L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Arte contemporanea Anno 6 Numero 31 aprile-maggio 2012



Alberto Biasi

Alberto Rigoni

Non finisce qui



bimestrale di informazione
e critica d'arte


SOMMARIO N.31

Alberto Biasi
Non finisce qui


Arte Programmata e Cinetica
Da Munari a Biasi
a Colombo e...

Marco Gastini
Monadi e numeri

Enzo Cucchi
Quando l’immagine
è meraviglia

Yayoi Kusama

Sam Francis

Sergio Ragalzi
Paolo Grassino:
Due generazioni a confronto
con la stessa paura

Paint?!
Gianfranco Zappettini
e l’astrazione analitica
europea

Energia in espansione:
La nuova astrazione di
Lucia Corbinelli

Francesco Guerrieri
Dal polimaterico all’essenza della struttura

Fernando Garbellotto
Fractal Net Singing
Respirare l’ombra è come
toccare un corpo

Riccardo Guarneri
Arie di luce

Alberto Zorzi
Gioielli e argenti dalla Collezione presentata al Museo Fortuny di Venezia

I linguaggi di Gianfranco Farioli
Mostra antologica 1963/2012

David Marinotto

Noctilucent, Asterisma
One night show

Andrea Boldrini
Le ragioni del sentimento

Il sonno della ragione
genera mostri

Manlio Onorato
Al modo delle stelle

Guita Dumitru
Azione creativa

Paolo Facchinetti
Di luce e d’ombra

Il Bagno turco di Lorenzo Tornabuoni

Mimmo Rotella:
Dalla pelle dei muri
alla metafora del mondo

Il diritto di seguito

Libri d’arte

Eventi Flash

Risultati d’asta 2011/2012

Mostre in Italia
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Nelio Sonego
Diego A. Collovini
n. 38 dicembre 2015 - gennaio 2016

Riccardo Guarneri
Diego Collovini
n. 37 gennaio-febbraio 2015

Arturo Carmassi
Diego Collovini
n. 36 marzo-aprile 2014

Claudio Verna
Diego Collovini
n. 35 novembre-dicembre 2013

Gianfranco Zappettini
Diego Collovini
n. 34 giugno-luglio 2013

Maurizio Cesarini
Katiuscia Biondi Giacomelli
n. 33 febbraio-marzo 2013


Alberto Biasi
Oggetto ottico-dinamico, 1960
rilievo pvc su tavola, 60x60x4 cm
coll. Archivio Biasi, Padova

Alberto Biasi
Gocce, 1967
rilievo in pvc su tavola, 182x182x5 cm
Padova

Alberto Biasi
Trittico...tratti bianchi, 2003
acrilico su tela in rilievo, 180x205x5 cm
coll. Archivio Biasi, Padova

tratto dal catalogo “Alberto Biasi” edito dalla Fondazione Zappettini, Chiavari-Milano)

Ci sono stati in Europa, in decenni molto più bui di quelli attuali, momenti di slancio unitario, con speranze molto più ardenti di quelle attuali. Da una parte all’altra del fronte della Guerra Fredda c’era chi attraversava le linee per abbracciare di là quelli che sentiva come fratelli. In arte, la Nuova Tendenza raccoglieva all’inizio degli anni Sessanta artisti di entrambi i lati della Cortina di Ferro. In quelle mostre, in particolare alla Biennale di Zagabria, Alberto Biasi espose, tra gli altri, con i membri di Dviženje, il gruppo russo il cui nome significa – né più né meno – “movimento”. Di essi, uno per tutti va ricordato Lev Nussberg, che si adoperava anche per costruire opere-ambiente in cui far muovere lo spettatore. Nonostante lo stallo che ghiacciava il mondo, e giusto all’inizio di un decennio che avrebbe capovolto la società, “muovere” e “muoversi” erano dunque gli schemi di comportamento che l’arte, torre di guardia del genere umano, indicava da differenti Paesi: Dviženje fu fondato a Mosca nel 1962, ma nel 1955 alla Galleria Denise René di Parigi si era tenuta la collettiva Le Mouvement, nel 1957 a Düsseldorf era nato il Gruppo Zero, nel 1959 a Milano Azimut e il Gruppo T, nel 1960 a Parigi il G.R.A.V. (Groupe de recherche d’Art Visuelle), e, per tornare al nostro Biasi, nel 1961 dopo qualche mese di gestazione era stato redatto a Padova il manifesto del Gruppo N.

