Arte e Critica Anno 19 Numero 74 aprile-giugno 2013
Altri appunti per la rivoluzione
Partirei dagli appunti per la rivoluzione, la seconda parte del titolo della personale che Alessandro Sarra ha costruito di recente per il magniloquente Castello Colonna di Genazzano titolandolaL’inedito di Mozart e altri appunti per la rivoluzione (CIAC - Centro internazionale per l’arte contemporanea, a cura di Claudio Libero Pisano).
L’assunto è dichiarato e forse anche polemico. Non sono i contenuti testuali i soli a permettere di chiamare in causa un orizzonte politico del fare. In questi ultimi decenni lo abbiamo dimenticato, in quell’aderenza incondizionata alla realtà che ha influenzato la lettura di ogni tentativo di volo verso possibili altri lidi del pensare la politica e le sue implicazioni. Abbiamo smesso da tempo di nutrirci di quell’altrove che avrebbe potuto diversamente sostanziare certa operatività dell’oggi e di certo passato assai prossimo. Quale rivoluzione? Quella che comincia dalla scelta di come stare al mondo? Quella che ha per obiettivo certe ingombranti miopie dalle quali deriva la gestione, a tutti i livelli e in tutte le competenze, in sede pubblica e privata, del nostro essere paese, o ancora, e più nello specifico, del nostro essere comunità culturale?
Possiamo tornare a pensare che l’arte possa assumere un valore politico anche quando non rientra negli ambiti tradizionalmente pertinenti all’accezione politica, dalla narrazione al documentario, dalle pratiche dell’archiviazione a quelle dell’azione, nelle loro infinite modalità?
Possiamo tornare a progettare qualcosa di autentico e di necessario per un futuro che ci appartiene anche partendo dalla dimensione della sospensione, quando essa scava quel vuoto prepotente di informazioni e riferimenti tale da costringerci a leggere la realtà da tutt’altro punto di osservazione?
Nel silenzio lungo, denso, vivo, delle sale del Castello, la mostra di grandi e medi dipinti di Sarra, molto perentori nella loro esposizione di sé, si articola come una partitura, svelando che in realtà non c’è l’inedito, non c’è lo scoop, non c’è la trovata, nessun segreto da rivelare. C’è solo un percorso che si snoda tra determinate possibilità per essere,, per provare a ripartire da alcuni punti fermi ma anche da alcuni perché. Non ci sono appigli, idoli polemici riconducibili ad un piano di referenzialità, non c’è mondana traduzione di realtà. C’è una partitura di condizioni di esistenza che di sala in sala costringe a fermarsi, a soffermarsi.
Allora l’inedito è la pittura, nella sua sfrontata esibizione di sé?
Può darsi. Più probabilmente l’inedito sta nel preparare gli appunti per la rivoluzione partorendoli anche dentro il tempo altro, ma sempre stringente, del fare pittura.