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Urban Anno 7 Numero 56 marzo 2007



Attenti a quei due

Francesca Bonazzoli

Perino e Vele





editoriale
voci
dreams
women

febbre da actors
di Maurizio Baruffaldi / foto: Alberto Bernasconi

acqua comune
di Maurizio Marsico, Andrea Baffigo / illustrazione: Gianpaolo Pagni

attenti a quei due
di Francesca Bonazzoli


di Francesca Bonazzoli / foto: Alberto Bernasconi

football land
di Carlotta Mismetti Capua / foto: Paolo W. Tamburella

mente korpo
di Ciro Cacciola

le quattro di mab
di Daniela Faggion

Sdraiati&Sfrenati
di Cinzia Negherbon / foto: Gianni Troilo

pizzini amari
di Gianluca Costantini

la regia di un attimo
di Lorenzo Tiezzi

MODA ASFALTO
foto: Roberto Covi

fragrantSHOPPIng
di Maria Broch


GUIDA

Film un’america comica e impresentabile
Libri a caccia dell’attimo
Digital life Nel nuovo graw si gioca giorno e notte
Musica missione popstar? la musica non c’entra
TEATRO macbeth e signora
ARTE messaggi di luce
nightlife la musica innovativa è atterrata al rolling
Food Milano bistrot con vista sulla periferia
Food ROMA cena con ritratto? è tutto prenotato
Food bologna con un solo colore esplode il sapore
Food torino un super mercato per super prodotti
Food veneto libri da mangiare, piatti da leggere
Food napoli SPUNTINO VESTITO O STORE CON MERENDA?
unurban ONDA ROCK
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Perino e Vele escono dal “mitico” liceo artistico di Benevento. Nel caos di Pechino si sentono a casa, ma quando sbarcano a Napoli vogliono fare i turisti. La mescola della loro cartapesta? È come quella della Coca Cola. Segretissima

