L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Arte e Critica Anno 21 Numero 80 primavera 2015



Céline Condorelli

Massimiliano Scuderi

Il contesto è metà del lavoro



trimestrale di cultura artistica contemporanea


SOMMARIO N. 80

cover / IN COPERTINA
in the foreground / in primo piano: Mia Marfurt, No Time Like the
Present (B), 2015, 317 x 220 x 75 cm, silkscreen, aluminum, steel
screws, wheels;
in the background / sul fondo: Adrien Missika, Ultimate Thrill 2,
2015, wallpaper, light jet print, dimensions variable, edition of 3+2;
exhibition view Constructed Culture Sounds Like Conculture.
Courtesy Ellis King, Dublin, 2015

042 Céline condorelli. context is half the work / Il contesto è metà del lavoro
Interview by / Intervista a cura di Massimiliano Scuderi

047 Duncan Campbell: It for others
by / di Guido Santandrea

050 Manuel Scano Larrazábal, Giovanni Sortino, Derek Di Fabio
mandrione project#2 / Progetto Mandrione#2
by / a cura di Daniela Bigi

056 Eurasia: A View on Painting / eurasia: uno sguardo sulla pittura
by / di Norman Rosenthal

064 Souvenir of disappearance. Copies and simulacra in women’s art
Souvenir della sparizione. Copie e simulacri nell’arte delle donne
by / di Lisa Pedicino

066 linee. renato mambor / cesare tacchi
di Ada De Pirro

068 Rileggendo gli anni settanta 4
Morte, rinascita, immortalità: nuove forme di accesso a una totalità in espansione
di Giovanna dalla Chiesa

072 Fit to burst. Art and joke / Crepapelle. Arte e scherzo
by / di Riccardo Giacconi

076 Present Imperfect* / Presente imperfetto*
by / di Manuela Pacella

083 Fabio Sargentini and L’Attico: Innovative Spaces Devoted to Creativity
FABIO SARGENTINI e L’attico. SPAZI DI CREATIVITÀ INNOVATIVA
Interview by / Intervista a cura di Luciano Marucci

088 THE CONTINUITY AND DISCONTINUITY OF AN EPOCH: A PORTRAIT OF FABIO SARGENTINI
Continuità e discontinuità di un’epoca. Un ritratto di Fabio Sargentini
by / di Roberto Lambarelli

094 When Art Collectors Become Museum Founders: The Long Museum and the Yuz Museum Shanghai
Quando è il collezionista a fondare un museo: gli esempi di Long Museum e Yuz Museum Shanghai
by / di Manuela Lietti

097 INTERROGATIVI SULLA CREDIBILITÀ DELLA MANIFESTAZIONE VISIVA
Straniamento, Produzione, Materiale contro Sublime. Osservazioni sul Disegno di Serse
di Lorand Hegyi

100 The booklist: sulla scrittura per immagini
di Luca Galofaro

102 Architettura delle istituzioni totali: Carceri d’invenzione ed eterotopie della detenzione
di Lorenzo Pietropaolo

104 Lomografia
di Anna Koryakina

106 Massimo Bartolini. Arranging opposites, reconfiguring models
Predisporre gli opposti, riconfigurare i modelli
di Francesco Marmorini

110 ARTICOLARE STORICAMENTE IL PRESENTE. ROSSELLA BISCOTTI
di Claudio Cucco

128 ARTURO SCHWARZ. SULLA NECESSITÀ DEL SURREALISMO
di Claudio Cucco

130 La passione della collezione. L’accademia Nazionale di San Luca rende omaggio a Panza di Biumo
di Marta Paolini Fazzi

132 THE WAY THINGS GO, ETC*. CATENA DI MONTAGGIO
di Luciana Rogozinski

134 Claudio Palmieri, alchimista della materia
di Ilaria Schiaffini

136 “Sparkling and ribald”. The passion according to Carol Rama
“Scintillante e ribalda”. La passione secondo Carol Rama
by / di Maura Pozzati

