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Juliet Anno Numero 93 Giugno '99



MARIKO MORI

A cura di Paolo Cecchetto



Art magazine
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Paolo Cecchetto: Il tentativo di perpetuazione di modelli storico-culturali affermati rivive costantemente nel reiterato accenno a una presunta e non meglio identificata crisi di "fine secolo" che, coincidenza, stavolta capita essere contemporaneamente di fine millennio. Così si è indecisi se assimilare la presente condizione a un nuovo medioevo dove la Cultura viene di nuovo minacciata dalla spada delle orde barbariche -il sempre mutevole imperialismo americano? la montante reazione dell'ortodossia islamica?- oppure a un secondo, più decadente fin de siécle. Non più divisi tra destra e sinistra, si cercano risposte nella neopositivista fede nell'affermazione di una tecnologia "buona" o nella rinascenza di dottrine spirituali liberamente interpretate e predicate a sempre più folte schiere di orgogliosi possessori di cuscini da meditazione. L'arte, a cui non è più familiare prendere posizione, partecipa a suo modo al suo tempo fornendo risposte fortunatamente non sempre chiare. Questo ragionamento vale anche per Mariko Mori, che abbiamo incontrato a Londra alla vigilia della sua personale alla Serpentine Gallery.
Il tuo lavoro usa la tecnologia nella sua forma più spettacolare e "aggiornata", e ciò dà l'impressione, in un primo momento, che essa venga come consumata, addomesticata in un'immagine. Lo stesso vale anche per quanto riguarda i riferimenti alla filosofia e alla religione, che sembrano alludere alla possibilità di giungere con estrema facilità alla cosiddetta "liberazione". Ho tuttavia l'impressione che ci sia qualcosa che continua a sfuggirmi. Mi chiedo se ciò non derivi dal fatto che il tuo lavoro è espressione di una cultura totalmente diversa dalla mia, nella quale scienza, arte e spiritualità possono arrivare a integrarsi felicemente, fornendo così una risposta convincente senza timore di sbiadire in una operazione puramente concettuale o ingenua?
Mariko Mori: Il mio lavoro tratta temi come il rapporto tra Natura e Cultura, Materialismo e Spiritualità, che sottopongo a una costante ricerca tentando di mettere in equilibrio gli elementi dell'arte, della scienza, della tecnologia e di filosofie orientali. Uso la tecnologia nel lavoro artistico perché credo che lo sviluppo scientifico non riguardi soltanto la possibilità di vivere in modo più agiato, ma possa consentire, in parallelo, uno sviluppo della coscienza o, meglio, l'accesso a livelli più alti di coscienza che noi attualmente non conosciamo. Noi siamo i testimoni non solo dello sviluppo delle cose in senso materiale, ma anche in senso spirituale, e questo aspetto va cercato e integrato a quello di più facile consumo.

PC: Mi sembra che tu abbia selezionato gli elementi la cui presa di coscienza potrebbe costituire, in questo finale di millennio, un salto maturo verso l'integrazione dei contrasti. Tuttavia la scienza ,oggi, non sembra porsi eccessive questioni di etica, la natura è un'opinione e le pratiche spirituali non ortodosse sembrano fatte apposta per toglierci i sensi di colpa dei nostri abusi. Così mi è difficile guardare al tuo lavoro se non come all'abbozzo di un processo evolutivo basato su un'idea positivista della tecnologia, che con candore fornisce benessere e beatitudine in senso orizzontale. Il pensare così la tecnologia non sarà forse il risultato di una euforia che magari è vissuta in modo particolare nel tuo paese?
M.M.: Dal dopoguerra, specialmente tra gli anni '50 e '80, c'è stato in Giappone, come tutti sanno, un enorme sviluppo industriale che ha portato con sé fenomeni abnormi di consumismo con i connessi problemi di inquinamento, sfruttamento e distruzione delle risorse naturali. Un uso quindi del tutto sconsiderato della nostra tecnologia. Ciò nonostante, continuo a credere che sviluppare la scienza e la tecnologia sia, per la nostra civiltà, una cosa molto importante. Credo si debba accettare che la scienza è riuscita a sostituirsi a ciò che la religione è stata in passato, e quindi comprenderne l'importanza, farne uno strumento di conoscenza e imparare a usarla. Questo passo consapevole, e sicuramente inevitabile, può venir fatto con una certa armonia solo se, in parallelo, avverrà uno sviluppo della coscienza; solo allora la scienza e la tecnologia potranno venirci in aiuto per ottenere quell'equilibrio di cui abbiamo parlato.

PC: La tua posizione critica consiste quindi nel pensare che la modificazione del nostro pensiero comincia col conoscere ciò che si trova nelle nostre mani, compresa la nostra intelligenza. Sei così sicura di poter dominare ciò che usi senza passare per quella porta così larga del consenso?
M.M.: Come ho detto io cerco l'equilibrio, e quindi non temo la contaminazione. Per esempio, in una mia scultura, io faccio uso dell'Imawari, un congegno inventato da mio padre venti anni fa. È un'apparecchiatura che filtra i raggi solari attraverso l'uso di cavi a fibre ottiche e che, eliminando i raggi infrarossi e ultravioletti, trasmette soltanto quella parte di energia solare di cui il nostro corpo trae veramente beneficio. Ho collegato l'Imawari a Enlightenment Capsule, una "scultura" che è intesa per essere usata da persone che vogliono goderne l'effetto, o per meditare. Sto inoltre cercando di mettere a punto un sistema che permetta la formazione di un campo magnetico tale da consentire a chi entri nell'Enlightenment Capsule di levitare in un ambiente privo di energia gravitazionale. In questo caso l'uso della tecnologia è mirato a creare un contatto con il mondo naturale, una energia a bassa entropia usata in modo saggio, tutt'altro che distruttivo.

PC: L'immagine che mostri riveste tuttavia un abito fantastico, emozionale, quasi disneyano. Penso a un lavoro come "Nirvana", che si rifà esplicitamente al fumetto e rende possibile ogni fantasia. L'equilibrio per ora è raggiungibile soltanto mediante la rarefazione del mondo reale, ossia con una immagine piacevole che sposta i conflitti altrove?
M.M.: Non sono veramente sicura che ciò di cui parlo sia il mondo reale, perché non so dire con certezza che cosa è la realtà. Mi sembra infatti che ciò che noi percepiamo come realtà sia invece illusione e viceversa. Perciò il mondo che viene illustrato nei miei lavori è piuttosto parte della mia immaginazione e quindi indirizzato più a ciò che possiamo chiamare una forma mentale. Ma aldilà dei termini, ciò che mi interessa è creare un collegamento con un qualcosa che sta al di là della coscienza, ammesso che ciò esista.

PC: Vuoi dire che credi nell'esistenza di un qualche cosa che, una volta conosciuto, potrebbe consentirci di usare le nostre risorse in modo diverso da come abbiamo fatto finora, e che il tuo lavoro si propone di aiutarci in questo?
M.M.: Sì, senz'altro.

PC: Dalla tua risposta, più che dal tuo lavoro, direi che cerchi di produrre e comunicare qualcosa che non si preoccupa di rientrare nell'ambito di un discorso artistico diffuso. Che la tua produzione, in altre parole, non si basa su quanto l'arte ha già affrontato e incorporato, su un modello anche solo estetico preesistente. È vero oppure esistono delle figure dell'arte alle quali ti sei ispirata o ti ispiri?
M.M.: Io sono ispirata dall'energia dell'Universo.