Equipèco Anno 4 Numero 12 estate 2007
«Bisogna dipingere calpestando la terra perché la forza entra dai piedi.»
Joan Miró, (20 aprile 1893, Barcellona - 25 dicembre 1983, Palma di Maiorca), a sette anni segue i corsi di disegno del Señor Civil. A quattordici anni si iscrive alla scuola di Belle Arti di Lonja. Questi dati testimoniano un’attività di 83 anni dedicata alla sua incessante ricerca artistica manifestata attraverso molteplici tecniche: disegno, inchiostro, guazzo, acquarelli, pittura, scultura: bronzo, legno, ceramica; gli arazzi, le grandi composizioni murali
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Edward Lucie-Smith, critico inglese, scrive di Lui: «...Dato che il surrealismo sottolinea con tanta forza la spontaneità e le intuizioni del subcosciente, risulterà forse sorprendente che alcuni dei suoi piú noti esponenti adoperino una tecnica accademica, fino al punto di far sembrare che rigettino molte delle scoperte dell’epoca precedente. Ma artisti come Dalí e René Magritte sono cosí intenti a mostrarci la loro visione il piú chiaramente possibile che scelgono per presentarcela il modo ch’essi sperano piú accessibile. È questa la ragione per cui un artista come Magritte è rimasto stilisticamente inerte lungo tutta la sua carriera. La pittura non fu mai per lui fine a se stessa, ma solo un conveniente mezzo di comunicazione.
Un certo numero di esponenti imortanti del surrealismo pensava che questo fosse un sacrificio delle qualità che il pittore dovrebbe ancora possedere.
Uno di essi era Joàn Miró, il cui Interno olandese del 1928 mostra un trattamento dei problemi spaziali che deve molto al cubismo. In questo quadro possiamo osservare gli inizi di uno stile che Miró avrebbe molto sviluppato in seguito, un modo di dipingere che era piuttosto un modo di scrivere, in cui delle forme emblematiche vengono allineate sulla tela come se si trattasse di una serie di geroglifici. (...) Questo sviluppo era pregno di conseguenze per l’arte successiva al 1945.»1
E Giulio Carlo Argan: «(...) I miti di Picasso sono allarmanti, mettono in guardia il mondo; il mitologismo conformista di Léger lo rassicura e, senza volerlo, l’inganna.
L’altra faccia della medaglia, Miró: un pittore spagnolo, da principio tendenzialmente fauve e poi nel ‘24, a Parigi, a fianco di Masson tra i maggiori esponenti del surrealismo.
Facendone la rivelazione dell’inconscio, il surrealismo riconosce che l’arte non ha piú una circolazione e una funzione sociali: a meno che la sua funzione non consista proprio nel liberare l’individuo e la società dalla repressione della ragione per restituirlo all’autenticità degli istinti, alla capacità di vivere in comunione mitico-magica col mondo. Non serve cercare, come Léger, di costruire miti razionali, il mito è sempre irrazionale. La pittura di Mirò è caratterizzata dall’assoluta mancanza di censure: evita perfino di attribuire alle immagini significati simbolici perché le giustificherebbero, e la giustificazione è ancora una censura.
La mancanza di giustificazione non è mancanza di motivazione. Se le immagini di Mirò si configurano come stelle o falci di luna o corolle e stami di fiori v’è certamente una motivazione inconscia; ma è tale l’evidenza, la purezza del segno e del colore che non si cerca alcun significato secondo al di là della percezione. La profondità dell’inconscio si risolve totalmente nella superficie dell’immagine visiva. Tra la motivazione occulta e l’evidenza scoperta dell’immagine c’è soltanto l’azione del pittore. La motivazione non è una causa a cui corrisponde logicamente un effetto, è un impulso che si trasmette e perdura nel gesto che forma l’immagine. La si può leggere nella vibrazione delle linee e nella fosforescenza dei colori, come una corrente elettrica che rende incandescente il circuito che percorre. L’immagine non è una proiezione, ma un prolungamento dell’essere profondo dell’artista: un venire a galla per respirare una boccata d’aria, brillare per un istante nel sole.
È facile accorgersi che la dimensione psichica in cui si muove Miró è la stessa di Klee, ma il moto è inverso: Klee s’immerge ed esplora, Mirò risale e affiora. Il mito non è al di là (come per Léger), ma al di qua della coscienza: ed alla soglia della coscienza la percezione si arresta. È il segno stesso, come traccia del gesto, che conduce all’origine del mito, al punto d’indistinzione e comunicazione tra vita biologica e psichica: ad una condizione veramente naturale dell’essere, in cui non può esservi nulla di oscuro, di torbido, di minaccioso. I falsi miti, non i veri, sono pericolosi; i miti conformi alla ragione, come quelli di Léger, incutono timore; con gli altri, i contrari, si può tranquillamente giocare».2
Infine, Guy Weelen: «...Per certi pittori, il silenzio, la tenacia nello sforzo sono altrettanto importanti dei colori. Un solo luogo, sempre lo stesso, lo studio, permette loro di vivere davanti alla tela bianca le avventure piú inimmaginabili. È probabile che Miró sia uno di loro.
Conta per Miró la fantasia del linguaggio. L’ha dimostrato giostrando sulle tele con frasi, con lettere, ma anche scrivendo diverse poesie».
Cosa possiamo aggiungere?. Vogliamo soltanto testimoniare -attraverso queste pagine-, che l’artista è colui che riesce a liberarsi dalla formalità accademica rendendo cosí le proprie opere veicoli di comunicabilità per eccellenza.
L’immagine, infatti, è il mezzo piú immediato per fare ciò: l’occhio non ha filtri né metafore che impediscano la comprensione; altresí, registrano nella mente direttamente e, a volte, senza che ce ne rendiamo conto; e non occupano lo spazio della nostra memoria anzi, possono forse resettarla: è un fatto eccezionale quando accada: si può esperimentare e vivere la dimensione dell’Essere totale e personale contemporaneamente: condizione che permette l’interazione che avviene senza l’intervento del pensiero poiché si realizza un fatto affine che può essere tangibile ed elettivo. Egli riesce a trovare un equlibrio eccezionale anche tra parola e immagine:
«L’ala dell’usignolo cerchiata di blu raggiunge il cuore del papavero che dorme nellaprateria adorna di papaveri».
Miró, come Klee -che abbiamo presentato sul numero scorso- è un altro artista che ci ha fatto vivere questa esperienza.
Note
1- Edward Lucie-Smith, ARTE OGGI - Dall’Espressionismo astratto all’Iperrealismo, pp.44-46, Arnoldo Mondadori Editore, 1976.
2- Giulio Carlo Argan, Storia dell’Arte classica e italiana - Vol. 5° - L’Arte Moderna, pp.356-357, Ed. Sansoni 1980.
3-Guy Weelen, Miró, p.8, Ed. Garzanti 1984.