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Arte e Critica Anno 20 Numero 79 ottobre-dicembre 2014



Note su Benoît Maire, Renato Leotta, Rossella Biscotti

Paolo Emilio Antognoli



trimestrale di cultura artistica contemporanea


SOMMARIO N. 79

IN COPERTINA
gianluca concialdi
M A P O U, 2013,
colla vinilica, paglia, pigmenti, cm 200 x 125
Foto Riccardo Ragazzi

042 ANNE-MARIE SAUZEAU VERSO CARLA LONZI E RITORNO
di Roberto Lambarelli

044 Carla Lonzi. Una presenza alle mie spalle
di Anne Marie Sauzeau

046 Note su Benoît Maire, Renato Leotta, Rossella Biscotti
NOtes on Benoît Maire, Renato Leotta, Rossella Biscotti
di / by Paolo Emilio Antognoli

051 Gianluca Concialdi. Buona primavera anche a voi / Happy spring to you too
di / by Daniela Bigi

055 DE ZEE / La Mer. Un OMAGGIO per JAN HOET
di Cecilia Casorati

056 Allo schioccare delle mie dita / When I snap my fingers
Una lettura di The Working Life l’ultimo lavoro video dei Superflex
A reading of The Working Life, the latest video work by Superflex
di / by Vincenzo Estremo

058 In conversazione con Francesco Barocco. Sorvolando il paesaggio
Conversing with Francesco Barocco. Flying over the landscape
Intervista a cura di / Interview by Alberto Fiore

062 Immagini dimenticate. Vita, morte e sopravvivenza del cinema sperimentale italiano
Forgotten images. Life, death and survival of Italian experimental cinema
di / by Lisa Pedicino

066 L’arte attuale. le biennali europee nel 2014 / Art now. the European biennials in 2014
di / by Flavia Montecchi

068 farsi capacità. L’osservatorio / Becoming capacity. The Osservatorio
di / by Caterina Valenza

071 Contemplazione della pittura / The contemplation of painting. Jorge Macchi
di / by Ilaria Mariotti

074 Shine on you crazy Diamond. la generazione di 89plus / the 89plus generation
di / by Maria Chiara Valacchi

078 Brasiliani a Londra. La nuova generazione sudamericana
di Maria Giovanna Virga

080 Valerie Krause. L’effimero nella solidità della materia visibile
The ephemeral in the solidity of the visible material
di / by Stefania Facco

082 Sulla ricerca di Christiane Löhr. Una nuova esperienza dello spazio
di Alberto Fiore

084 l’effimero teatrale
di Andrea Ruggieri

086 Open Museum Open City. Lo spazio del suono al MAXXI
a cura di Francesco Lucifora

090 Philippe Rahm e l’architettura meteorologica / Philippe Rahm and the meteorological architecture
di / by Massimiliano Scuderi

