Juliet Anno 20 Numero 109 settembre 2002
a cura di Ivana Mulatero, Emanuela Bartolini, Anna D'Agostino, Bruna Genovesio, Marcello Salvati, Lorella Giudici
Torino: 3a puntata
Milano: 4a puntata e fine
TORINO
Marcella Beccaria, curatore museale
Penso che l'arte sia una forma di conoscenza, e come tale, anche se talvolta sembra commentare la realtà, più spesso credo che invece la anticipi, aprendo nuove vie altrimenti non ancora riconoscibili. Se mi si chiede se l'arte è cambiata dopo l'undici settembre, la prima risposta che viene alla mente è no, l'arte non è cambiata. Non per insensibilità, tutt'altro, ma proprio perché i grandi drammi, sia personali sia collettivi, sono sempre stati presenti nell'arte (...)
Antonio Carena, artista
In pretta quintessenza amerei esplicere che, nonostante l'accadimento targato NY 11/09/01, due "rasoiate-segnale" (travisato in quaresimalista messaggio per disvirtù di ripetizione fino allo sbadiglio), l'arte contemporanea rimarrà esclusivamente afferente alla cattura del "lirismo", quello per intenderci, che euforizza i conti in banca, non arreca felicità ma distende i nervi.
Alberto Peola, gallerista
La scena mondiale è stata toccata così profondamente dai fatti di New York che ogni comportamento, che ne conseguirà, sarà mutato. Nelle arti visive è prematuro parlare di effetti, mentre il mutamento immediato si può cogliere per quanto riguarda la bassa cultura come i telefilm sul Ground Zero di cui già si parla. Torino nell'arte è la città più vivace e prepositiva d'Italia ma nonostante ciò permane in essa una visione miope in quanto una parte della stessa pensa ancora che due musei d'Arte Contemporanea siano troppi (...)
Subsonica, band musicale
Realtà e finzione sono complementari. Nella vita c'è anche la fantasia, spesso difficile da gestire o da raccontare in maniera univoca. Questa frammentazione trapela dalle nostre canzoni; non raccontiamo delle storie, ma istantanee di fatti privati o temi comuni. L'11 settembre stavamo lavorando al nostro ultimo disco, che sicuramente ha subito il contraccolpo. Le immagini si sono fatte più vivide, il lavoro risulta molto più sofferto e amaro (...)
Francesco Lauretta, artista
Se da un lato abbiamo visto e rivisto il terrore sotto forma di merce-spettacolo, dall'altro, oggi, accogliamo opere che in qualche modo avevano previsto la catastrofe. L'occidente si è scoperto non più invulnerabile e protetto da una bolla che sembrava isolarci da una realtà totalmente diversa dalla nostra. Ho apprezzato "piattaforma" di Hovellebecq e, checché ne pensino molti artisti, dopo l'11 settembre 2001, Bin Laden ha prodotto i video più intensi e interessanti della nostra storia. In luglio cantavo e dipingevo "we shall overcome". Le cose passano.
Bruna Giacobino, gallerista
Questioni di lana caprina... Per una come me, che vive completamente assorbita dai problemi reali, è persino indisponente porsi domande del genere. Non avverto alcun cortocircuito, non mescolo realtà e finzione poiché non riesco a immedesimarmi in questa con-fusione. Al limite posso concepire l'irrealtà del sogno, che si rifà comunque ad avvenimenti concreti. Vorrei che fossimo in grado, piuttosto, di risolvere i problemi, vivendo la realtà senza rifugiarci nella finzione come degli struzzi (....)
3° puntata
a cura di Ivana Mulatero, Emanuela Bartolini, Anna D'Agostino, Bruna Genovesio, Marcello Salvati
MILANO
Siamo giunti all'ultima puntata di questo sondaggio sul territorio urbano e diversi sono gli elementi emersi, ma il dato che più di tutti fa riflettere e che, come una costante, è ritornato nei pensieri degli intervistati è l'assenza o la carenza delle istituzioni nei confronti dell'arte contemporanea, in una città, come Milano, che si definisce capitale europea. È un dato sconcertante, al quale il Museo del Presente dovrà porre rimedio al più presto. L'invito a una testimonianza era stato esteso a tanti: critici, direttori di musei, personaggi di spicco della cultura, galleristi, artisti... Molti hanno deciso di non rispondere (perché non interessati, perché troppo affaccendati o semplicemente perché troppo distratti), ma a tutti coloro che lo hanno fatto rivolgo il mio sentito ringraziamento poiché sono convinta che confrontarsi sia il primo passo verso il cambiamento e con il loro pensiero (e la loro presenza) hanno dato un contribuito significativo ala mia inchiesta e hanno messo in luce molti aspetti del complesso mondo dell'arte (anche non aver risposto, in primis mi rivolgo agli artisti, è un sintomo). Un mondo forse sofferente ma non così malato come tanti vorrebbero che fosse.
Simona Bordone, gallerista
(...) L'Italia continua ad avere una dimensione artigianale, dunque sempre meno contrattualità: le major stanno altrove. Non sorprenda allora il punto di vista di Octavio Zaya (co-curatore di Documenta) che in un'intervista su Alias invitava gli artisti a non inseguire il mercato. Molti artisti, e da tempo, hanno già fatto questa scelta e molti altri la faranno. Il punto è che senza fondi la ricerca soffre e le opere non si vedono (penso per esempio ad alcuni artisti di grande qualità con i quali ho lavorato che sono oggi nell'ombra), dunque l'arte che si vede appare spesso monca. Talvolta, invece, l'intelligenza e la propensione al rischio di qualche curatore fa riemergere come un fiume carsico opere splendenti: gli indipendenti vengono cooptati, anche se questo non significa quasi mai costruirne il mercato (...)
