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Virus (1994 - 1998) Anno Numero 14 ott-nov '98



Michele Pogliani - Il movimento dello sguardo

Intervista di Sergio Lacavalla



Mutation
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Poetica del cibernetico, realtà virtuali come post-moderni stati d'animo del nuovo umano espressi nel corpo in movimento. Poesia di un corpo che sviscera i sentimenti dentro un percorso coreografico che ha in sé la contemporaneità dell'avanguardia e l'eternità del classico.
Coreografo-danzatore dello sguardo, Michele Pogliani parla di una danza come camera da presa sul (dentro) il nostro presente-futuro.

Sera. Teatro. Prove. Compagnia Michele Pogliani. Sergio Lacavalla: E poi, quello che sembrava fosse già nell'aria, accadde. Così, come tutte le cose in un brevissimo momento. Buio. Bum! La testa rasata di Ines con violenza colpisce il sopracciglio di Kim: sgomento, sangue, più tardi lacrime. E tra poco ci sarà lo spettacolo. Il suo sguardo adesso è sul mio. Lo sostengo ancora un
pò. Quindi cambio direzione incrociando quello di Ines che si volta dall'altra parte e abbassa il capo. Michele Pogliani: Ho notato la tensione che c'è tra voi due. Lo riguardo. Se osservare significa frugare (devo averlo letto da qualche parte), allora lo sguardo blu e intenso di Michele Pogliani - danzatore e giovane coreografo dell'osservazione - è di quelli capaci di entrarti così dentro da trovare qualcosa che ai più sfugge, a volte perché nascosta, altre perché tanto evidente da non essere vista: l'essenza delle cose che somiglia sempre più alla verità - o almeno a un suo tentativo. Ormai conosco quegli occhi attraverso i quali le immagini che li percorrono (inseguite, fermate e catturate) si trasformano in movimento (Kim e Ines si inginocchiano a terra e si flettono sulle braccia: occhi spalancati e fissi in immutabili, inesistenti sentimenti. Nessun contatto tra i corpi, nessuna comunicazione. Viviamo spesso così!), come se la realtà trovasse un suo sistema essenziale di decodifica (la verità come rappresentazione simbolica): coreografie che riflettono e ripetono i suoi pensieri dentro il proprio corpo forte e esile e in quelli perfetti e sensibili dei suoi splendidi ballerini.

Pomeriggio. Sala prove. Ines Cera ferma i suoi profondi occhi dal finto colore -"Sono le lenti", sorride - sul movimento che ripete contandolo piano. I suoi occhi che, anche quando è allegra come un cartone animato, non riescono a perdere una strana tristezza. "Che devo fare? Dimmelo", penso io seguendo quelle sequenze che nel suo piccolo corpo sono un continuo tuffo al cuore.
Gabriella Iacono, ora con i capelli gialli, ride e poi piange in equilibrio sul sottile filo della sua emotività. E danza lineare e precisa come pochi. Come Kim Savèus, perfetto, un altro con quello sguardo pieno di cose. Federica Mastrangeli, bella e intelligente come una canzone degli Scisma che incontrano Tori Amos in un film di Claude Lelouch schizzato nella Play Station di Tomb Raider - starring Lara Croft - prova anche lei attenta le sue sequenze e conta quelle degli altri: uno, due, tre, quattro, cinque...). Michele Pogliani li fissa respirando lento il fumo della sua sigaretta. C'è tutto un mondo in quelle coreografie. La logica risultante di un
percorso artistico e di vita che dalle prime esperienze di danza e sesso sublimato nei corpi dei ballerini visti a teatro ("La prima attrazione è sessuale, da culo", dice, "tutti quei ballerini col paccone che danzano 'Giselle'...alle prove, a volte", ti guarda lasciandoti capire, "Poi viene l'amore per la danza in sè") ha portato Pogliani giovanissimo negli Stati Uniti ("Qui
non c'era niente... E poi non capivano. Un direttore di scuola che mi dice che fisicamente non ero adatto alla danza. Allora vado in America. E lì, tutto si rivolta, in questo grande supermercato in cui non sei mai troppo vecchio, nè troppo basso o troppo alto") dove studia al Merce Cunningham di New York e lavora con vari coreografi e nella Rosalinda Newman and dancer, nella Laura Dean dancer and musicians per arrivare all'esperienza fondamentale della Lucinda Childs dance company (con lei farà il mitico tour mondiale Einstein on the Beach di Robert Wilson e Philip Glass), fino al suo rientro, dopo dieci anni, in Italia con tutto quel prezioso bagaglio da danzatore e coreografo dell' (all') avanguardia.

S. L.: Cos'hai imparato da Lucinda ?

M.P.: Lucinda mi ha insegnato tutto, più o meno. Fisicamente il suo era un movimento limitato, ma
intellettualmente era stimolante. La danza che non è solo un fatto fisico. Studiando la sua tecnica, la testa ti cambia... comunque ero già intelligente di mio. - sorride, un pomeriggio che ce ne stiamo a casa sua a raccontarci un po'di cose.

Qual'è la tua concezione di danza?