092 Ritorno alla scrittura, sulle possibilità della teoria
dialogo tra Luca Galofaro, Sara Marini e Alberto Bertagna

094 Peter Eisenman. Scrivere è architettura
di Luca Galofaro

095 La cultura radicale dell’architettura
di Gianfranco Toso

096 Archivi e collezioni del Moderno e del Contemporaneo: Carlo Aymonino
di Lorenzo Pietropaolo

099 La dimensione esperienziale del design
di Angela Giambattista

100 gerry McGovern e Nino Mustica per land rover

101 Topos design. Per un meticciato oggettuale
di Ivo Caruso


102 Joan Jonas 103 RUDOLF STINGEL 104 NICK OBERTHALER 104 ADRIANO COSTA 105 KARTHIK PANDIAN 105 ­ T YRATINGLEFF 106 SHANNON BOOL 107 Michela De Mattei 107 GIULIA CENCI 108 Christine Rebet 109 MATTEO NASINI 110 KLÄS E OTTO-KNAPP 111 STEFANOS TSIVOPOULOS 111 luana perilli 112 Diego Miguel Mirabella, MATTEO
NASINI 112 GIANNI COLOSIMO E FELIPE AGUILA 113 WOLFGANG STAEHLE 113 ALESSANDRO DANDINI DE SYLVA 114chantal joffe, alessandra ariatti 114 SABRINA MEZZAQUI 115 giuseppe stampone 118 Christelle Familiari 118 VINCENZO RULLI 119 WALID RAAD 120 CHIHARU SHIOTA 120 SOPHIE KO CHKHEIDZE 121 NIGRO E ZAPPETTINI 123
Jùlius Koller e Kveta Fulierova 123 DAVIDE MOSCONI 124 JAN FABRE 124 RICHARD LONG, JEFF WALL, ENRICO CASTELLANI 126 MICHAEL BEUTLER 127 GIANFRANCO BARUCHELLO 128 Mat Collishaw 128 KARA WALKER
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Benoît Maire, veduta della mostra Letre, La Verrière, Fondation d’entreprise Hermès, Parigi, 2014
Foto Sven Laurent

Rossella Biscotti, Il Processo (The Trial), 2010-14, veduta della mostra Rossella Biscotti: For the Mnemonist, S, WIELS Centre d’Art Contemporain, Bruxelles, 2014

Renato Leotta, Spiaggia di donna, 2014, sabbia, intonaco, cm 50 x 40.
Courtesy l’artista

Trascrizione da un taccuino, limitando le note a due mostre: The Yellow Side of Sociality: Italian Artists in Europe al Bozar di Bruxelles e la mostra di Benoît Maire alla Verrière della Fondazione Hermès; à rebour fino alla mostra di Rossella Biscotti al WIELS, For the Mnemonist, S, e al ricordo di una conversazione con Renato Leotta a Torino

Bruxelles-Charleroi, 14-15 settembre 2014. La Verrière si trova in fondo allo spazio di Hermès, un lungo corridoio vellutato. Sfocia su un’aula quadrata, coronata da un’ampia cupola trasparente, mura bianche, riflessi cristallini e grigi, foglie secche gialle cadute sui vetri. Vi incontro per caso Benoît Maire con un fotografo – mi invitano anche a reggere un mantello nero antiriflesso.
Benoît (del 1978) è forse l’ultimo discendente di Poussin, artista filosofo, colpo di coda della tradizione teoretica francese, la quale ritrova un contatto diretto con il lavoro di un artista.
Titolo della mostra LETRE. L’elisione di una T alla parola francese LETTRE, lettera, sorta di errore ortografico grazie al quale si suscita l’Essere, L’ETRE, con o senza apostrofo. Nel mezzo di questa oscillazione terminologica, Benoît incunea una sottilissima riflessione tra letteralità delle cose (la loro evidenza, gli oggetti che vengono mostrati) e il campo astratto del discorso: il mondo delle idee e delle parole che vengono associate in una mostra.
Gli oggetti, senza piedistalli, direttamente collocati sul pavimento, sembrano in cerca di una regola, di un principio ordinatore che ne stabilisca le relazioni interne fra loro e quelle esterne con le parole. Sono definiti déchets, oggetti relati al tema della decisione, dalla storia filosofica del concetto fino alla messinscena degli oggetti come frutto di una decisione artistica.

Il concetto è recente e nei greci risultava assente l’idea di una materia che si formalizza grazie a un intervento esterno che non fosse divino. Ma l’atto della decisione inizia dalla nascita di un soggetto, di un io cosciente che decide. Per questo potenzialmente è con Descartes che nasce la decisione come atto di volontà. Serve un io che decida, una soggettività distinta da un oggetto esterno.
In seguito si passa a un soggetto che sceglie, che indica, che nomina qualcosa di esterno a sé e che decide.
Decidere per Hegel è “entscheiden”: tagliare, separare (la particella “ent”, similmente alla particella “de” nell’italiano, indica allontanamento, mentre "scheiden" è separare", come nel “de-caedere” latino).
È in questo senso che la decisione fonda il processo storico. Perché c’è un prima e c’è un dopo. Dal momento in cui si decide qualcosa dev’essere reciso scommettendo sull’avvenire. Si fa un salto verso il futuro, che è pur sempre un saltare senza certezza dove poi si atterri. La decisione dunque si affida a un’esteriorità che ancora non conosce, su cui semmai confida.

