AI MAGAZINE Anno 5 Numero 53 agosto-settembre 2011
Le opere di tre interessanti artisti esposte alla Sala San Tommaso di Venezia
Nell’ambito di questa edizione della Biennale di Venezia, curata da Bice Curiger, che sotto l’onnicomprensivo titolo “Illuminazioni” propone un denso programma, il cui percorso tradizionalmente si snoda tra i padiglioni dei Giardini e l’Arsenale, che polarizzano la maggiore attenzione dei visitatori, vanno registrati ben trentasette “Eventi collaterali”, a cui l’intera città lagunare si apre, per diventare un contenitore unico al mondo, con i suoi spazi e i suoi edifici, di eventi espositivi che, anche se più defilati, non sono meno interessanti: anzi, anche per questo motivo, si offrono alla fruizione di un pubblico più attento, che, con l’occasione, ha modo anche di “scoprire” luoghi più affascinanti e spesso veri “gioielli” della città.
E’ il caso di questa interessante mostra – intitolata, forse con un intento “provocatorio” nei confronti del tema della Biennale, “Menglong - Oscurità” - promossa dal Nanjing Sifang Museum ed allestita nella Sala San Tommaso in campo SS. Giovanni e Paolo, in un’ambientazione che evoca il passato glorioso della storia e dell’arte veneziana. Il titolo, non certo casuale, riprende quello di una breve poesia del 1979 del poeta “oscuro” Gu Cheng, appartenente a quel gruppo di letterati che, verso la fine degli anni Settanta, proclamavano una sorta di rottura con la politica cinese, per cui l’arte era servita a lungo esclusivamente come strumento di propaganda. Dopo un ventennio segnato dal dibattito politico e dalla guerriglia sociale, l’arte cinese perde in parte questi contenuti per collocarsi in un contesto più globale e commerciale, riscoprendo le ragioni e le pulsioni della “persona” e dell’individuo, soffocate da quelle della “collettività”, in un nuovo ed originale approccio con la creazione artistica che sveli finalmente il “privato”, quando il privato era sempre stato proibito, appellandosi addirittura ad un concetto astratto e storicamente più occidentale, ai valori cioè dello “spirito”.
In un avvolgente allestimento, che pone le loro opere a confronto, in una sorta di serrato dialogo tra personalità comunque ben distinte (e diverse tra loro), Jia Aili, Qiu Anxiong e Qiu Xiaofei intrecciano i loro discorsi in una comunicazione complessa, che si offre a letture e decifrazioni che si affidano alla sensibilità di ciascun visitatore, il quale saprà arricchire ulteriormente la mostra di significati e di stimoli emotivi.
Sui finestroni della sala San Tommaso sono stati allestiti i video di Qiu Anxiong: volti in bianco e nero di persone che si susseguono e si dissolvono in quelli di altre, come ad indicare un senso di smarrimento e di perdita di identità. L’artista, nato nel 1972 a Chengdu, capitale della provincia di Sichuan nel sud-ovest della Cina (vive a Shanghai) lavora con film, animazione e disegno, spesso combinando queste discipline per creare installazioni multimediali,Qiu has developed a distinctive and inimitable visual style that draws upon traditional Chinese scroll painting, landscape and ink-and-brush painting techniques. ha sviluppato uno stile originale che attinge alla pittura tradizionale cinese, usando inchiostro e pennello, per raccontare il trascorrere di un tempo, sia reale che inventato, creando immagini, chiaramente delineate in una affascinante cornice narrativa, che rappresentano l’inquietudine e l’assurdità di un uomo schiacciato dal degrado ambientale e dalla disgregazione sociale.
Qiu Xiaofei (nato nel 1977 a Haerbin nel nord-est della Cina) punta invece sull’autobiografismo, mettendo a nudo una parte intima e privata della sua vita e della sua famiglia. In una cassa enorme ricrea quella che era la sua stanza da bambino e vi posiziona in fondo due televisori: in uno viene proiettato un video della madre, realmente afflitta da schizofrenia, mentre nell’altro schermo, l’artista, travestito con gli abiti materni, recita gli atteggiamenti folli della sua malattia. La sua pratica artistica, che comprende pittura, pittura-scultura tridimensionale e installazioni, è rivolta in gran parte ad indagare il rapporto tra memoria e storia, la natura soggettiva del vissuto e soprattutto dell’infanzia, il tema stesso della percezione, ma vi affiora tutta la complessità e difficoltà di tradurre in pittura ricordi lontani ed immagini immaginate. Qiu Xiaofei expands these explorations in his sculptural paintings, which involve objects, usually toys or memories from an era already past, sculpted out of fiberglass and plastic and then painted over, lending them an altogether painterly appearance. I suoi dipinti e le sue sculture hanno però un approccio ironico nei confronti del passato, che ne risulta a volte stravolto, come a dire che la percezione di cose lontane non è che l’illusione di farle rivivere; mentre nelle sue installazioni più recenti premono temi più ampi, come l’indagine sul potere, sul condizionamento dei media e sulla complessità sociale, rivissuti in maniera surrealistica.
Jia Aili (Pechino, 1979) propone una pittura piuttosto cupa; le sue tele offrono scenari surreali, proiezione di una dimensione onirica, densi delle paure e delle inquietudini che affliggono l’uomo contemporaneo, che appare vulnerabile, incerto di fronte ad un futuro che ha sempre più i colori del “menglong”, cioè di una oscurità in cui è impossibile orientarsi, in cui però sembra cogliersi l’auspicio che Gu Cheng, esprimeva nei suoi versi (“La notte nera mi ha dato occhi neri, ma li uso per cercare la luce”). Nel suo lavoro Jia Aili utilizza una tavolozza dei colori tenui e la pennellata veloce, rievocando le emozioni e lo stato di “disorientamento” da lui fortemente sentito in una società in via di sviluppo; la sua carica emotiva e il suo intenso lavoro riflettono sulla propria avventura esistenziale la mancanza di certezze sia sul fronte individuale che collettivo. Attraverso lo scenario offerto dai suoi dipinti, egli racconta con ricchezza di sfumature stati d’animo strettamente privati che a suo avviso dovrebbero essere comprensibili a tutti; Jia Aili wants viewers to feel the anguish and isolation that engulfs his painted world: at least to step out or their worlds for a moment and experience his. Jia Aili vuole far condividere ai destinatari delle sue opere l’angoscia e l’isolamento che avvolge il suo mondo dipinto. La sua riflessione artistica è, dunque, più in generale, sulla “condizione umana”, in quanto tale. Anche se la natura mutevole della vita quotidiana nel suo paese, e la sua esperienza individuale in questa società in rapida modernizzazione non possono che acuire in lui la consapevolezza e l’urgenza di essere comunque pienamente partecipe del proprio ambiente.