo adottano questa prassi operativa, ma ciascuno ne individua una precisa peculiarità ed il tessuto nel quale si trovano ad operare, mostra una trama che va dall'analisi teorica del mezzo, esplicitata da una scelta tipologica documentaristica; all'utilizzo basso e per nulla filtrato della tecnologia; all'indagine video/filmica poetica e al tempo documentativa di performance ed happening; all'interazione identitaria con l'ambiente, che assume le forme di una sorta di ritualità; al quotidiano banale riscritto attraverso una pratica evocativa e descrittiva.
L'utilizzo di diverse possibilità quali l'oggetto, l'installazione, la fotografia, il video e persino la pittura, implica come si diceva una volontà precisa di attraversamento delle modalità espressive, dato come assioma operativo, ciò che risulta importante e significativo è invece una sorta di contaminazione trasversale, perché il senso non può cristallizzarsi in un'unica modalità, ma ampliandosi si avvale di più possibilità operative.
Ciò che contraddistingue il gruppo è che il dire non può dirsi né in modo univoco, né nella semplice singolarità, ma si sviluppa in varie forme di comunicazione artistica che si relazionano alle varie singolarità che lo compongono.
Allo sfaldarsi del senso del racconto forte, univoco, sorta di imbarcazione autosufficiente, si contrappone la dispersione del relitto, segno di un avvenuto naufragio del senso, ma dal contatto, dall'unione di singoli relitti si aprono nuovi sensi, così che il naufragio, secondo l'azzeccata metafora del filosofo Hans Blumenberg, non è più tale, ma diviene un'altra imbarcazione per continuare il viaggio.
Come recita Lucrezio nel De rerum natura:"Bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina, ma la distanza da una simile sorte"così si può paragonare l'attività di Artezoom, non semplice spettatore, ma anche attore che partecipa di ciò che accade, anzi opera nella coscienza del possibile naufragio.
Lo stesso manifesto del gruppo non ordina, non scandisce una prassi operativa obbligata, semmai utilizza i frantumi delle possibilità come azioni possibili di un estensivo operare artistico, pur mantenendo il rigore dell'appartenenza ad una idea condivisibile.
I componenti del gruppo provengono da diverse esperienze, che nascono già dagli anni'60, come Antonio D'Agostino che si muove in ambito performativo indagando con il video, il cinema e l'oggetto, il dato comportamentale; Maurizio Cesarini che parte dal dato corporeo esperito attraverso il video e l'oggetto; Michela Pozzi che indaga sensazioni e memorie mediante il corpo, attraverso la foto ed il video; Nico Macina, assume il dato analitico-concettuale come modalità creativa; Lionice Cola attraversa la quotidianità e la memoria utilizzando video, foto e oggetti; Emiliano Zucchini rilegge esperienze artistiche sia in senso visivo, che temporale con il video e l'oggetto.
Ma per meglio inquadrare il gruppo occorre una disamina più approfondita degli artisti che lo compongono, Antonio D'Agostino, già dagli anni '60 si muove in una circolarità plurima di interventi, lavora con la pittura realizzando strutture primarie destabilizzanti, pensate secondo una percettività ambigua, possibili ed impossibili al tempo.
Applica, con una intuizione sorprendente attuale, il concetto del ready-made al film, recuperando pellicole trovate che manipola inserendovi inquadrature di film diversi, alterando così l'effetto finale e producendo nuovi sensi, altri significati; è interessante notare come questa modalità sia oggi ampiamente impiegata, cosa che fà di D'Agostino un artista molto in anticipo sul suo tempo.
Le stesse ricerche condotte con il videotape, con cui realizza filmati che riprendono primissimi piani del corpo, anticipano di gran lunga esperienze oggi consolidate nell'ambito dell'arte contemporanea.
I soggetti di questi pezzi filmici sono, come si diceva, parti ravvicinate del corpo in una determinazione dell'esistenza attraverso gesti usuali e quotidiani, che rivelano personalità precipue, ma al tempo determinano un "esserci" di grande impatto filosofico.
Alcune sperimentazioni convergono successivamente in una serie dedicata ai cinque sensi, evidenziando come questi fungano da mediazione tra il sé ed il mondo, tra la propria interiorità ed i segni corporei che la manifestano.
Questa vitalistica ricerca di affermazione di "essere nel mondo", non strettamente identitaria e solipsistica, quanto invece collettiva e condivisibile, si concretizza nell'azione 270 metri cubi d'aria insacchettati operazione che si pone tra l'happening e l'installazione oggettuale, memore dell'aria di Parigi duchampiana e del fiato d'artista manzoniano.
