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Juliet Anno 20 Numero 102 aprile 2001



Panamarenko - Carsten Höller

R. Becucci - H. Finke



Art magazine
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Panamarenko, Panama, 1996

Carsten Höller, Upside Down Mushroom Room, 2000 m4,5x6x12,5 Fondazione Prada

Panamarenko
Panamarenko attua una dinamica interpretazione del mezzo-veicolo: il marchingegno allude al movimento, a una ricerca per questa utopistica messa in scena del sogno. È il volo che affascina l'autore: una continua prova verso un processo costruttivo. I veicoli realizzati sono complesse costruzioni associative, affascinanti per la loro componente di reperto alla storia e alla società.
È la forma che si propone verso un dinamismo esplorativo e non l'esplorazione che si fa vortice veloce: infatti la scoperta della dimensione parallela (cielo, mare, terra) è una promessa che Panamarenko deve soddisfare di continuo.
È, quindi, il mezzo costruito che ci permette di collegarci al nostro eterno desiderio: osservare il parallelo. La macchina (marchingegno) si posiziona all'interno di un processo identificato nel progetto, quale intuizione alla scoperta e per la sua definizione di spazio ancora pensato e mai raggiunto... indicandoci una composizione articolata come prova di una concreta realizzazione e utilizzo, da parte di un agente esterno (l'uomo). Scoprire cosa nasconde la macchina: la sua dimensione viene destinata all'esterno, in un'interrogazione rivolta alla nostra intuizione.
L'identità (ovvero la propria destinazione avviata dall'artista) che cerca sempre un meccanismo a quel semplice processo di costruzione, per andare oltre... Forza e dinamismo come elementi all'apparente propensione della tecnica, in un'elaborazione storica della citazione, alla ricerca come spostamento individuale.
Per esempio, "Il grande Friz" è un elicottero-prototipo indossabile, funzionante grazie a una rotazione azionata dall'uomo (sulla falsariga dei prototipi leonardeschi). Lo stesso movimento-forma-energia viene paragonato a una "equipe" di pappagalli (ricordate il pappagallo e i canarini di Kounellis?) che ci aiuta a ipotizzare un binomio natura-artificio che può esistere nel rapporto del volo come meccanismo di ricerca.
L'energia mediata, in questa struttura, diventa una prova nel voler essere altrove... Panamarenko riflette su una risposta di artista curioso: costruisce (anche se in scala) strutture e si ricarica con loro, creando un movimento che è sempre però basato sull'energia intuitiva.
R. Becucci


Carsten Höller
"Oh, l'ambiente; oooo l'ambiente", avrebbe potuto esclamare esausto mr. Willer (Bordon, non Tex), dopo ore di inutili chiacchiere svoltesi in seno all'ultima riunione dei G8 sull'inquinamento del pianeta Terra. Ed, eccolo, allora, l'ambiente, in accezione environment, bello e complesso nell'opera di Carsten Höller: una sorta di circuito/percorso che conduce alla praticabilità fisica, all'assorbimento corporale, secondo una sorta di energia intrinseca che si manifesta, dato che noi stessi si è produttori e ricettori di immagini e di sensazioni.
Negli anni Settanta si sarebbe discettato di opera aperta, mentre oggi si tratta di "gettare il sasso nell'acqua e osservare che cosa succede" (G.Celant).
Non c'entrerà nulla, eppure a questo punto mi viene in mente il paradosso di De Dominicis: i quadrati sono davvero possibili, la sorpresa è ancora lecita, oppure quello che accadrà appartiene a quello che già sappiamo?
I funghi, comunque, di Höller sono una vera e riuscitissima allucinazione: il sotto e il sopra, Alice e lo specchio, tanto che l'irrealtà diviene realtà.
H. Finke