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Titolo Anno 16 Numero 50 primavera/estate 2006



Amalia Del Ponte

Cristina Casero

La forma dei suoni



Rivista scientifico-culturale di arte contemporanea


3 Editoriali
di Giorgio Bonomi e Francesco Tedeschi

4 Amalia Del Ponte. La forma dei suoni
di Cristina Casero

8 Performance musicali e ideologia nel Fluxus italiano
di Giorgio Zanchetti e Giulia Poliziotti

12 Avanguardia rock e arte tra gli anni ’70 e ‘80
di Francesco Tedeschi

16 Appunti sulla sperimentazione audio/visiva contemporanea
di Elisa Del Prete

19 Arte, musica, ambienti
di Matteo Galbiati

22 Partitura musicale come oggetto artistico
di Paolo Bolpagni

33 Licia Galizia. L’origine della relazione
di Roberta Gianni

36 Autocorrelatore 1.0 per emozioni acustiche e cromatiche
di Piero Mottola

42 Ruggero Maggi: Underwood
di Lorella Giudici

43 Il percorso della luce di Federico Rizzi
di Roberta Gianni

44 Spigolature bibliografiche
di Giorgio Bonomi

47 Recensioni
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Encantar, 1986
Installazione Galleria Milano
(foto di S. Caleca)

Acqua nell’acqua + musica in gocce, 1995
Biennale di Venezia
(foto di G. Colombo)

Il musicista Dabire Gaben
durante una performance ai Cantieri Ansaldo
Milano poesia
Milano, 1990