Ci vorrebbe un artista: ecco come si potrebbe raccontare Napoli. Pensavamo di rifarci a tutto il pensiero romantico tedesco, da Goethe in giù fino a Nietzsche e Beuys: girare per Napoli con un artista come guida, colui che ricostruisce il rapporto spezzato tra l’uomo e il creato, il “meister” che reinventa il mondo con la sua visione.
“La rivoluzione siamo noi”, scriveva Joseph Beuys sopra il suo autoritratto in una sua celebre opera del 1971.
E invece l’utilizzo dell’artista come guida è ormai diventato il magazine-pensiero: ogni direttore di giornale patinato che si rispetti propone al collaboratore di contattare un artista e fare un giro della città con lui. Altro che filosofia! Oggi esistono solo i personaggi. Si racconta il mondo parlando di loro, non dei fatti o delle idee.
E così anche noi abbiamo preso questa scorciatoia. Anche noi ci siamo detti: perché non chiediamo a Emiliano Perino e Luca Vele di svelarci gli enigmi di questa strana metropoli che, con enormi problemi sociali ancora da risolvere, si è buttata a investire sull’arte? A Napoli l’arte la vedi per strada, come la spazzatura. In piazza Plebiscito, nelle stazioni della metropolitana, nei nuovi musei, il Madre, il Pan, e quelli che sono sorti tutt’intorno nel territorio.
Chiamiamo l’inseparabile duo che – entrambi poco più che ventenni – si rivelò al mondo in occasione della Biennale di Venezia del 1999 e da allora espone nei luoghi di culto del contemporaneo.
Perino e Vele accettano l’intervista, sorridono, arrivano puntuali all’appuntamento, non creano nessun problema nemmeno al fotografo. Tutto il contrario dei cosiddetti “giovani artisti” loro colleghi con i quali devi prima passare attraverso una segreteria telefonica in inglese, lasciare un messaggio, richiamare due o tre volte, rassicurarli sul fotografo, insistere perché ti raccontino qualcosa della mostra che, chissà perché, deve sempre rimanere top secret come se tutto il mondo fosse in attesa di quella rivelazione.
Emiliano e Luca sono diversi. Non hanno nemmeno la barba pseudo esistenzialista e il look imbronciato da artisti emergenti impegnati, con la giacca a vento anni Settanta striminzita. Sono due ragazzi semplici, banali. Si comportano come i grandi: gli Anselm Kiefer o i Christian Boltanski, professionali, gentili, disponibili e per nulla arroganti.
Però l’intervista su Napoli non funziona.
Dopo un intero pomeriggio con loro, rimango come i cacciatori di esotici souvenir che tornano a casa e si accorgono di aver comprato sulle pittoresche bancarelle di Bamako artigianato “made in China”.
Li ascolto snocciolare una Napoli turistica da manuale, un luogo comune dopo l’altro. E io a insistere con le storie truci lette nel libro di Roberto Saviano e le periferie, le discariche e il Sistema (ormai come si fa più a chiamarla camorra? “Camorra è una parola inesistente, da sbirro. Usata dai magistrati e dai giornalisti, dagli sceneggiatori”, avverte Saviano). Ma loro niente.
E ben mi sta. Perché, giustamente, Emiliano e Luca Napoli se la vogliono godere come i milanesi o i triestini che ci vanno in vacanza: vogliono vedere Capri, mangiare la pizza doc, passeggiare sul lungo mare di via Caracciolo, andare a Posillipo, deliziarsi nel chiostro di Santa Chiara. Ecco, tutto qui: proprio come gli americani. In uno sforzo estremo di accontentare la mia ricerca di esotismo arrivano a suggerirmi Marinella e le sue cravatte!
Allora finalmente capisco che è giusto così.
Mollo l’ostinazione da turista a caccia di brividi e mi faccio docilmente portare lungo l’Appia fino a Rotondi, fra Caserta, Benevento e Avellino, nell’antico Sannio, il centro del mondo. Che bisogno c’è di andare da qui fino a Napoli per scoprirne le bruttezze? Autostrade, discariche, elettrodotti, cavalcavia e un po’ di Sistema, se ne trovano anche qui. Se parti da Rotondi, fino a Napoli ci vai giustamente per prendere la parte migliore, quella stessa che vanno a prendersi i turisti.
Altrimenti meglio rimanere a Rotondi, a due passi dalle Forche Caudine, dove i romani furono sconfitti dai Sanniti, tanto qui sono arrivati persino il mitico critico d’arte Harald Szeemann, il gallerista Alfonso Artiaco, i grandi collezionisti.
Dopo la visita allo studio dei due artisti, in un prefabbricato di quelli che erano serviti a ospitare i terremotati, che sorge accanto all’Officina Meccanica Perino, padre di Emiliano (“Così possiamo utilizzare i suoi attrezzi”), tutti i visitatori, illustri o non illustri, vengono portati a pranzo nella trattoria tenuta da mamma e papà Vele emigranti di ritorno da New York, dove Luca è nato.
A pochi chilometri, c’è il liceo artistico statale di Benevento dove Emiliano e Luca hanno studiato insieme e da cui sono usciti così tanti artisti che ora gli hanno dovuto dare un nome. Qui hanno studiato oppure vivono o sono nati nei paraggi Mimmo Paladino, Nicola De Maria, Luigi Mainolfi, Enzo Esposito, Arcangelo, tanto per fare qualche nome. “Sarà l’aria”, chissà, azzarda come spiegazione Emiliano.
Qui a Rotondi i due “artisti internazionali” sono le persone più normali del paese e nessuno si aspetta altro da loro.
All’interno dell’ex edificio per terremotati, Perino e Vele hanno costruito con le loro mani un enorme frullatore di due metri di altezza dove impastano la carta pesta, il marchio di riconoscibilità delle loro opere come per Esposito Transinternational, l’Ape car arrugginita, recuperata fra i rottami dell’Officina Meccanica Perino, che il duo ha dotato di un telone copri-carico realizzato con la cartapesta quadrettata o come le quattro Cinquecento recuperate dallo sfasciacarrozze con la capote di cartapesta piazzate nella stazione Salvator Rosa della metropolitana di Napoli, fra il Vomero e l’Archeologico. Ora tutti chiamano quella fermata “delle Cinquecento”.
Vecchie poltrone, vasche da bagno, carrelli trasportatori, tutti i relitti di prodotti che la società consumatrice, obbediente ai diktat consumistici delle multinazionali, scarta e butta con spensieratezza, andando a moltiplicare le discariche e l’inquinamento del territorio in cui vive, vengono amorevolmente “tappezzati” da Perino e Vele con la cartapesta dall’effetto trapuntato, come una coperta che avvolge e restituisce calore a oggetti abbandonati. Niente titanismi da Übermensch nietzschiano, niente lezioni sul mondo come quelle che Beuys dispensava riempiendo di scritte la lavagna. Ma solo cartapesta come imballo d’amore, protezione contro l’indifferenza, offerta con il garbo leggero dell’ironia.
Anche questa storia della cartapesta, che tanto entusiasma i collezionisti americani, europei e cinesi, è nata al liceo artistico statale di Benevento. Siccome di soldi per materiali e attrezzature ce n’erano pochi, c’era anche poco da scegliere. Gli studenti dovevano decidersi fra l’argilla, il gesso, il disegno. Oppure la cartapesta. C’era un prof che insegnava a farla, chissà mai che qualcuno volesse continuare nella tradizione delle statuine del presepe.
“Oggi la cosa bella è che al liceo tutti usano la cartapesta, ma la nostra adesso è speciale, con una formula personalizzata, come quella della Coca Cola”, racconta Luca Vele, perché sa bene, anche lui ha letto Gomorra, che la specializzazione ti fa vincere nella concorrenza spietata degli imitatori a basso costo.
Questo mese Perino e Vele apriranno uno studio anche a Pechino: faranno il viaggio contrario a quello delle merci e degli uomini a basso costo che ogni giorno vengono silenziosamente vomitati dai container nel porto di Napoli. “Pechino ci piace perché ha la stessa energia di Napoli. Per noi là è come stare a casa nostra: è una città caotica, devi stare attento che non ti freghino, devi contrattare... a proposito... a Milano si può chiedere lo sconto?”.
Ero partita con in mente “La rivoluzione siamo noi”. Ma a fine giornata mi si fissa nella testa un’altra opera di Joseph Beuys, questa realizzata nel 1984, due anni prima di morire. È una fotografia dove appare ritto in piedi, davanti allo scheletro di un animale estinto, forse un mammuth. Sopra, la scritta “Kunst = Kapital”, arte = capitale.