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Juliet Anno 20 Numero 107 aprile 2002



About making landscapes

Jeff Wall

Traduzione di Stefano Graziani



Art magazine
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Jeff Wall, mostra "En el Cielo", Venezia 2001

Jeff Wall, A Sudden Gust of Wind (after Hokusai) 1993, Tate Gallery, London

Jeff Wall, Documenta X, b/w photos, 1996-97

Produco immagini di paesaggio naturale (landscapes) o di paesaggio urbano (cityscapes), a seconda dei casi che si presentano, per studiare i processi di composizione e insediamento e per cercare di spiegare a me stesso che tipo di immagine o di fotografia è quella che noi chiamiamo "di paesaggio". Allo stesso tempo questo mi permette di riconoscere gli altri tipi di rappresentazione con le quali il paesaggio ha le necessarie connessioni o gli altri generi che un paesaggio può celare all'interno di sé stesso.
Platone nel Politico, ha scritto: "Dobbiamo supporre che il grande e il piccolo esistono e sono distinti non solo in relazione l'uno all'altro; ci deve essere un altro termine di paragone tra loro nel significato o nel giusto mezzo; perciò se supponiamo che il maggiore esista solo in relazione al minore, non ci sarebbe mai alcun confronto di entrambi con il significato. Non sarebbe tale dottrina la rovina di tutte le arti? Per tutti, le arti sono basate sull'attenzione agli eccessi e ai difetti, non in quanto condizioni irreali, ma in quanto reali errori, e l'eccellenza nella bellezza di ogni opera d'arte è dovuta alla sua osservanza delle misure".
Questo fondamentale criterio dell'estetica idealista e razionalista - cioè di un armonioso, normativo e condiviso giusto mezzo - risulta importante nello studio dello sviluppo della condizione nella modernità capitalista o anticapitalista. Ma ciò risulta importante in quanto momento negativo poiché l'irregolarità è il carattere predominante nello sviluppo storico, sociale e culturale della modernità.
Il discorso sulla cultura contemporanea, che si vanta di una rigorosa critica all'idealismo, ha quasi completamente invalidato l'idea di un significato armonioso, caratterizzandolo come un fantasma dell'idealismo. Allo stesso tempo, la sopravvivenza del concetto di misura, come standard universale di valore nello scambio delle merci, implica che per noi la misura non rappresenta un momento di rivelazione trascendentale e di risoluzione, ma uno di conflitto interno e di contestazione - la contestazione sul plusvalore, che fa partecipe e coinvolge noi tutti. Da quest'immanente prospettiva antagonista e negativa, lo sviluppo può solo essere inteso in termini di sovrasviluppo (sviluppo aggravato) o sottosviluppo (sviluppo arretrato, irrealizzato).
Traducendo questi opposti in termini stilistici, potremmo intendere il sovrasviluppo come una sorta di fenomeno manierista barocco d'ipertrofia ed esagerazione - una sorta di tipico cyberspace postmoderno. Sottosviluppo suggerisce una poetica d'inconclusione, intrisa di un pathos rurale secessionista. Ma l'Arte povera del sottosviluppo non è meno imperfetta del suo opposto; entrambe sono modellate da una relazione antagonista o alienata al concetto di misura e la loro unità su tale posizione rappresenta un limite tra pensiero estetico ed economia politica. Un modo, quindi, di avvicinare la questione della "politica della rappresentazione" è studiare l'evoluzione di un'immagine per come risolve sé stessa in relazione all'atto di misurazione che costituisce la sua vera forma (per esempio, nella tradizione accademica le relazioni tra i lati dell'immagine erano soggette ad un'interpretazione armonica).
(...)
Comunque possa essere, potremmo in ogni caso affermare che in una rappresentazione moderna tenderà ad esserci una distinzione o disparità (se non un conflitto aperto) tra il sovra o sotto sviluppo del tema o del fenomeno rappresentato e la sempre misurata ed armoniosa natura dell'immagine stessa. L'esperienza della tensione tra forma e contenuto descrive ed esprime mimeticamente qualcosa della nostra esperienza sociale di sviluppo tormentato, il quale non è raggiunto o realizzato, o che, nell'essere realizzato, risulta in rovina - ma anche tutte le irrisolte condizioni intermedie dove risiedono speranze ed alternative.
Studiare le forme della composizione degli insediamenti non è quindi separabile dal risolvere modelli di immagine; ne è una conseguenza inevitabile. Un'immagine riuscita è fonte di piacere e credo sia il piacere provato nell'arte che rende possibile qualsiasi riflessione critica nei confronti della sua forma o di ciò che rappresenta. Tale piacere è un effimero momento affermativo, nel quale la trama dello sviluppo insediativo è riconosciuta come se le persone non lo abbiano realmente subito.
Il mio lavoro sul paesaggio è stato anche un'occasione per riflettere su alcuni problemi della struttura interna di altri tipi di rappresentazione. Facendo ciò mi è stato possibile ripensare alcuni concetti abbastanza ovvi e convenzionali sul genere del paesaggio in quanto genere.
In maniera più evidente, una rappresentazione si avvicina alla generica categoria del paesaggio nel momento in cui il nostro punto di vista fisico si allontana dai suoi motivi primari. Non posso resistere dal notare in questo qualcosa di analogo al gesto dell'abbandono o in alternativa di approccio e incontro. Questo può essere il motivo per il quale la rappresentazione di un cimitero è, almeno in linea teorica, il tipo "perfetto" di paesaggio. L'inevitabile approccio, fino ad ora inavvicinabile al fenomeno della morte, la necessità di lasciarci alle spalle coloro che sono morti, è l'analogia più dura e drammatica per la distante - ma non troppo distante - posizione del punto di vista, identificata come "tipica" della rappresentazione del paesaggio. Non ci possiamo allontanare troppo dal cimitero.
Potremmo ragionare, allora, sul fatto che la distanza peculiare o specifica del punto di vista alla quale si cristallizza la tipica immagine di paesaggio è un esempio di fenomeno liminare o di condizione liminare. È un momento di passaggio, pieno di energia, desiderio e contraddizione, che molto tempo fa è stato stabilizzato in quanto emblema, un emblema di un "momento decisivo" di esperienza visiva e naturalmente anche di relazione sociale.
Nel fare i paesaggi dobbiamo ritirarci ad una certa distanza - abbastanza distanti da distaccarci dall'immediata presenza di altre persone, ma non troppo da perdere la capacità di distinguerle in quanto agenti in uno spazio sociale. Oppure, con più accuratezza, è nel punto in cui cominciamo a perdere la visione di questi in quanto agenti, che il paesaggio si cristallizza in quanto genere. In termini pratici, abbiamo bisogno di calcolare alcune quantità e alcune distanze, in modo da essere nella posizione corretta per formulare un'immagine di questo tipo, specialmente in fotografia, attraverso le sue lenti sferiche e le precise lunghezze focali.
(...)
Jeff Wall 1995
Traduzione di Stefano Graziani