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Juliet Anno 21 Numero 116 febbraio 2004



Toscana contemporanea

A cura di Raffaello Becucci

Interviste a Paolo Masi, Marco Pierini, Michelangelo Consani, Paolo Emilio Antognoli



Art magazine
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Associazione culturale Prometeo di Lucca, performance di Gianni Motti, 2003

Arte Continua di San Gimignano, mostra Anish Kapoor, 2003

Palazzo delle Papesse di Siena, Museo d'Arte Contemporanea

Paolo Masi - artista, Firenze
Parlerei di una situazione decontestualizzata da un tessuto sociale e questo non può essere addebitato agli artisti ma a un contesto politico istituzionale e alla irresponsabilità di una critica locale che, o si è attardata nella consuetudine o per strabismo ha guardato a ciò che altri, altrove, avevano da tempo affermato. Nessuno ha avuto la grinta o la capacità di sostenere quello che per mancanza di supporto economico sembrava non esistere, la paura di incorrere in sanzioni dato che fuori dal coro il sistema non consente intrusioni e penalizza chi le cerca. La realtà è, ed è stata, l'inadeguatezza o l'assenza di una imprenditorialità di settore, l'incapacità da parte delle università di elaborare e divulgare, e il non credere che anche nella assoluta desertificazione potessero vivere dei cactus, i quali contengono acqua e quindi linfa vitale. I ritardi, è risaputo, vengono pagati da tutti e anche se ora ci sono tentativi di riparazione, rincorse a riconsiderare, affermazioni imprevedibili, per coloro che hanno vissuto gli ultimi cinquanta anni nella palude ideologica politica economica culturale, e questo è il caso di Firenze: difficile è pensare positivo. Ancora l'unica possibilità, il nomadismo, che non conosce territorio, non ravvisa identità perché questa gli è sempre stata negata, prima nella casa di appartenenza e quindi, irriconoscibile all'esterno. Quale cultura dunque (e quale avanguardia) ammesso che ancora si possa parlare di questa vecchia signora? Oggi, là dove si determinano le oscillazioni delle monete, con eguali modalità si vanno a determinare le oscillazioni del gusto e il suo valore e dunque, quale provincia? L'Europa non sembra avere capacità sufficientemente affermative per cui il centro decide e gli altri, tutti gli altri, non possono che adeguarsi. Il centro è Wall Strett e la borsa di New York, il resto è periferia, solo la periferia di un impero economico.