139 La linea analitica di Filiberto Menna dalle pagine di “Figure”
di Annapaola Di Maio

140 Incontro fra l’esuberanza plastica di Pino Spagnulo e lo spazio mobile di Turi Simeti
di Paolo Mastroianni

142 due parole su arte e potere
di Roberto Lambarelli


108 Markus Kummer 109 reto pulfer 111 erica mahinay 112 isaac lythgoe 113 SEB PATANE 113 ALVARO URBANO 114 ola VASILJEVA 116 SERJ 116 MOIRA RICCI 119 NICOLA MELINELLI 120 fEDERICO PIETRELLA 121 GIUSEPPE STAMPONE 122 Hamish Fulton e Michael Höpfner 122 ROBERT PETTENA 123 suzanne lacy 124 mariagrazia pontorno 124 graziano locatelli 124 katharina hinsberg 126 nero, diluca, moretti 126
pino deodato 129 morandi, calzolari, parmiggiani 129 mendini, caberlon 138 jannis kounellis 139 jacques villeglé



ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

1985. Trent’anni fa inaugurava il Castello di Rivoli
Roberto Lamabarelli
n. 82 estate 2015

Note su Benoît Maire, Renato Leotta, Rossella Biscotti

n. 79 ottobre-dicembre 2014

Ah, si va a Oriente! Cantiere n.1
Daniela Bigi
n. 78 aprile-giugno 2014

Gli anni settanta a Roma. Uno sgambetto alla storia?
Roberto Lambarelli
n. 77 gennaio-marzo 2014

1993. L’arte, la critica e la storia dell’arte.
Roberto Lambarelli
n. 76 luglio-dicembre 2013

Alessandro Sarra
Daniela Bigi
n. 74 aprile-giugno 2013


À Bras Le Corps – with Philodendron (to Amalia Pica), 2014
Courtesy the artist and Fondazione HangarBicocca, Milan
Photo Agostino Osio

baubau, 2014 (part.), installation view, Museum of Contemporary Art Leipzig, (GfZK), Leipzig
Courtesy the artist. Photo Lars Bergmann

White Gold & Support Structure, Red, 2012, installation view Social Fabric, Lunds Konsthall, Lund
Courtesy the artist. Photo Lunds Konsthall

BAU BAU, LA PERSONALE ALL’HANGAR BICOCCA DI MILANO, CURATA DA ANDREA LISSONI, È OCCASIONE PER UNA RIFLESSIONE SUL LAVORO DI CÉLINE CONDORELLI, AUTRICE DI LAVORI POLISEMICI NEI QUALI IL CONTESTO E LE RELAZIONI DIVENGONO PRATICA E MODELLO DI PRODUZIONE


MS: Mi interessa molto il tuo approccio al lavoro e il modo in cui lo sviluppi attraverso una pratica che comprende diverse discipline. La mia curiosità è nata durante una conversazione con Peter Fend su Support Structures. Puoi introdurre il tuo modus operandi e spiegare su cosa verteva Support Structure?
CC: Il mio lavoro riguarda il modo in cui il nostro incontro col mondo materiale passa attraverso la fiducia che riponiamo in esso, e il fatto che tutta l’azione umana abbia luogo fra innumerevoli strutture di sostegno generalmente date per scontate, che quindi tendono ad apparire quasi invisibili. Cerco di riflettere su come certe cose, relazioni, condizioni, vengono rimosse dal presente così come lo vediamo, e su come questo fenomeno sia spesso collegato a forme di soppressione, a cose che non si vogliono vedere e che vengono spinte in secondo piano. In generale l’idealizzazione degli oggetti si basa sull’esclusione delle condizioni che in primo luogo li sostengono, ciò che chiamerei impalcature. Un’analisi degli oggetti mostra sempre il coinvolgimento di tutti quei congegni e meccanismi supplementari – o come li si vogliano chiamare.
Ho approfondito questo interesse nel progetto di collaborazione a lungo termine Support Structure (2003-2009), con l’artista-curatore Gavin Wade. Considero il sostegno come una relazione essenzialmente politica, di alleanza e responsabilità, in grado di offrire una struttura utile a indagare il modo in cui viviamo e lavoriamo in collaborazione, attuando il cambiamento nel mondo. Il progetto Support Structure, dopo essersi sviluppato in dieci fasi e nel corso di sette anni, si è concluso come una rubrica di lavoro e nella sua configurazione originaria. Organizzata esplicitamente come un curriculum – conducendo Support Structure attraverso un processo di apprendimento – questa impresa collaborativa multi-parte è giunta a naturale compimento con le sue due fasi finali, l’inaugurazione dell’organizzazione artistica Eastside Projects da una parte, e la pubblicazione del manuale e antologia Support Structures dall’altra. Eastside Projects ha sviluppato la sua narrazione e, nei cinque anni di vita, ha definito un forte profilo nazionale e internazionale; ha inoltre riformulato le relazioni lavorative che in primo luogo le hanno dato vita: sebbene io e Gavin continuiamo a lavorare insieme, non lo facciamo alla maniera di Support Structure, ma come direttori dell’organizzazione.
Tuttavia qualcosa rimane. Le questioni sollevate dalla nozione di strutture di sostegno riguardano non soltanto un insieme di problematiche che ruotano attorno al display, ma anche le forme di associazione, e il più elevato potenziale di ciò che è collettivo e comune, che risiede nel lavoro affettivo così come in quello intellettuale. La necessità di lavorare insieme, di inventare possibilità e realtà che non sono ancora state cooptate o sfruttate, è ciò che definisce anche le relazioni di amicizia. Le amicizie generate dal progetto in effetti durano, e per molti aspetti sono diventate per la mia pratica un modello di produzione – di lavoro e di vita. Le strutture di sostegno intese come processo e metodologia implicano un modo di fare le cose che crea stretti legami e connessioni tra le persone, ma anche con cose, idee, luoghi, istituzioni, pubblicazioni. I progetti in questo modo parlano attraverso una moltitudine di voci e propongono qualcosa che ognuno non può fare o dire da solo, offrendo di conseguenza più della parte cumulativa delle loro componenti e frammenti. L’amicizia che propongono è sia una pratica che una posizione.