Benoît racconta di essere rimasto affascinato da una frase di Hegel per cui: l’Uomo, se vuole affermarsi veramente come tale, deve lottare contro l’istinto di sopravvivenza e rischiare la vita (in una conversazione con Guillalme Désanges, cita la frase di Hegel ripresa da un testo introduttivo a Hegel di Alexandre Kojève).
Forse per la stessa ragione Cézanne ripeteva: “à chaque coup de pinceau, je risque ma vie”.
La decisione artistica si fonda sull’incertezza, sul rischio, sulla violenza legata al taglio, alla cesura, alla separazione.
Inoltre per Benoît la decisione artistica ha a che fare con il delimitare, il circoscrivere, come una sorta di découpage. Quando decido di ritagliare qualcosa “indico un elemento che m’interessa”. Ed ecco l’immagine dell’indice, dal San Giovanni Evangelista di Leonardo. L’indice che punta questo o quello, che recide una parte da un continuum attraverso deissi linguistica.
Indicare non è esattamente designare (apporre un segno su qualcosa per destinarlo, per deputarlo a una diversa funzione). Comunque in Hegel: scegliere è indicare un certo qualcosa per designarlo, imponendogli un’uscita dal suo contesto, con una sorta di taglio e di violenza.
Questo poi può essere applicato a tutta l’arte moderna occidentale, la quale si fonda su questa stessa rottura, su questa violenza sradicatrice. Si vedano le avanguardie. Il soggetto moderno occidentale, distinguendosi dalla totalità divina, si condanna alla separazione, alla violenza, allo sradicamento e al lutto.

Nell’autunno 2010 mi fermai a parlare a Torino con Renato Leotta. Ho ancora una foto scattata in un locale vicino a piazza Vittorio. In quella conversazione Leotta mi piacque per la sua messa in discussione radicale del processo che porta all’opera. Quest’ultima, difatti, una volta messa in mostra si sarebbe del tutto affrancata dal suo processo di produzione, sbarazzandosi pertanto di ogni riflessione personale, di ogni emozione o motivazione teorica che ne avesse sostenuto il percorso. Proprio come un figlio si emancipa dal padre – e qui ci sarebbe molto da aggiungere.
Non ricordo le sue parole esatte. Comunque un oggetto, una volta in mostra, annulla tutto quanto lo precede. Pensavo a Derrida in questo senso. Una verità del testo che si afferma indipendentemente dall’autore e dalla sua preistoria.
Nel Minimalismo c’è ancora una forte connessione tra la decisione – l’intenzione artistica – e l’oggetto, nonostante la volontà di azzerare ogni significato associabile ad esso.
L’Arte Concettuale, difatti, in un momento successivo o distinto, recupera l’idea dell’artista (l’intenzione) a discapito dello stesso oggetto, molto spesso infinitamente riproducibile.
L’Arte Concettuale non feticizza l’oggetto a un grado zero del suo significato ma al limite il documento, la foto, l’attestato, il certificato di autentica.

Nella tradizione orientale la forma può essere rifatta seppure dello stesso materiale. Non c’è attenzione al manufatto in quanto documento storico originale. L’autenticità risiede innanzitutto nella forma, e nel momento in cui l’oggetto si logora, viene sostituito.
Al contrario, John Ruskin apprezzava il materiale originario soprattutto per i segni che mostrava nel suo attraversare il tempo oltre che per il lavoro delle mani.
C’è quasi un paradosso. L’artista occidentale rompe con la tradizione ma feticizza l’oggetto originale. Mentre il vecchio artista cinese (non il recente, che al limite copia) rifà ex-novo, senza sentirsi servile nei confronti di una tradizione che è anzi lieto di onorare proseguendola, impadronendosi di essa dall’interno e quasi portandola a perfezione.