Marco Pierini - direttore Palazzo delle Papesse, Siena
Al recente incontro promosso da TRA ART - la rete regionale toscana per l'arte contemporanea - svoltosi a palazzo Fabroni il 3 dicembre 2003, hanno partecipato più di un centinaio di persone, in rappresentanza di altrettanti istituzioni, enti, associazioni e numerose realtà di differente condizione giuridica. Credo che questo sia il primo dato da tenere presente quando si pensi al (micro)sistema dell'arte contemporanea in Toscana. Il dato, cioè, di una fioritura straordinaria di eventi e iniziative, magari disuguali per qualità, impegno e rinomanza, ma comunque testimonianze eloquenti di una fertile disposizione locale nei confronti della creatività contemporanea. Favore e fermento che, com'è naturale in una terra di tali tradizioni, convivono e si confrontano quotidianamente con atteggiamenti di carattere opposto, volti alla mera conservazione dell'esistente e al romantico indulgere sulle glorie trascorse. Fattori, questi, che possono invece considerarsi i migliori alleati di chi voglia invitare gli artisti a lavorare o, semplicemente, a esporre in Toscana; la bellezza del territorio, la qualità della vita, la tradizione storico artistica sono argomenti spesso persuasivi di per sé. Ciò che resta della grande storia artigiana della regione è, inoltre, un valore aggiunto per molti artisti: dati laboratori del marmo di Carrara e Pietrasanta fino al più umile falegname, dal vetraio al ceramista, dal fabbro al tappezziere. La formazione di queste figure professionali, purtroppo sempre più rare, qualora non possa avvenire in bottega (si pensi alla disastrosa legislazione sull'apprendistato in Italia), trae spesso il primo alimento dalle scuole tecniche e, nei casi di più alta specializzazione artistica, dagli Istituti d'Arte e dalle Accademie. Luoghi dove, nei casi di una gestione più oculata, non si punta solo a creare giovani artisti, ma si tiene in debita considerazione anche la preparazione puramente tecnica, indispensabile per chi voglia poi intraprendere un percorso lavorativo di carattere più pratico e artigianale. Anche la formazione universitaria, almeno dal punto di vista della mera analisi quantitativa, fa registrare una diffusione capillare sul territorio e una notevole varietà di orientamenti e percorsi. Corsi di laurea in Storia dell'Arte e in Beni Culturali, scuole di specializzazione, dottorati e master sono presenti nelle tre università toscane e, nel caso dell'ateneo senese, anche nelle sedi distaccate di Arezzo e Grosseto. Assai raramente, però, la formazione universitaria è in grado di tenere conto di ciò che davvero accade all'interno del sistema dell'arte contemporanea. Basti pensare all'eccessiva dilatazione cronologica dei programmi di Storia dell'Arte Contemporanea (che muovono dal Neoclassicismo fino ad oggi al quale, in realtà, non si giunge mai) o alla distanza, sempre più percettibile, tra le più recenti manifestazioni artistiche e gli orientamenti di poetica trasmessi dalle cattedre. Per quanto riguarda, infine, gli artisti toscani, mi sembra di poter constatare il rifiorire di una pessima inclinazione da parte della critica e delle istituzioni a considerarli come un fenomeno a sé stante, in qualche modo identificabile e circoscritto. Credo, viceversa, che a più di due secoli dalla scomparsa delle scuole artistiche regionali, non abbia oggi alcun senso parlare di "artisti toscani". Iniziative editoriali o espositive che tendano a raccogliere gli artisti in base al luogo di nascita o di residenza non possono portare alcun vantaggio, tanto meno agli stessi artisti, il cui valore prescinde dalle coordinate geografiche e il cui eventuale accorpamento dovrebbe scaturire da affinità di intenti, poetiche e ricerche, non da una mera condivisione del territorio. Del resto, considerata la numerosissima colonia di artisti italiani e stranieri insediatasi nel corso degli ultimi decenni nella regione, è sempre più difficile arrivare a una esatta definizione del termine "toscano". In fondo, chi può dirsi a maggior diritto toscano, oggi, fra Luca Pancrazzi (Figline Valdarno 1961, vive e lavora a Milano) e Joe Tilson (Londra 1928, vive e lavora a Cortona)?

Michelangelo Consani - artista, Livorno
L'esigenza internazionale di un'arte non più chiusa e "protetta" in luoghi separati, un'arte che inizia a diffondersi fuori dai canali specializzati, che non vuole divise", che non è un codice di separazione da altri ambiti e da altri linguaggi, a fatto sì che anche nella nostra piccola regione, i rapporti tra "arte" e contemporaneo avessero una valenza maggiore. L'arte contemporanea in Toscana ha subito un'impennata incredibile negli ultimi anni, e per questo dobbiamo ringraziare oltre a gallerie e istituzioni anche chi ha lavorato nell'ombra, quasi dimenticato. Quelli che hanno costruito le fondamenta e si sono interessati soprattutto del dialogo tra arte e individuo, arte e pubblico. Mi riferisco a Luciano Pistoi, recentemente scomparso, a Delio Gennai, che da quindici anni porta avanti a Pisa la sua associazione culturale che ha promosso manifestazioni interessantissime, da rassegne di videoarte berlinese degli anni settanta, alla personale di Alighiero Boetti, alle proposte di giovani artisti quali Pantani/Surace, Bacci? Grazie a queste persone, oggi stimolati da questa ondata di contemporaneità, in Toscana sono nate nuove associazioni: la Prometeo di Lucca, la React a Livorno, e, ovviamente, Arte Continua di San Gimignano, che stanno portando avanti un lavoro a carattere non più provinciale ma internazionale.