Il percorso artistico di Amalia Del Ponte si è snodato nel corso degli anni seguendo una via caratterizzata, pur nella sua articolata complessità, da una lucida coerenza, individuabile a livello di poetica e soprattutto di intenzionalità profonde, non certo riscontrabile semplicemente sul piano dello stile espressivo o del linguaggio. Amalia del Ponte è scultrice, ma nel senso più ampio e più ricco del termine: come è già stato sottolineato, è artista che non lavora sulla forma, ma nella forma, attraverso la forma, risalendo attraverso la forma alla memoria della materia1.
Al centro della ricerca dell’artista sta infatti non tanto una indagine analitica sulla forma scultorea, quanto piuttosto un vivo interesse per la materia, indagata nella sua struttura profonda, alla ricerca di quella espressività latente ma intensa che l’artista sa far riaffiorare. La materia, infatti, attraverso approfondite ricerche formali, è analizzata in quanto fonte inesauribile di energia: è manipolata, è trasformata al punto che “materialità e immaterialità non appaiono inconciliabili né conflittuali”2. Del Ponte dimostra, sin dagli anni Sessanta, la tendenza a trascendere nelle sue opere la fisicità del materiale studiandone la relazione con il contesto spaziale, e temporale, in cui esse trovano vita, con particolare attenzione al ruolo del fruitore. Le sue sculture, come le sue installazioni, infatti, non si sono mai offerte come fatto compiuto e definitivamente connotato. Al contrario, proprio nel loro porsi in relazione con il luogo in cui sono collocate e con le persone che lo vivono, le sculture di Del Ponte mostrano la loro più profonda natura, la loro capacità di ridefinire lo spazio che le accoglie secondo inedite coordinate, stimolando in questo senso anche la partecipazione attiva dello spettatore. Come accadeva nei Tropi, di fronte ai quali Vittorio Fagone scriveva: “ […] l’articolarsi dei piani e delle superfici mi portava di continuo in uno spazio che sapevo artificiale e che risultava nei confronti dell’ambiente come un ‘negativo’ rispetto a un ‘positivo’, uno spazio interno. […] Né mi sorprese che quello spazio si venisse strutturando e organizzando secondo schemi e dinamismi”3. Del Ponte, quindi, non agisce soltanto sulla scultura, anzi attraverso quella forma agisce sullo spazio e sul tempo dell’opera, della fruizione.
Nel 1980, a New York4, l’artista presenta il suo primo importante intervento in cui appare evidente l’interesse per la musica - come sintesi di elementi di natura estetica, culturale, antropologica, psicologica - e già chiaro il registro su cui tale interesse si colloca. Si tratta di Musica da camera per sei strumenti. L’opera è composta da un oggetto, apparentemente semplice, ossia una antica custodia per liuto, in cui l’artista custodisce, sovrapposti, una serie di oggetti di complesso valore simbolico5.
Francesco Leonetti, nel presentare quell’opera, scriveva alcune interessanti osservazioni. “Il modo di oggettivazione di Amalia Del Ponte coinvolge materiali e concetti di vari campi disciplinari, con le relative fonti: analisi scientifica classica, simbologia psicanalitica, escogitazioni inventive settecentesche, tratti mistici orientali. Viene anzitutto da ciò un repertorio di aloni suggestivi o riferimenti razionali che gli oggetti producono (e sono lasciati al lettore): già nello stesso atto dell’estrarre e riporre, o scomporre e ricomporre, che è proprio di quest’opera, con un senso lieve di magia da spettacolo, col senso dichiarato di memoria e musica, con un senso aggiunto di disseccazione”6.
In queste poche parole Leonetti individua lucidamente i tratti che caratterizzano la ricerca musicale di Amalia Del Ponte, che a partire dagli ultimi anni di quel decennio, approfondisce con determinazione l’analisi del rapporto tra forma e musica, tra materia e ritmo, tra spazio e tempo: insomma, indaga con costante attenzione la forma del suono, come recita il titolo del bellissimo libro che l’artista pubblica nel 1993. Inizia in quegli anni la ricerca sui “litofoni”. Non è certo il suo l’atteggiamento di chi va cercando una trascrizione fedele e scientifica del ritmo musicale nella struttura materiale. Nelle sue opere, al contrario, l’analisi rigorosa, scientificamente fondata, è la base per una esperienza che da estetica si fa non soltanto percettiva, ma diventa viaggio nella memoria dell’umanità. C’è davvero qualcosa di magico, di alchemico, nella musica che l’artista fa scaturire dalle forme scultoree. Anche attraverso la complicità del fruitore, le pietre sonore di Amalia Del Ponte7 si offrono come uno scrigno di materia ricca di reminiscenze ancestrali, di suggestioni che ne travalicano, totalmente, non soltanto la gretta esistenza fisica, ma anche la rigida presenza storica: “l’energia di chi suona la pietra tenderà a sincronizzarsi su un ritmo immemoriale, armonioso e impersonale […]. I suoni delle pietre sonore producono lunghi racconti primordiali”8.
Queste sculture, litofoni, sono forme in marmo ben lavorate dall’artista e disposte secondo un preciso disegno nello spazio. Percosse con appositi strumenti, esse lasciano uscire la loro anima sonora che si scioglie nello spazio e nel tempo, in un’eco persistente. Sosteneva giustamente Eleonora Fiorani che in queste opere il suono rompe la pietrificazione del mondo. I litofoni, perfette strutture geometriche rettangolari, rotonde, lunate, corrispondono a perfette armonie sonore: le onde dilatano la materia nello spazio e introducono il tempo: la materia è energia in cui si originano, si sviluppano le cose e i mondi in nascoste armonie e corrispondenze. […] La ricerca delle strutture della materia si incontra con la struttura della ricerca musicale: emancipazione della materia dall’inerzia e emancipazione del suono conducono a una nuova fedeltà alla materia, che trova nel suono il suo ritmo interiore, tempo non più spazializzato9.
Il valore e il senso di questa esperienza - da sempre le opere di Del Ponte traducono la loro semplice esistenza in un evento, cui lo spettatore partecipa non solo con la mente, ma soprattutto con i sensi e con l’anima - ce li spiegano le parole dell’artista stessa: in questi anni sto scolpendo un ‘insieme’ di strumenti in pietra. La forma (luce) e il timbro (qualità) saranno le due componenti inscindibili, poiché il suono lo cerco scolpendo e modificando ciascuna pietra dell’insieme. Battendo su queste pietre si rivela la loro sostanza sonora e il ritmo profondo di chi le usa. Vorrei ottenere quella fusione di udito e vista che gli antichi cinesi definivano ‘luce degli orecchi10.
È ancora l’artista a sottolineare come la sua ricerca si inserisca lungo una via che l’umanità percorre sin dall’antichità, ricordando che dei litofoni vennero ritrovati in diverse località, in Cina, in Corea, Vietnam, Nuova Guinea, Indonesia; in Senegal e in Nigeria; in Venezuela e, in Europa, in Dordogna, a Chios e in Sardegna. Di recente, in Italia (Liguria) sono state scoperte delle sculture attribuibili al periodo musteriano che recano due fori passanti a forma di V da cui si deduce che venissero sospese per essere utilizzate con interventi percussivi11
Amalia Del Ponte ripercorre quindi una strada a ritroso, attraverso la memoria storica, fondandosi su una idea sinestetica di percezione globale, cui sembra sottendere una concezione panica del mondo, la cui energia vitale corre attraverso i diversi canali sensoriali per poter essere colta in una esperienza complessiva. La sua operazione artistica, che non assume mai i caratteri della fredda analiticità, evoca una visione della realtà a tutto tondo, che viene restituita nelle sue opere anche attraverso alcune connotazioni, specificatamente visive, che l’artista dà alle sue sculture. Basti pensare all’installazione Acqua nell’acqua del 199312. In questo caso risulta evidente come l’artista sappia sposare le suggestioni sonore, che scaturiscono dalla percussione di questi elementi di marmo di misure digradanti sapientemente accostati, con quelle visive, suscitate dai segni con cui l’artista decora le lastre: segni precisi e non casuali, che evocando l’incresparsi di una distesa marina, restituiscono l’andamento armonico delle onde sonore. Questa sorta di circolarità della sua ricerca la quale, articolata ma in fondo costantemente incentrata su alcuni presupposti fondamentali, si è sviluppata nel corso degli anni sciogliendo la fisicità della materia in uno spazio ed un tempo inediti, trova le sue ragioni in un brano scritto dalla stessa Del Ponte, a cui lasciamo la parola, per concludere. “In sanscrito, le parole Svar (luce) e svara (suono) sono sostanzialmente unite dalla loro affinità fonetiche, cioè essenziali. I veggenti vedici sapevano che la qualità e la proprietà delle cose (i generi della materia) non sono che forme e modi della stessa energia (prana) e sostenevano che il moto, atomico e molecolare, è alla base dei fenomeni fisici del suono, della luce e del calore. Per quanto riguarda l’effettiva propagazione del suono nell’aria, essi ritenevano che il nada, la base fisica del suono, fosse di natura ondulatoria e che la compressione e le rarefazione si alternassero nel processo della trasmissione, cioè come mutamento di posto di particelle. L’armonia degli svara è il principio fondamentale della musica. La musica idealizza il sensibile e mediante il tono rappresenta non già l’estensione materiale, bensì soltanto il movimento e le vibrazioni delle parti interne del corpo materiale”.13


