AI MAGAZINE Anno 5 Numero 55 dicembre 2011-gennaio 2012
“Meditare il Vangelo fino in fondo, questo è l'essenziale. Là c’è la spiegazione di ogni problema anche odierno. Studiatelo e approfondite meglio la sua essenza, non si è mai studiato e capito abbastanza. Là si parla di amore, non di violenza o giustizia come la intendete voi”, così Laura Maschi, autodidatta, grande conoscitrice delle Sacre Scritture, donna appartata, studiosa notturna, dall’indole visionario-profetica, spesso boicottata dalla Chiesa Cattolica, scriveva nel lontano 1968, in piena contestazione giovanile. Una sorta di richiamo, il suo, a riprendere quella voce che scaturiva dai nostri archetipi tradizionali, dalla nostra struttura fisico concettuale giudaico-cristiana, come un tempo la si catalogava, definendola in tal modo così che il resto del mondo mistico-filosofico intendesse bene la matrice di provenienza, per poi confrontarla con la propria, e trovare eventuali punti di congiunzione e poi d’intesa.
Molti i suoni e tante le immagini che da allora si sono venuti a innestare in quel tronco originario… un tronco che ha le radici nel paganesimo, nei venti d’Oriente, nelle saghe teurgiche, nei bisbigli del Grande Nord, nel confabulare dei filosofi greci… suoni che il Cristo ben conosceva e, prima di lui, il suo popolo, l’ebraico, il grande errante, fra parole consonantiche private di vocali. Parole di gola, rotolanti o aspirate, rimbombanti nel cavo orale delle Monadi.
Conosco Paola Castagna, fotografa e poeta, da tempo. L’aver frequentato il fotografo emiliano Luigi Ghirri e il grande regista Ermanno Olmi, per mestiere, ma anche per antica amicizia, le vale come biglietto da visita. Il suo essere, lei e in lei, una grande madre dello scatto e del suono non mi è nuovo. L’attendevo, perciò, a una prova del genere, cioè il ridare sembianze a quelle componenti mistiche che, maggiormente, l’hanno colpita dei testi sacri, rivisitandone i caratteri, tratteggiandone i profili, dando loro nuove movenze, analizzandole nel loro rutilare, mantenendone il senso metafisico, il gesto fiero oppure umiliato dall’impotenza… quella dovuta all’incapacità di misurarsi totalmente col divino.
Sempre la Maschi, negli anni successivi, scriveva in lettera a noi giovani “maghi”, seguaci del sapere occulto, indagatori dei misteri, kabbalisti, alchimisti, rosacrociani, poi simbolisti, quindi poeti-sacerdoti-guerrieri invasi dall’ultraumano: “Solo gli umili e i semplici capiranno il profondo significato che è nascosto nelle figure e nei fatti narrati nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Ogni fatto e ogni figura ha un suo significato ultraterreno, perciò gli uomini superbi, fra cui molti intellettuali, non vogliono credere, quindi non potranno capire.”
Queste nuove fotografie-racconto di Paola Castagna, frutto di una seria e rispettosa immersione in materia oltremodo esplosiva, diventano, in prospettiva, un atto di fede, un misurarsi oltre che con se stessa anche (se non soprattutto) con la nostra cultura e, di seguito, con la nostra rappresentazione e le nostre scritture (quelle, appunto, di stampo occidentale).
Del resto si sa che le opere frutto della mistica femminile si possono leggere e studiare da più punti di vista: teologico, religioso, letterario, sociologico, psicoanalitico, filosofico, ma nessuna di esse, a mio modesto avviso, può ignorare (pena una comprensione ridotta o deformata dei testi stessi) le strategie di libertà messe in atto dalle loro autrici. Libertà, e non parità o emancipazione, affinché l’onda emozionale non si arresti al confronto con l’interpretazione che fu tipica (e, spesso, è ancora prerogativa unica) del maschile, facendoci perdere, insieme all’allegoria dell’assoluto, che caratterizza ogni creazione rivolta a un vertice, il legame originario tra tale figurazione metaforica e il piacere femminile, legame che fa sfociare, quel gusto, nel cielo di una gioia svincolata dal canone, e perciò indistruttibile, perché atemporale e iniziale (se non iniziatica). Infatti in ogni opera avente matrice mistica, la donna è in rapporto con un altro che non è l’uomo. In questo le immagini sono parlati/parlanti di un’esperienza di relazione i cui termini non stanno nell’ordine di questo mondo, proiettando molta luce creatrice sulla particolarità tipica, propria del femminile, di gestirsi, per indole e per metabolismi, e non per induzione, il magma arcano.