Se dunque per Leotta (1982) l’oggetto cancella il progetto e letteralmente lo riscrive, Benoît Maire riporta l’oggetto nell’alveo del progetto, indagando la relazione tra questi due momenti distinti. Ma per Benoît la teoria risulta una materia di lavoro come qualsiasi altro materiale.
Scrivendo in termini testuali, alla Genette, possiamo dire che in Benoît il paratesto viene ricollegato a quella testualità oggettuale che era stata isolata e feticizzata dal Minimalismo. Nella lettura del lavoro artistico peritesto, epitesto e avantesto ritornano così a circolare unitariamente. Allora la sfera oggettuale e la dimensione teorica si trovano di nuovo assieme, se non altro come il pieno e il vacuo di una clessidra che si svuoti o si riempia dell’altro.

C’è anche in un certo senso una differenza da Derrida (anche se non è affatto un riferimento maireano). Non c’è un primato del testo letterale-oggettuale, dato che il testo di Maire non risiede nella sua manifestazione materiale (l’installazione oggettuale del suo lavoro) ma comprende il paratesto (almeno la sua parte esplicitata) e la sua stessa elaborazione teorica, che finalmente si emancipa dalla tradizione minimalista e concettuale.

Un gusto minimale rinasce nelle giovani generazioni artistiche dagli anni novanta. Nella sua variegata fenomenologia, c’è chi tematizza il fallimento delle promesse della modernità, associandola alle estetiche di fine anni sessanta, e chi tende invece a ricondurre l’autonomia estetica della Minimal Art alla vita materiale, al contesto politico e sociale (si vedano i molti artisti di lingua ispanica).

Con Rossella Biscotti (1978), anch’essa all’interno della mostra al Bozar e già precedentemente al Wiels di Bruxelles, abbiamo un’altra diversa declinazione del minimale (http://www.wiels.org/en/exhibitions/569/Rossella-Biscotti-For-the-Mnemonist-S). Il fatto storico, l’accaduto, il vissuto (da altri), la storia, viene tradotto e cristallizzato in un oggetto nuovo ridotto a testo, a video, a matrice tipografica, a oggetto geometrico oppure a traccia non priva di una certa eleganza modernista. L’artista sta a monte, indaga, soprattutto traduce il documento in oggetto e lo allega (almeno in parte) all’interno di un altro contesto che è il campo artistico.
Inoltre il lavoro della Biscotti sembra suggerire (diversamente da Maire o Leotta) una certa direzione teorica recuperando Autonomia operaia, Negri e la cosiddetta Italian Theory.

Tornando all’affermazione di Leotta (chissà se lo pensa ancora?) per cui l’oggetto che alla fine si esibisce cancella il processo iniziale, cosa accade?
Per Maire il campo oggettuale si ristruttura alla luce di un processo di pensiero e viceversa; i suoi oggetti sono immersi nello stesso liquido comune che nutre le parole e le cose. Non c’è rimando a un fatto storico semmai alla storia del pensiero riflessa nel presente.
Nel lavoro di Maire è la decisione stessa che diventa il materiale del lavoro. Ogni cosa, una volta assunta nel livello ‘meta’ della riflessione, si astrae portando con sé e sospendendo parole e cose in una sorta di limbo comune che coincide con la fruizione del suo lavoro da parte di lettori cooperanti. Questi ultimi si aggirano tra gli oggetti della Verrière nel medesimo tempo in cui sostano su una pagina scritta, parti inscindibili della stessa mostra.

In tutti e tre gli artisti (Maire, Leotta, Biscotti, diversissimi fra loro) si passa dall’oggetto al pensiero. E si riflette sull’oggetto installato in tre modi distinti. In Maire si rimanda al guardare che accomuna artista e riguardante. In Leotta la cesura dell’opera con il suo processo formativo induce a un percorso anche mnemonico di ricostruzione. Nella Biscotti, che indirizza più direttamente a un referente, la riflessione finale, poi, non è affatto referenziale. In tutti, la cesura costituita dall’opera pone interrogativi che non sembrano trovare risoluzione. Nei tre artisti c’è un interrogarsi senza sosta e senza soluzione, che è forse la vera condizione che accomuna, questa sì, il lavoro di molti artisti e ricercatori della loro stessa generazione.