1 A.M. Sauzeau Boetti, Nella forma, attraverso la formaAmalia Del Ponte a Casa Mantenga, catalogo della mostra, Casa Mantegna, Mantova, 12 marzo - 10 aprile 1994, Mantova, 1994, p. 26.
2 R. Daolio, catalogo della mostra, Galleria Valeria Belvedere, Milano, 1993, p. 37.
3 V. Fagone, Tropi, catalogo della mostra, Galleria Annunciata, Milano, 8 - 20 febbraio 1967.
4 La mostra si è tenuta alla galleria C Space a New York, presentata da Francesco Leonetti.
5 Ricorriamo alla descrizione di Leonetti: un recipiente in alabastro, costruito con ricavo dall’uovo del materiale originario, a becco in basso per il travaso della superficie, portante acqua come una medievale fontana (inseribile nella parte esagonale maggiore della cassetta; un ‘autoritratto’: luogo delle funzioni visive e mentali, con vie ottiche incrociate, con nucleo di materia cerebrale nei due emisferi, in argento sbalzato (come ex-voto, come contenuto finale della scatola cranica o corteccia cerebrale) (strumento ligneo); testa di vipera con riferimento al terzo occhio primordiale, con impronta lasciata dal morso velenoso, combinata o contraffatta da una chiave musicale (strumento ligneo); faccia di diavolo a colori, secondo l’iconografia tradizionale popolare della liturgia cattolica, con lingua triangolare estroflessa per irrisione (strumento ligneo); ostensorio, reggente un globo, con l’immagine di una porzione di cielo, comprendente la stella polare (in luogo dell’ostia consacrata) (strumento ligneo); figura del respiro, con due canali a meandri, dalla testa al termine della colonna vertebrale, incrociandosi cinque volte (strumento ligneo); tracciato del risonatore acustico, in forma di bocca umana, per l’emissione ipotetica di flusso d’aria, producente il suono o significante E (vocale maiuscola iscritta nel tracciato, con un simbolo di metallo) (strumento ligneo).
6 F. Leonetti, Per un’opera di Amalia Del Ponte (1980): un appunto, una descrizione, catalogo della mostra, C Space, New York, 1980; pubblicato anche in Amalia Del Ponte a Casa Mantegna, catalogo della mostra, Casa Mantegna, Mantova, 12 marzo - 10 aprile 1994.
7 Così recita il titolo della mostra tenutasi al Superstudio di Milano nel 1988, la prima occasione espositiva in cui l’artista presenta i suoi litofoni.
8 A.M. Sauzeau Boetti, Nella forma, attraverso la forma, in Amalia Del Ponte a Casa Mantenga, catalogo della mostra, Casa Mantegna, cit., p. 30.
9 E. Fiorani, Le pietre sonore di Amalia Del Ponte, in Magnamater, catalogo della mostra, Superstudio, Milano, dicembre 1988.
10 A. Del Ponte,Numeri et Voce set Modi, in Amalia, Milano, 1992.
11 A. Dal Ponte, La forma del suono, Semar, Roma, 1993, p.54.
12 L’opera fu presentata alla Galleria Valeria Belvedere di Milano nel 1993.
13 A. DAL PONTE, LA FORMA DEL SUONO, SEMAR, ROMA, 1993, PP. 11, 14.