Paolo Emilio Antognoli - critico d'arte, Lucca
Non riesco a pensare alla Toscana senza il ricorso mentale alla carta geografica; non mi sembra pensabile altrimenti, l'astrazione prevale sulla realtà. In effetti scalando l'Appennino o traversando la Maremma verso Roma non saprei decifrare, senza i cartelli stradali, il punto in cui si passa da una regione all'altra. Così non ho mai visto dalle Apuane linee di confine che dividono Toscana e Liguria. Prima dell'avvento dei media informatici e della televisione, forse, le varie comunità locali costituivano ancora un patrimonio diversificato e sorprendente. Ci si conosce attraverso il confronto e forse si poteva ancora respirare la diversità dell'altro, scoprirci trasformati dalla reciproca rivelazione; non come adesso rassicurarci di condividere la stessa omologazione, una stessa passività culturale direi teleguidata. In passato la cosiddetta "Toscana" riusciva a confrontarsi con il mondo europeo, il presente di allora, senza nostalgia; adesso è fiera di un passato che veramente non conosce, intimamente estraneo, perché privo di veri confronti, di vere aperture all'esterno, salvo rari momenti di grazia. La Toscana è un'astrazione politico-geografica in base alla quale si ramifica tuttora un sistema di potere economico, amministrativo e culturale in parte derivato dai suoi predecessori. Per questo mi piacerebbe dire che la Toscana non esiste, e riuscire a parlare al di fuori di queste forme culturali che ha imposto la storia, al di fuori delle innumerevoli dominazioni succedutesi su questi luoghi e sulla sua gente, irreversibilmente trasformati. Abolendo in un colpo non tanto la storia ma la mascheratura di una storia, senza connessioni con il presente. Piace pensare che l'arte abbia in Toscana un momento di rinascita; soprattutto piace pensarlo ai toscani, così qualcosa di bello potrà riverberarsi su di loro come nella promessa di un dono. In effetti da qualche tempo assistiamo a un fiorire di iniziative che potrebbero essere capaci di trasformare il rapporto tra arte e realtà, tra storia e presente, a patto di superare alcuni limiti di percorso: una sorta di malattia di fondo che non ancora non permette tale trasformazione. In una realtà dominata dall'economia, l'azione di quest'ultima attraversa ogni cosa, individui e istituzioni, che finiscono per collaborare, più o meno consapevolmente, alla sua funzione di annientamento di ogni valore estraneo alla logica economica. All'importanza della "nuda vita" viene quindi sostituito un mero valore economico. All'interno di questo quadro generale anche l'arte come sistema istituzionale viene attraversato dalla funzione economica che ne ridetermina ogni specifica finalità. L'artista, di conseguenza, acquista la sua definizione, il suo valore e il suo riconoscimento sociale soltanto attraversando un sistema che definisce il suo valore di mercato, come unico metro oggettivo di valutazione. Coloro che non riescono a inserirsi in questo circuito, che lo vogliono o no, dato che non possono sfuggire alla medesima valutazione vengono ugualmente investiti dallo stesso paradigma e che gli relega dal basso - quando ancora li percepisce in una gerarchia di valori. Inoltre, dato che questo mondo dell'arte è teoricamente aperto a tutti, ossia, dato che tutti hanno avuto la possibilità di dimostrate il proprio valore, la condizione marginale o di esclusione di un artista dal mercato non viene mai considerata come il portato di una certa situazione predeterminata, come il frutto di determinate scelte storiche. Non vengono pertanto considerati esclusi, o ribelli o degli eroi, ma soltanto degli incapaci. La creatività, sia collettiva sia individuale, viene dunque investita dalla funzione economica che innalza pochi eletti alle glorie del mercato e appiattisce gli altri verso il basso, in una classifica di qualità valori al di fuori dei quali non esiste alcuna valutazione. La logica della competizione e dell'innovazione come imperativi categorici instaurano un clima di conflitto perenne in un mercato imposto come scienza e gestione della