MS: In riferimento a Robbe Grillet, Gérard Genette parlava di un’assenza di narrazione che dipenderebbe non da una finzione intenzionale, ma da un realismo più stringente. Questo aspetto è parte del tuo lavoro?
CC: Cercherò di rispondere a questa domanda attraverso la pragmatica del mio lavoro. Trovo che spesso le narrazioni che affiancano le immagini che vengono diffuse, i sottotesti che le rendono leggibili, siano distorte o persino del tutto sbagliate. Sebbene non designerei affatto la mia pratica come giornalistica, do molta importanza al fatto di scoprire e considerare le condizioni esistenti, a livello sociale, spaziale, politico, e storico, e sottoscrivo la massima di John Latham che “il contesto è metà dell’opera”. La nostra comprensione del contesto include distorsioni e finzionalizzazioni del presente come anche del passato, e talvolta è interessante prendere sul serio una premessa inventata. Ad esempio, quando qualcuno ti dice, in riferimento a una città come Alessandria, “Non è rimasto niente”, ciò apre un enorme gap tra la risposta oggettiva e ragionevole “certo che sì, la città ha cinque milioni di abitanti”, che potrebbe essere un modo di rigettare tutti insieme l’affermazione, e l’altra opzione, che sarebbe quella di prestare attenzione a questa affermazione, ascoltando quali condizioni indica una frase del genere, e quali altre realtà essa chiama in causa. Sappiamo che narrare, travisare, commettere errori può produrre veri e propri eventi storici. In qualche modo, come artista, sono coinvolta nel modificare documenti, elaborare utopie, costruire schemi immaginari sul futuro, e in questo modo partecipo attivamente alla produzione del reale. Nel mio lavoro, vengono usate innumerevoli storie e situazioni reali molto più improbabili di altre cosiddette immaginarie. Il progetto non è tanto una versione finzionalizzata di eventi reali, quanto una narrazione, una costruzione che consente una diversa comprensione di condizioni esistenti e la loro re-immaginazione – come quella di futuri possibili.

MS: Il libro di Toni Negri, Arte e Multitudo, contiene una lettera a Giorgio Agamben in cui egli parla dell’idea di rimettere i piedi sulla materialità del vero. Egli afferma che se sperimentare il sublime ci ha indicato la strada, il fattore decisivo consiste piuttosto nel passaggio alla pratica, nel fatto di volere che la nostra emozione diventi azione, l’etica materiale di una decisione [...]. In questa differenza fra il dar nome e il discriminare l’essere sta il passaggio dalla teoria all’etica, ed è anche il superamento del postmoderno. Come concili astrazione e realismo nel tuo lavoro? Jacques Rancière parla del rapporto tra strutture sociali ed estetica. Qual è la tua posizione a riguardo?
CC: Risponderò a entrambe le domande – che considero essenziali, fondamentali – con una citazione da Claude Lefort, il quale sosteneva che “…nessuna determinazione economica o tecnica e nessuna dimensione di spazio sociale esiste fin quando non gli viene data forma. Dare loro forma implica sia dargli significato (mise en sens) che metterli in scena (mise en scène)”1.