Marco Rossi, gallerista
(...) La situazione milanese per l'arte contemporanea è buona per gli spazi privati, insufficiente per quelli pubblici. Nonostante ci sia una forte volontà da parte del Pubblico nei confronti dell'arte contemporanea, gli esiti sono ancora molto, molto lontani. L'apertura del Museo del Presente alla Bovisa, a quanto ne so, è stata ulteriormente procrastinata per problemi di bonifica ai gasometri; per il Progetto Ansaldo si parla del 2005; la Besana riapre ma con una mostra della fondazione Mazzotta... insomma, l'attività pubblica sul contemporaneo è ridotta a quella del Pac e ad alcuni spazi minori non specializzati. Per una città che ha pretese internazionali è davvero troppo poco. D'altra parte ci sono le gallerie private che lavorano bene, diversificando il mercato, un segnale positivo lo ha dato Miart che migliora ogni anno e gli stilisti, con le loro fondazioni, si danno sempre da fare; sono tutte iniziative che, se ben seguite da parte dei media, possono creare un po' di movimento nel settore. A breve termine la situazione negli spazi pubblici non può cambiare molto. L'arte contemporanea a Milano è, e continuerà a essere, retaggio degli spazi privati. Come dicevo prima mancano gli spazi pubblici, quelli che ci sono vengono adibiti all'antico e al moderno per vari motivi, non ultimo quello dell'affluenza del pubblico, che nei confronti del contemporaneo è sempre scarsa.
(...)
Patrizia Serra, curatrice e promotrice
Quando, come in questo periodo, si ha l'impressione che ci sia in giro tanta confusione, bisogna compiacersene almeno un po'. Viviamo un periodo di transizione: un periodo in cui gli artisti, rinunciando a vecchie certezze, impostano nuove poetiche ripartendo da zero. C'è tanta confusione perché si vuole ridiscutere tutto, perché quella che sembrava una posizione è diventata un limite, perché il mondo è cambiato e gli artisti lo sentono, così come sentono il bisogno di nuovi confini, di nuove scoperte, di stupirsi nel fare. A noi resta il compito di saper vedere, di considerare le loro sintesi senza porci dei limiti, di pensare che come ogni cosa l'arte cambia e saranno gli artisti a trovare nuove strade.
Per la situazione milanese niente di nuovo sotto il sole. Se si eccettua l'attività di pochi brillanti galleristi, che hanno saputo cogliere nelle diverse tendenze la tradizionale apertura di Milano verso il mondo, che ha una lunga tradizione (dal Milione al Naviglio, dalla Galleria Blu all'Ariete di Beatrice Monti, dalla galleria Apollinaire ad Arturo Schwartz, alla Galleria Milano di Carla Pellegrini, ecc.). Gran parte delle gallerie ruota intorno a un lavoro commerciale quanto classico. Siamo però grati della venuta di Lia Rumma a Milano: per esempio, quest'anno, ci ha stupito con la mostra di Kentridge (bellissima), ed anche della incostante presenza di Massimo Valsecchi, che quando è a Milano... ora cura la splendida mostra di Dresser alla Triennale, ora ci incanta con l'ambiente che Tremlett ha creato nella sua galleria. Con i pochi mezzi che hanno i nostri musei fanno dei veri miracoli (penso al P.A.C.) in particolare quest'anno ha fatto un'ottima stagione). Spero molto nell'apertura della Rotonda della Besana e nell'attività del professor Martin alla Bovisa, ma temo che la sensibilità della nostra amministrazione comunale debba aumentare verso coloro che organizzano la vita culturale della città, perché in assenza di mezzi la buona volontà non basta. Dai mercanti, invece, mi aspetto moltissimo, forse sono gli ultimi capaci di farmi sognare, e so già che questo compito lo assolveranno come sempre.
Maria Rosa Pividori, gallerista
(...) Mi trovo in mezzo a centinaia di gallerie milanesi quindi ritengo che si stia formando in questa città un centro d'alta visibilità sull'arte contemporanea, sia per l'Italia, sia per l'Europa. Lo ha dimostrato il recente MIART che ha evidenziato il tessuto formato in questi anni dall'attività e proposte delle gallerie milanesi e, non nelle diverse specificità, ma in generale, è difficile riconoscere le diverse realtà che risultano come isole abbandonate alla propria incapacità di connettersi. Pensando alle proposte di tipo culturale basate sulla qualità, sulla ricerca e sulla possibilità di dare spazio a progetti che non hanno grandi riscontri di tipo economico, le centinaia di luoghi si riducono a decine e forse le intuizioni migliori non sono nemmeno presenti in questo momento sulla scena milanese. Da sempre, in quanto nata a Milano, e ancor di più dal 1988, anno d'apertura della DIECI.DUE!, galleria che conduco, attendo un nuovo grande museo per l'arte contemporanea. Pare si sia avviato finalmente l'embrione di questo mitico luogo, a questo punto lo vorrei vedere "veramente". Lo vorrei vedere collegato con altri musei europei, con un programma non politico ma culturale, quindi con una progettazione almeno triennale. Auspico anche una costante attenzione delle istituzioni non solo verso questo contesto collaudato ed economico che è la fiera, ma anche verso un tessuto che può essere dimostrato (forse meglio) in un luogo destinato prettamente alla cultura. Non so come si prospetta il futuro per la cultura in questa città e così in questa nazione e così nel mondo, nell'attesa faccio la mia parte.
4° puntata, fine
a cura di Lorella Giudici