Arte contemporanea Anno 6 Numero 29 ottobre-novembre 2011
Una Retrospettiva
Paolo Cotani, 1978
Lettera di risposta a Claudio Cerritelli
[…] Sono rientrato in Italia nel ’70, avendo soggiornato per circa quattro anni in Inghilterra; […] questa lunga assenza dall’Italia ha fatto sì che al mio rientro la situazione nel campo artistico si presentasse completamente nuova, da essere scoperta sia nel rapporto con le gallerie, sia con gli artisti della mia generazione i quali a differenza di me, erano già partecipi dei “vari schieramenti”.
La mia storia di lavoro cominciava con una libertà priva di vincoli e questa perfettamente di identificava con le ragioni che hanno motivato il mio rapporto con l’opera. Ciò significava che di fatto non ho mai inteso vincolare l’esperienza condotta nella strettoia delle definizioni […].
Qualcuno aveva stabilito per me l’area di collocazione del prodotto.
Le sigle sono come le camicie strette, scomode.
[…] Credo sia difficile una valutazione degli elementi negativi o di quelli positivi che possono venire dall’aver partecipato a determinate mostre di tendenza; d’altra parte penso che questi siano prodotti da fattori complessi che regolano poi l’insieme dei rapporti dominanti nel mondo dell’arte e, in quanto tali, rientrano nella logica del ruolo che ciascuno di noi gioca nell’ambito della “professione”. Tendo però a sottovalutare il significato di determinati processo […] convinto che tutto questo abbia poco a che vedere con il lavoro stesso […].
È senz’altro vero che l’etichetta “nuova pittura” ha riaggregato delle forze operanti emarginate da altre aree di ricerca. Direi, per essere più precisi, emarginate da un sistema di gestione del mercato e ancora più gravemente di politica culturale che stabiliscono, su tempi assolutamente arbitrari, il momento e la validità di determinate esperienze.
Tuttavia […] non è una ragione sufficiente perché io condivida tale pratica.
[…] L’artista vive in modo subalterno le fasi che vedono emergere alcune aree della ricerca rispetto ad altre, e questo per motivazioni estranee alla presupposta validità, o meno dei diversi filoni di ricerca.
Più semplicemente l’artista non ha nessun controllo sulle strutture che gestiscono il suo lavoro che, pure, lui stesso ha prodotto.
[…] Temo di non aver saputo mai stabilire con la critica rapporti che andassero oltre un discorso sui temi generali dell’arte. Le cause di questo incontro rimandato non sono certo da attribuire alla mia volontà di negare a questa il proprio ruolo, tanto meno dalla sua autonomia rispetto all’operazione che l’artista compie. Nasce invece dalla mia difficoltà ad intendere tale rapporto, se non nei termini canonici e corrispettivi alle ben circoscritte aree specifiche.
Temo ancora che […] le contraddizioni che nascono dalle corrispettive esigenze operative generino ancora quell’area del sospetto che in larga misura determina i rapporti tra critici e artisti. Volutamente ho inteso conflittualizzare tale rapporto perché a mio avviso il punto non riguarda un presupposto interesse-disinteresse per l’opera che il critico svolge, quanto […] avere la volontà di rivedere in quali termini si è configurato “oggi” il corrispettivo ruolo, e se questo non sia suscettibile di modificazione; perché di questo si tratta.
[…] Mi sembra che sia sufficientemente evidente oggi […] che la situazione della pittura svolta in Italia intorno agli anni ’70 si configuri in termini abbastanza particolari rispetto a esperienze contemporaneamente avvenute in latri paesi. Si rivela ad es. lontana da quella degli Stati Uniti, dove le matrici della ricerca si precisano chiaramente nell’ambito di una “tradizione recente” […]. Anche se apparentemente più ricca di elementi comuni, è lontana anche dall’esperienza di Sport-Surface pretenziosamente teso a connotarsi di significati ideologici “nel caso specifico una pratica marxista dell’arte”, ma che di fatto utilizza tutto il repertorio della tradizione astratta caricato di significazioni simboliche ben lontane da un risultato in cui la definizione dell’icona ne giustifichi il senso. A questo punto credo sia giusto chiedersi che cosa ha rappresentato la pittura in Italia, cosa ha significato e quali sono stati gli elementi che ne hanno caratterizzato i comportamenti.
Un dato, a mio avviso, emergente da questa esperienza e ritrovabile proprio nella forzatura ad aggregare artisti che al di là di un generico utilizzo dei mezzi della pittura, e per origini culturali, e per progetto, erano e rimangono profondamente diversi tra loro.
L’esperienza della pittura in Italia quindi si presenta in termini assolutamente non omogenei e una analisi rigorosa del fenomeno non può prescindere da queste considerazioni. Appare evidente che in un contesto per l’appunto così poco omogeneo i limiti rimangono quelli causati da una volontà di definizione per un fenomeno che di tutto aveva bisogno fuorché di essere ridefinito. Direi ancora che da questa esperienza è emerso un dato sostanzialmente legato al problema fondamentale della visione là dove il processo della pittura non è più riconducibile al fenomeno della percezione: “l’occhio e la retina”. Proprio dal superamento di questo presupposto che è possibile prefigurare una serie di ipotesi operative totalmente aperte a nuovi sviluppi. In questo senso ho inteso e praticato il mio lavoro, e da questo che si è sviluppato il più recente.