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Arte contemporanea Anno 6 Numero 29 ottobre-novembre 2011



Paolo Cotani

Una Retrospettiva



bimestrale di informazione
e critica d'arte


SOMMARIO Arte Contemporanea N° 29

Paolo Cotani
Una retrospettiva



Oltre gli ulivi i confini dell’opera
Conversazione con Mauro Staccioli

Georges Mathieu 1948-1969

Claudio Verna
Moti di colore

Il MART riscopre l’arte Italiana della Collezione
VAF-Stiftung 1947-2010

Mimmo Rotella e la Cooperarte

Raymond Hains
La Collezione Boudon

M’arcord Mario
I luoghi, i volti e le parole di Mario Giacomelli

Chen Zhen
Les pas silencieux

Emiliano Zucchini
Antenna

Renata Boero
“Cromogrammi”

Tancredi
Genio Tormentato

Luca Giacobbe
Fragili normalità cromatiche

Tre sculturi, oggi
Almagno - Melotta - Porcari

Fernando Gabellotto

Pino Pascali
Mediterraneo Metropolitano

Silvano Bozzolini
Spazialità Musicale

Conversazione con Ottavio Pinarello

Il corpo della percezione
Bruny Sartori in mostra a Treviso

Luoghi e realtà di ricerca tra identità e mutamento

Heidi Martin Kuster
alla Galleria Zamenhof
Appunti di viaggio

Michele Licata
e le forme minimaliste

Divieto di Affissione
Giovani avanguardie del sud del mondo

Leonardo Drew

Francesco Proia
Cani e porci
L’evoluzione di David Hockney

Il Certificato di Autenticità
False certezze ed autentici problemi

Eventi Flash

Risultati d’asta 2010/2011

Mostre in Italia
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Katiuscia Biondi Giacomelli
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Cotani nello Studio di Via Brunetti a Roma, 1987
Courtesy Archivio Paolo Cotani, Roma

Paolo Cotani
Bende elastiche e colore acrilico, 1975
150x150 cm
Courtesy Delloro Galleries,Roma | Berlin

Opere di Paolo Cotani
Galleria Delloro Arte Contemporanea, Roma 2011

Paolo Cotani, 1978
Lettera di risposta a Claudio Cerritelli


[…] Sono rientrato in Italia nel ’70, avendo soggiornato per circa quattro anni in Inghilterra; […] questa lunga assenza dall’Italia ha fatto sì che al mio rientro la situazione nel campo artistico si presentasse completamente nuova, da essere scoperta sia nel rapporto con le gallerie, sia con gli artisti della mia generazione i quali a differenza di me, erano già partecipi dei “vari schieramenti”.

La mia storia di lavoro cominciava con una libertà priva di vincoli e questa perfettamente di identificava con le ragioni che hanno motivato il mio rapporto con l’opera. Ciò significava che di fatto non ho mai inteso vincolare l’esperienza condotta nella strettoia delle definizioni […].
Qualcuno aveva stabilito per me l’area di collocazione del prodotto.
Le sigle sono come le camicie strette, scomode.
[…] Credo sia difficile una valutazione degli elementi negativi o di quelli positivi che possono venire dall’aver partecipato a determinate mostre di tendenza; d’altra parte penso che questi siano prodotti da fattori complessi che regolano poi l’insieme dei rapporti dominanti nel mondo dell’arte e, in quanto tali, rientrano nella logica del ruolo che ciascuno di noi gioca nell’ambito della “professione”. Tendo però a sottovalutare il significato di determinati processo […] convinto che tutto questo abbia poco a che vedere con il lavoro stesso […].

È senz’altro vero che l’etichetta “nuova pittura” ha riaggregato delle forze operanti emarginate da altre aree di ricerca. Direi, per essere più precisi, emarginate da un sistema di gestione del mercato e ancora più gravemente di politica culturale che stabiliscono, su tempi assolutamente arbitrari, il momento e la validità di determinate esperienze.
Tuttavia […] non è una ragione sufficiente perché io condivida tale pratica.
[…] L’artista vive in modo subalterno le fasi che vedono emergere alcune aree della ricerca rispetto ad altre, e questo per motivazioni estranee alla presupposta validità, o meno dei diversi filoni di ricerca.
Più semplicemente l’artista non ha nessun controllo sulle strutture che gestiscono il suo lavoro che, pure, lui stesso ha prodotto.
[…] Temo di non aver saputo mai stabilire con la critica rapporti che andassero oltre un discorso sui temi generali dell’arte. Le cause di questo incontro rimandato non sono certo da attribuire alla mia volontà di negare a questa il proprio ruolo, tanto meno dalla sua autonomia rispetto all’operazione che l’artista compie. Nasce invece dalla mia difficoltà ad intendere tale rapporto, se non nei termini canonici e corrispettivi alle ben circoscritte aree specifiche.

Temo ancora che […] le contraddizioni che nascono dalle corrispettive esigenze operative generino ancora quell’area del sospetto che in larga misura determina i rapporti tra critici e artisti. Volutamente ho inteso conflittualizzare tale rapporto perché a mio avviso il punto non riguarda un presupposto interesse-disinteresse per l’opera che il critico svolge, quanto […] avere la volontà di rivedere in quali termini si è configurato “oggi” il corrispettivo ruolo, e se questo non sia suscettibile di modificazione; perché di questo si tratta.
[…] Mi sembra che sia sufficientemente evidente oggi […] che la situazione della pittura svolta in Italia intorno agli anni ’70 si configuri in termini abbastanza particolari rispetto a esperienze contemporaneamente avvenute in latri paesi. Si rivela ad es. lontana da quella degli Stati Uniti, dove le matrici della ricerca si precisano chiaramente nell’ambito di una “tradizione recente” […]. Anche se apparentemente più ricca di elementi comuni, è lontana anche dall’esperienza di Sport-Surface pretenziosamente teso a connotarsi di significati ideologici “nel caso specifico una pratica marxista dell’arte”, ma che di fatto utilizza tutto il repertorio della tradizione astratta caricato di significazioni simboliche ben lontane da un risultato in cui la definizione dell’icona ne giustifichi il senso. A questo punto credo sia giusto chiedersi che cosa ha rappresentato la pittura in Italia, cosa ha significato e quali sono stati gli elementi che ne hanno caratterizzato i comportamenti.
Un dato, a mio avviso, emergente da questa esperienza e ritrovabile proprio nella forzatura ad aggregare artisti che al di là di un generico utilizzo dei mezzi della pittura, e per origini culturali, e per progetto, erano e rimangono profondamente diversi tra loro.

L’esperienza della pittura in Italia quindi si presenta in termini assolutamente non omogenei e una analisi rigorosa del fenomeno non può prescindere da queste considerazioni. Appare evidente che in un contesto per l’appunto così poco omogeneo i limiti rimangono quelli causati da una volontà di definizione per un fenomeno che di tutto aveva bisogno fuorché di essere ridefinito. Direi ancora che da questa esperienza è emerso un dato sostanzialmente legato al problema fondamentale della visione là dove il processo della pittura non è più riconducibile al fenomeno della percezione: “l’occhio e la retina”. Proprio dal superamento di questo presupposto che è possibile prefigurare una serie di ipotesi operative totalmente aperte a nuovi sviluppi. In questo senso ho inteso e praticato il mio lavoro, e da questo che si è sviluppato il più recente.