Così spirito e paesaggio si ritrovano uniti nel loro insieme (e anche in questo la grande prerogativa del femminile), e, dall’anima e dalla terra, che sono (secondo la nostra tradizione) le due parti che definiscono l’essere, può prendere significato il tutto che è l’umano (e l’umanità); quindi l’uomo vivente in base all’anima e l’uomo che si misura in uno spazio non sono due dimensioni diverse, ma la medesima essenza, cioè l’uomo che vive secondo l’uomo e per l’uomo, appunto quale volontà divina… quale convergenza naturale.
Ribadì il grande teologo luterano Jürgen Moltmann durante una lezione da lui tenuta presso l’Università di Tubinga “sull’alienazione nel contemporaneo”, lezione a cui assistetti quando dimoravo in Germania: “Il vostro disagio è giusto. Le congetture fatte dagli uomini, in materia di fede, spesso non sono esatte. Oggi l’uomo moderno ha bisogno di nuove formulazioni di realtà spirituali inerenti ai doni concessi da Dio alla Sua creatura. Tali formulazioni hanno bisogno di essere aggiornate, spiegate, rilette e comprese con lo spirito critico moderno.”
Reputo che con tale approccio di ordine sapienziale necessiti avvicinarsi a questi scatti fotografici, a tratti epici e a tratti lirici, sottoposti a quell’altalenare musicale ritrovabile anche nella Septuaginta (la prima versione in greco antico della Bibbia). Quell’ordine sapienziale che ha sempre fatto in modo che i testi sacri siano eterni, perché eterna sarà la ricerca dell’uomo, quale unica certezza a noi concessa, assieme a quella del dover (prima o poi) morire.
Seppure Paola Castagna affondi con coraggio le mani nel mistico (perciò nel trascendentale), è comunque dell’uomo ciò che lei narra, così che la dimensione artistica risulta, in ultima istanza, ben concreta nel misurarsi con immagini simboliche, leggendarie e figurate. Tale componente e tale metodo di compenetrazione mi paiono i migliori, in quest’epoca di perdita, di assenza, di effimera incapacità di definirsi, così da riportarci a una sorta di visionarietà catartica quale dimensione prima del suo esistere, cioè quale processo caldo di relazione, quale incontro, quale possibilità, quale passione, al di fuori di ogni aspetto epistemologico, quindi freddo, razionale, comandato (cioè: imposto), e, di seguito, in piena rottura con codici prestabiliti.
Infine, a pensarci bene, non è un ordine quello che ricevette Maria dalla presenza misteriosa e alata che le apparve, ma una richiesta, una di quelle che, in un sistema patriarcale, si avanzano al padre, non certo alla figlia. Infatti il dio annunciò ad Abramo, e non a Sara, che sarebbe rimasta incinta di Isacco. Fu Zaccaria e non Elisabetta a ricevere, in tarda età, l’annuncio della gravidanza di quel figlio che poi sarebbe diventato Giovanni il Battista. Invece, nei Vangeli (nel Nuovo), quella luminosa presenza non rispettò le regole, evitò tutti i passaggi rituali del sistema tribale giudaico per rivolgersi, direttamente, a Maria (al femminile), rendendola unico soggetto protagonista della scelta che più la riguardava, cioè il diventare madre (oltretutto della divinità), come è giusto nell’oggi, ma come non era certo normale allora.
Paola Castagna, in questa suo ultimo lavoro, che presto vedremo esposto in importanti gallerie europee, mira all’insieme di ogni componente, privilegiando, però, l’aspetto antropico del rimando visivo, non senza innalzare il respiro che, comunque, viaggia sempre alto, non vincolato, non schiavo di mode o approcci condivisi all’interno di un sistema che sta divenendo sempre più fallace, omologato, spesso volgare, perché privato, giorno dopo giorno, di specifiche e particolari koinè e, soprattutto, della “presenza del miracolo” (come definiva l’arte William Blake).