Proprio Biasi racconta divertito nei suoi scritti le reazioni degli spettatori ai suoi pezzi più cinetici, stupiti da come questi “si muovano” pur appesi al muro. In questa mostra abbiamo campionato alcuni tra rilievi ottico-dinamici e torsioni che ben rappresentano quella tipologia di opere. Ma l’effetto ottico generato è solo un aspetto del lavoro dell’artista padovano: «Il fruitore immagina ciò che manca: il movimento innanzitutto», scrive lui. Quindi lo spettatore è chiamato a partecipare alla creazione dell’opera, che completa solo nella sua mente e nei suoi occhi, non prima di aver a sua volta creato una coreografia di movimenti davanti all’opera stessa. Sembra potersi desumere dal lavoro di Biasi che l’opera non finisce qui: nasce con l’ideazione del progetto, realizzato magari dopo anni (non sono rari i lavori con la doppia datazione: idea e sviluppo), ma è in continuo e infinito e sempre nuovo completamento da parte dello spettatore.

Il lavoro di Alberto Biasi è stato spesso ordinato secondo due chiavi di lettura: quella programmatica-cinetica e quella di stampo dadaista. A leggere bene, forse si può dire che non c’è dualità nell’intenzione. Talvolta l’obiettivo primario è ribaltare la prospettiva e mescolare i ruoli: in “Mostra chiusa: nessuno è invitato a intervenire” (1960) il pubblico è posto di fronte all’enigma se recarsi allo studio padovano del Gruppo N per trovarsi di fronte a una porta sbarrata; alla Mostra del pane (1961), il Gruppo N si veste da critico ed eleva ad artista un fantomatico panettiere. Talvolta Biasi spiazza le aspettative del suo pubblico, costringendolo, per esempio, a stare fermo anziché a muoversi per fissare la propria immagine sulla tela grazie alla luce di Wood (l’installazione Eco, 1974). In ogni caso, Biasi ambisce a perforare le cortine di ferro delle nostre aspettative e suggerisce come il movimento primario dell’arte sia l’interazione con chi sta di fronte all’opera, primo vero passo verso quella spersonalizzazione (collettivizzazione?) del lavoro cui Biasi ha sempre guardato con curiosità, dai tempi del Gruppo N alle riflessioni sull’identità (il caso dello scambio d’artista alla Quadriennale di Roma del 1986, quando per errore furono esposte le tele di un omonimo).

La mostra si completa con due esemplari delle trame, collage che Alberto Biasi realizza tra il 1959 e il 1960, e con i più recenti assemblaggi, nei quali le tensioni dei politipi si fanno largo (o sono compresse) tra telai di vera e propria pittura. I primi si inseriscono nel momento della storia dell’arte in cui prese vita la reazione all’Informale in Europa (da cui l’Arte Programmata e la Cinetica), negli Stati Uniti all’Action Painting (da cui gli assemblaggi di Jasper Johns e Robert Rauschenberg e poi la Pop Art). Gli ultimi rientrano nella definizione che Giulio Carlo Argan ha dato di Biasi, «non un ideatore di oggetti visivi, ma un costruttore di apparati visuali»: di veri apparati per l’occhio, infatti, si tratta. In essi, e negli ultimi inediti Insiemi geometrici di cui è presente un esemplare, è proiettato nella sua interezza tutto lo spettro delle possibilità del nostro artista. Sul suo lavoro si sono interrogati con profitto filosofi come Dino Formaggio e scienziati come Antonino Zichichi, e allo stesso tempo Alberto Biasi rimane capace di sorprendersi delle linee di un pioppeto o dei colori di un’azalea, e di creare con umiltà strumenti che lo spettatore dovrà suonare a modo suo.