AI MAGAZINE Anno 7 Numero 62 estate 2013
Forse non molti sanno che prima di prendere il nome di Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro o Il Cavaliere Blu), il gruppo di artisti espressionisti formatosi a Monaco di Baviera nel 1911, composto da Vasilij Kandinskij, Marianne von Werefkin, August Macke, Alexej von Jawlensky, Paul Klee e Franz Marc avrebbe potuto chiamarsi Der Gelbe Reiter, come suggerì appunto Marc agli altri membri della compagine, poi passò, in fase decisionale, il colore azzurro spirituale di Kandinskij, e Marc accettò la scelta dell’amico, seppure non convinto fino in fondo, considerando il colore giallo, già di suo, simbolicamente spirituale al pari dell’azzurro o del blu cielo.
Ma perché questo amore di Marc per il giallo?
Franz Marc nacque a Monaco di Baviera l’8 febbraio 1880 e morì a Verdun il 4 marzo 1916, dove cadde in combattimento, appena promosso tenente della riserva dell’esercito tedesco, in cui si era arruolato volontario allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La madre di Marc, Sophie Maurice, di origini alsaziane, era una fervente calvinista e quando partorì, pose, annodato sulla culla del suo bambino, un nastro giallo, per lei simbolo della conoscenza, dell’energia, dell’immaginazione creativa divina, della espressività guidata dalla mano di Dio, della gioia. Franz, una volta cresciuto, venuto a sapere del nastro (che per tutta la durata della sua breve vita lo seguì, là dove si recava, accuratamente ripiegato nella sacca di cuoio che con lui portava) fu molto colpito da questa sorta di “battesimo” casalingo, poi sempre si ricordò di un maglione giallo che la madre gli aveva confezionato, lui dodicenne, lavorando ai ferri, e di un cavallino di color giallo, giocattolo in carta pesta, regalatogli dal padre, che Marc definì “il mio angelo giallo”. Anche da ciò l’idea, adolescenziale, di divenire pastore calvinista, per poi passare dallo studio della teologia a quello della filosofia, per infine approdare all’Accademia di Belle Arti di Monaco e infine dedicarsi totalmente alla pittura. Ed è bello pensare come certi piccoli particolari, legati a un familiare, a un quotidiano, possano avere inciso sulle scelte creative di alcuni grandi artisti, andando a sottolineare, per l’ennesima volta, come l’arte sia vita e la vita, arte.
L’amore per il colore giallo prese ulteriore forza quando Marc, nel 1903 e nel 1907, recatosi a Parigi, incontrò l’arte di Van Gogh e quella di Gauguin e poi, negli anni successivi, quella di Chagall, che da poco si era trasferito nella capitale francese.
Di Van Gogh non poté che apprezzare, appunto, l’uso dei gialli, di Gauguin il famoso Cristo Giallo e di Chagall come il giallo andava a dare forma a certi suoi personaggi visionari. Ma fu nell’uso tecnico di quel colore che Marc prese distanza da quei suoi punti iniziali di riferimento, così come nel formulare figure, spazi e forme e nell’intendere la poetica del rappresentato… quella poetica che poi divenne la sua caratteristica più originale.
Gialli furono certi suoi cavalli, tigri, mucche, gatti, cani, case, cuscini, coperte, piante, sfondi, spaccati di paesaggio, nonché trame e tessere oltremodo importanti nella sua pur breve produzione astratta.
Se per Franz Marc l’animale divenne metafora di purezza, bontà e innocenza, e gli occhi degli animali mezzo per indagare la natura che ci circonda, egli teorizzò che l’uso dei colori non doveva sottostare a come gli stessi risultano in luce, ma in base alla luce loro intrinseca; così come il giallo, che lui, per gentilezze e soavità, ritenne proprio del femminile, e il blu, colore del maschile, dell’elevazione, della volontà nel credere, dovevano sempre andare ad attenuare, se non combattere, la pesantezza, la brutalità, la compressione e il demoniaco che in sé il rosso racchiude.
Il giallo è anche il colore della fertilità, del sole, della regalità, della vitalità e chi lo predilige tende, di continuo, al cambiamento e alla ricerca del nuovo.
Franz Marc, giustamente, sosteneva che era la tinta che emana le maggiori vibrazioni e, assieme al verde, è il colore che più facilmente viene percepito dall’occhio umano, così che in natura veniamo colti da infinite gradazioni di giallo, come di verde.
Forse anche per questo è il colore che si associa a un’identità ben radicata, sicura, a una personalità forte, seppure attenta nel percepire le tante sfumature che compongono l’altrui esistenza.
Per Marc, in primo luogo, era il colore della redenzione, di una sorta di ritrovato Giardino dell’Eden, la tinta che simboleggiava il Cristo, quella della crescita spirituale e dello sviluppo di un’autonomia e di una libertà intellettuale, accrescitiva e fortemente creativa, che non può mancare nell’artista che pone il sacro e l’energia, in eterna apertura, come motivazioni fondamentali del suo agire.