Ma ciò che rende assolutamente nuova l'operazione di D'Agostino è l'idea di una
condivisibilità dell'evento che non si pone come narcisistico atto individuale, ma come ipotesi di interazione creativa con il pubblico.
La performance è un altro terreno su cui si muove l'artista, in Ego sum l'affermazione di sé non si esaurisce in una semplice dichiarazione egotica, ma pone precisi quesiti sull'esistenza, sulla comunicazione tra un io che domanda ed il mondo che contiene le risposte.
L'esperienza cinematografica è anch'essa caratterizzata da lucide analisi e precisi interrogativi, sia culturali e politici, che stilistici, adottando una grammatica filmica che scardina i luoghi comuni della visione e della narrazione visiva.
Ancor oggi la sua ricerca prosegue con coerente rigore, attraverso il video e l'oggetto, mantenendo una attuale tensione ideativa, non scevra da una lucida interrogazione sulle problematiche dell'arte.
Michela Pozzi adotta il video e la fotografia, in una ricerca coerente sul tempo e lo spazio, ad esempio in Home mostra una casa abbandonata, in cui l'artista quasi percepisce tracce mnestiche, pure rievocazioni di un vissuto che ella esperisce attraverso il proprio corpo.
L'artista attraversa gli spazi deserti della casa, struscia con l'epidermide in una sorta di simbiosi con i muri cadenti, sonda il terreno appropriandosi dello spazio con le mani, in una sorta di esperienza identitaria tra sé e l'ambiente, sottolineando questa intimità del luogo con un sonoro prodotto dal suono monotono di una lavatrice emblema di una quotidianità solo apparentemente discordante.
Nel video Per filo e per segno crea una paradosso temporale, la figura che incessantemente si muove in una ritmica gestualità, con una inversione di senso ricompone in matassa un filo già trasformato in gomitolo, mentre il suono del vento scandisce il movimento in una sorta di danza che nasce dal quotidiano per divenire elemento mitico e rituale.
Nelle foto, altro aspetto della ricerca artistica della Pozzi, è sempre il soggetto che si confronta con l'ambiente, la corporeità è assunta come paradigma dell'esperienza, in un processo che si attua mediante una dicotomia operativa. Nella serie In onda, l'artista si misura con lo spazio domestico, interagisce con gli oggetti, assume il corpo come misura del luogo, ma al tempo lo declina in pose che rispecchiano una intermediazione tra sé ed il mondo, adottando l'idea di adattamento alle cose, allo spazio circostante.
Viceversa nella serie Nel limite il soggetto viene personalizzato, in un tentativo di rapportarsi alla realtà che non può essere esperita se non rifiutando un adattamento all'ambiente ed agli oggetti che lo conformano.
Lionice Cola si muove su vari piani esperibili, utilizzando video, fotografia, oggetto, in una ricerca che pone l'idea di racconto come possibilità di trasmettere sensazioni primarie, intensamente quotidiane.
Nel video Nel mio giardino, tre generazioni di donne assumono coscienza di sé, del proprio tempo, della propria identità, attraverso il gesto di leccare il proprio e l'altrui corpo, metafora incarnata di intimità conoscitiva ed emozionale.
L'impianto espressivo adottato nelle riprese e nel montaggio, sottolinea questo senso di intimità familiare e declina l'idea di una temporalità corporea ed affettiva, che si arresta in un eterno presente. Gli oggetti, come la valigia, testimoniano ancor più l'intimo legame tra memoria, sensazione e realtà, perché non si tratta semplicemente di evocare o ricordare, ma semmai di intessere una sottile trama che traduca l'emozione in opera, dandogli la forma del presente, non disgiunta dall'emozione del ricordo.
Tutto concorre a dare forma alla traccia mnemonica, il colore che si palesa in decise intensità, la forma che si dà nelle ampie possibilità metamorfiche, gli odori che suggeriscono inattese analogie con il vissuto.
Nico Macina agisce nello spazio interstiziale posto tra ludico ed analitico, esplora la materia nel suo darsi, attraverso i procedimenti che la informano, come nel caso della serie fotografica Bbtween, in cui lo sporco, la sfocatura, lo sfondo di sapore domestico, contrastano con l'idea di una foto correttamente realizzata, ma mostrano altresì ciò che normalmente non appare, l'eccesso, il resto, la traccia, che comunemente vengono esclusi dalla "bella foto", come elementi di disturbo visivo.
La stessa idea di profondità spaziale, viene alterata, con la messa a fuoco del fondo rispetto al personaggio, attraverso l'uso di tovaglie che se introducono un elemento quotidiano, subitamente lo negano attraverso la loro opaca presenza oggettuale.