MS: La mostra all’Hangar Bicocca si intitola bau bau. Puoi spiegarci come è nata e di cosa si compone l’istallazione creata in collaborazione con il Polo Tecnologico Pirelli di Settimo Torinese?
CC: La mostra presso l’Hangar Bicocca, curata da Andrea Lissoni, mette insieme lavori dell’ultimo decennio; è strutturata attraverso la separazione tra giorno e notte, sviluppata in molteplici articolazioni. Giorno e notte corrispondono direttamente a una parte della mostra alla luce del giorno – attraverso l’apertura di una enorme finestra nel muro dello spazio – e a un’altra parte dietro una tenda, e dunque caratterizzata da maggiore oscurità e simile alla notte. Ovviamente così strutturata la mostra cambia nel corso degli orari d’apertura (fino alla mezzanotte), e verrà alterata dal mutare delle stagioni entro la sua chiusura prevista per maggio. Ma questa divisione è anche connessa a due materiali, il cotone e la gomma, che creano una linea di pensiero e di ricerca dietro molti dei lavori in mostra. In questo modo il buio e la luce sono entrambi aspetti immediati, percettivi e fisici della struttura: nero e bianco, gomma e cotone, notte e giorno. È stato anche un modo di regolare la scoperta di condizioni esistenti, il che costituisce un aspetto fondamentale della mia pratica; ciò in questo caso corrisponde in primo luogo al contesto fisico e sociale dell’Hangar Bicocca, inclusa l’area di Bicocca che diventa parte della mostra con la vista all’esterno dalla finestra accostata all’insegna neon lampeggiante bau bau, (in tedesco “costruzione”, che lampeggia proprio sotto il grande cantiere all’esterno), la ricerca condotta presso l’archivio Pirelli, inserita nell’atlante/indice della mostra che in realtà è ciò che Support Structure (Red) contiene, e infine il lavoro fatto presso la Fabbrica Pirelli di Settimo Torinese.
Il progetto parte da un interesse per le materie prime, in questo caso la storia affascinante dell’albero della gomma – che è trasposto nella mostra come materiale nero in relazione al bianco del cotone (su cui ho sviluppato una serie di lavori).
La Fabbrica Pirelli è uno dei contesti-scenario dello spazio espositivo, è anche un luogo in cui una certa trasformazione della materia avviene attraverso le mani di persone il cui lavoro si traduce in pneumatici che a loro volta attraversano la superficie del globo. La fabbrica mi ha permesso di accedere a questo processo di produzione per costruire oggetti che raccogliessero tracce della produzione stessa. È un grandissimo privilegio essere ammessa all’interno di un mondo così specializzato e affascinante, e potere lavorare a fianco a un così sofisticato sistema di produzione – ma in effetti come artista sono impegnata nella trasformazione della materia, che è in primo luogo la motivazione che sta dietro a questa collaborazione.
Il nuovo lavoro/installazione realizzato presso e in collaborazione con la Fabbrica Pirelli di Settimo Torinese, si chiama Nerofumo (in inglese Carbon Black), che è il nome di un derivato nero ad alta concentrazione usato comunemente come pigmento, e anche un ingrediente chiave necessario per la fabbricazione degli pneumatici. L’installazione è stata creata nella fabbrica Pirelli insieme ai suoi operai ed è il risultato di piccoli interventi nel processo di produzione esistente, sviluppati attraverso il dialogo con le persone che in primo luogo l’hanno reso possibile. L’opera prende in considerazione tanto la trasformazione dei materiali in un pneumatico quanto lo sforzo complessivo degli individui e delle rispettive azioni, associati in un oggetto che successivamente attraversa il mondo lasciando tracce di quel lavoro collettivo. Percorso fatto di pneumatici alterati e delle loro impronte, Nerofumo funge sia da registro di questo viaggio sociale e materiale sia da strumento di navigazione nella mostra.

Nota
1. Claude Lefort, Democracy and Political Theory, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1988, p.11