"La cosa che a me interessa di più" - fa guardando il tavolo, poi rialza lo sguardo - "è il movimento e le correlazioni del movimento nello spazio e con la musica".

Lo spazio di cui parli è quello che crea la scena.

"E dove la scena deve mutare, mutare il palco che può diventare come un videogioco".

Ma è uno spazio anche (e soprattutto) interiore che racchiude l'essere nei suoi sentimenti e esteriore dell'individuo dentro un paesaggio tecnomediatico di cui (sempre più macchina) ne è parte (Ballard parlerebbe di icone neuroniche sulle autostrade spinali). La danza (modernissima) come lucida e rigorosa rappresentazione della contemporaneità, dell'uomo-macchina col suo telecomando.

"È così... ed è importante impadronirsi del corpo. Ma un corpo nuovo che tiene conto della tecnologia.

"Schegge di vetro e i tappetini che puzzavano di sangue e liquidi oganici misti a quelli della macchina ", cito Crash da David Cronenberg, e poi William Gibson da Aidoru: "Vorrei sapere cosa crede di fare scopandosi un pezzo di software". Lui indica quel telecomando.

"L'idea del sito internet", riprende, "questo salotto delle checche cibernetiche" (Cyberg Queer lounge, il suo ultimo spettacolo)"...ecco, mi interessa anche il movimento coreografico rivisitato in chiave commerciale... guarda le veline di 'Striscia'", sorride "E questo corpo nel vuoto concentrato in cui viviamo che porta di certo a qualcosa di molto chiaro".

"Per la prima volta esiste una benigna psicopatologia che ci chiama a sè. È il futuro, Ballard, e tu ne fai già parte", Crash.

"Già, non voglio però sovrapporre contenuti", va avanti, "impegnarmi in una trappola intellettuale, ma andare oltre l'apparente mancanza di contenuti e affrontare l'alienazione dei non contenuti fatturando la danza nel modo più diretto possibile, ad ogni movimento collegare un'idea ".

Cyber queer lounge è un'esperienza 'computerizzata' dove il corpo (e la testa quindi) assumono una nuova identità: la Finzione-Realtà.

"In un sito puoi dire quello che vuoi".

La finzione come predominante realtà:

"Facciamolo finto, ci siamo detti" (Michele, Federica, ballerina e sua assistente coreografa e Paolo Demitry, musicista technomodernista). "L'idea della finzione portata all'ennesima potenza, dove il movimento ha un suo specifico supporto sonoro come effetto speciale. Come se il corpo-macchina precedesse il suono che sta producendo, passo dopo passo, movimento dopo movimento. Partendo da una frase che poi si sviluppa".

Gli occhi che frugano dentro le cose smontandone i meccanismi. Lo sguardo lucido che passa dalla realtà virtuale a quella dell'amore, sempre in questi tempi di (non) comunicazione (forse l'amore è un altro momento virtuale), di difficoltà di esprimere i sentimenti:

"Quanta gente non è capace di dirsi ti amo".

Il rosario di umili meraviglie (altro suo spettacolo) è un autentico shock emotivo: un trattato sull'impossibilità d'amare che ti strizza e ti sbatacchia il cuore di continuo.

"Il rosario è nato dall'esigenza di raccontare questo bisogno di andare fino in fondo in un rapporto d'amore, sei disperato e disposto a tutto. E la mancanza di comunicazione con chi ami.
L'importanza di amare anche nei continui fallimenti. Abbiamo così poco tempo e siamo gli unici esseri coscienti della morte. Amare senza paura di amare, di soffrire, altrimenti vivi in un'ampolla di vetro".

Mi guarda fisso sottolineando il concetto con gli occhi di chi conosce bene questo momento e le sue esigenze.

"E se ti fa così male, allora è meglio stare da soli. Non si può fingere. Amare senza limiti, pure se questo può spaventare. E riuscire a dirselo: non puoi arrivare a un profondo stato di intimità fisica, farti leccare il cazzo e il culo e poi non essere capace di dire ti amo. Ma davvero, magari piangendo". Guarda un istante nel vuoto. Di nuovo su di me.

Pogliani sa raccontare dell'amore col suo specifico linguaggio costruendo quelle coreografie che valgono più di tante parole.

"Voglio sviluppare questo argomento arrivando a parlare di quel bisogno assoluto che è il desiderio: l'algebra del desiderio che non ti permette di mentirti. Puoi mentirti su tutto, ma non sul desiderio".

Conclude, mentre i suoi occhi ti guardano frugando ancora nelle pieghe dei significati che sono dentro di te come in ognuno. Quei significati che continuano a ripetersi nei corpi dei suoi ballerini e davanti ai tuoi occhi.

Pomeriggio di odore di sudore, specchi grandi e luci al neon. Sera: Ines è confusa, abbassa la testa: "Non l'ho fatto apposta, scusa", sussurra. Il sangue cola dalla piccola ferita di Kim. Quei corpi-macchina ('splendide macchine da nuove emozioni' come ha scritto un critico) adesso sanguinano e lacrimano. Come se in un istante (in)atteso tutti i significati del loro coreografo
avessero trovato un' (in)volontaria sintesi. The end. Game over.