scarsità di ogni risorsa economica. Teoricamente vorrei distinguere, sebbene non posso separarle, creatività da arte contemporanea. La prima nasce individualmente dalle persone e nel medesimo tempo collettivamente dalla loro reciproca relazione. L'arte è di per sé un'attività in cerca di senso. Rincresce quindi constatare come sia finita l'epoca della plastica sociale dei tempi di Beuys dato che una simile opera collettiva viene adesso surrogata dai mass media, dalle istituzioni politiche e sociali, in una sorta di controplastica del potere che modella informazioni, opinioni, gusti e abitudini fino a rideterminare la stessa realtà di una moltitudine anomala di individui divenuti gli spettatori passivi della propria esistenza. Che fare nei confronti di un potere più negativamente creativo dell'arte? La Toscana non è dunque diversa da altri posti. Come altre parti storiche d'Italia constatiamo anche sulle facciate le conseguenze di quest'epoca di restauratori intenti a cancellare la storia, il tempo funereo di ogni giorno, in una sorta di rimozione della nostra morte quotidiana, nel cupio dissolvi globale delle attuali prospettive di vita sul nostro pianeta. E poi ritorna fuori ogni tanto il vuoto ritornello del rinascimento, dei mecenati? ma il presente è l'unica prospettiva possibile, la dimensione su cui si appiattisce la storia, quella storia rievocata sterilmente per compiacere ai turisti o alla massa anonima dei telespettatori in cerca di un'identità preconfezionata, da cui saranno tuttavia esclusi per sempre, come entità aliene appiccicate a frasi vuote, perennemente alla periferia delle parole. Il turismo con la de-industrializzazione è diventata la nuova risorsa economica regionale. Da un lato le città vorrebbero proporsi come paradisi turistici, per cui si afferma di voler rivalutare il "proprio patrimonio culturale", restaurando e mandando via dal centro storico i vecchi abitanti, specie se poveri, gli extracomunitari. Ma dall'altro lato, preso atto che è la speculazione la sola cosa che realmente interessa, si distrugge il tessuto connettivo cittadino e si mercifica ogni piccolo metro cubo del territorio. Fare dei cittadini comparse, di una comunità spettatori isolati, dei turisti tacchini da spennare. La realtà artistica istituzionale determina relazioni clientelari e funzionali con il cosiddetto "pubblico" che è un insieme eterogeneo di artisti critici, collezionisti o aspiranti a essere tali. In realtà, seppure verso l'arte contemporanea si mostri col tempo un nuovo interesse e un allargamento del pubblico occasionale, poi difficilmente questo pubblico trova delle vere ragioni, dei modi attivi di partecipazione alla vita artistica nostrana. Difatti nessuno si preoccupa veramente di attirare un più vasto pubblico all'arte contemporanea se non come spettatore passivo. Perché in realtà partecipa a un gioco di cui non conosce le regole. Per questo senza riuscire a intravedere reali prospettive efficaci credo che una delle strade da percorrere potrebbe essere un lavoro dal basso, e vorrei ripetere dal basso, che contempli l'invenzione di piattaforme autonome di confronto e siti occasionali di creatività contemporanea per un'esperienza-laboratorio di strada, per una terza via, per una riattivazione di energie da decenni imprigionate nella marginalità, nell'insignificanza, energie che rischiano spesso la strumentalizzazione da parte di un certo populismo curatoriale che incombe talvolta come rischio anche su certi lavori che apprezzo e condivido. Per questo mi sembra vitale chiedersi ancora una volta quale sia il modo per la gente di riappropriarsi di una propria creatività divenuta non soltanto dominio specialistico, usurpata dai poteri tecnocratici ai quali noi tutti, purtroppo, siamo divenuti stretti collaboratori, più o meno inconsapevoli. Come possono davvero partecipare? E così gli "spettatori professionisti" (critici, curatori): come possono sottomettersi al servizio di un'attività così inutile e forse per questo liberatrice e divenire veramente strumenti conviviali?

A cura di Raffaello Becucci