Nel video Esiste l'infinito, opera su più registi, dalla didascalica e documentaristica inquadratura fissa, aperta su di uno sfondo balneare anonimo, assunzione del luogo comune come metafora visiva, alla sequela di figure che si dissolvono le une sulle altre con monotona continuità.
I personaggi, semplici comparse, sono caratterizzate da una anonimia che ambiguamente suggerisce che il senso del lavoro vada cercato altrove, difatti alla fine si comprende il significato delle paradossali parole che questi proferiscono (attraverso una didascalia posta sotto le inquadrature), l'insensato acquista senso alla esplicita domanda che alfine viene rivelata Esiste l'infinito e dove si trova?, in un continuum presente viene dato da rispondere, poiché il suono non segue il ciclico movimento marino, ma utilizza un frame sonoro di questo, indefinitamente ripetuto.
L'intuizione ludico-analitica di Macina si rivela in un curioso oggetto, sorta di piano per un ipotetico gioco dell'oca, dove i vari passaggi stabiliti da un dado, pongono precisi quesiti su atteggiamenti ermeneutici da adottare rispetto all'idea di opera ed operatività artistica.
Emiliano Zucchini opera sul tempo inteso nell'accezione di transitorietà e di durata, nel video Tre attimi l'intendimento dell'artista, appare subitamente evidente, già nella tripartizione dello schermo che configura una triplice possibilità temporale. Secondo Newton il tempo appare indipendente dagli avvenimenti, mentre secondo Leibniz, non ci può essere tempo indipendentemente dagli avvenimenti, nel video citato la questione pare risolversi attraverso il procedere delle immagini, infatti nella scansione tripartita sottolineata da tre orologi che figurano il passato, il presente ed il futuro, l'azione sovverte la dinamica temporale. Il gesto compiuto nel futuro si trasferisce nel presente e subitamente scivola nel passato, attraverso una minima sfasatura del movimento, cosicché il concetto di tempo è presto stravolto, sia negli strumenti atti a misurarlo, l'orologio fissato su di un'unica ora, sia attraverso gli avvenimenti prodotti che dipendono dal tempo lineare, eppure ne sono indipendenti.
La questione appare più sottile nel video Tratto da una storia vera dove il gesto del lavacro delle mani assume una sorta di coazione a ripetere, amplificata da passaggi visivi che giocano sulla lentezza o la velocità delle immagini.
Nelle opere oggettuali l'artista lavora su di un concetto di temporalità culturale e di forma, le tele slabbrate da un taglio di fontaniana memoria, vengono ricucite attraverso l'inserzione di una cerniera obliterando lo spazio che Fontana aveva dichiaratamente aperto.
Il tempo della storia dell'arte è richiuso da un gesto attuale che ridefinisce la questione e pone nuovi problemi concettuali, se il tempo si coniuga con lo spazio, il gesto di Zucchini, chiude lo spazio e ferma il tempo.
Interessante inoltre rilevare come nelle ultime opere la cerniera occlude tagli procurati su superfici simili alla pelle, connotanti una tipologia dell'abito che trova adozione in precisi ambiti, così come la figura che appare nel video è caratterizzata essa stessa da un indumento che ricorda queste superfici, chiuso da una delle tipiche cerniere che l'artista adotta come proprio emblema espressivo.
Maurizio Cesarini adotta una sorta di visione strabica del mondo, ciò che l'artista vede, può divenire opera, quindi gli oggetti, i frammenti del vissuto e del percepito sono nel mondo in silente attesa di un atto conoscitivo e dichiarativo che li inserisca nel territorio dell'arte.
Usa la fotografia non come documento, ma per dare consistenza all'oggetto veduto e riconosciuto come opera, oggetto che non viene raccolto ed esposto, perché la sua natura è solo quella di mostrarsi, non di cristallizzarsi in una presenza decontestualizzata.
Quindi fotografa ciò che non deve essere asportato, perché il semplice vedere è già garanzia sufficiente della sua artisticità, la tecnica adottata è essa stessa un oggettualizzare la vista.
Le foto sono fatte con una macchina dozzinale, stampate senza alcun intervento da parte dell'autore, accettando a priori difetti, imprecisioni ed errori tecnici insiti nel procedimento, cosicché la prassi tecnica equivale esattamente alla scelta dell'oggetto riprodotto.
Nei video adotta il medesimo procedimento, utilizza schegge di girato, montate tra loro senza alcun utilizzo di particolari effetti tecnici, adottando l'idea del frammento come metafora della molteplicità del reale, montando quindi i vari frantumi visivi a ricreare una totalità del possibile.