Urban Anno 7 Numero 60 luglio-agosto 2007
Milano? Troppo fashion. Genova? Forte e decadente. Napoli? Un laboratorio straordinario. Ma per fare street culture bisogna stare a Roma. Almeno secondo Paulo von Vacano, fondatore della casa editrice Drago
Il suo motto è sempre stato “Non fidarti di una persona sopra i trent’anni” e così Paulo Lucas von Vacano, che faceva il giornalista, arrivato a quella soglia per lui più fatale di una ghigliottina, ha ritenuto di non poter esercitare oltre un mestiere già di per sé tacciato di faziosa inaffidabilità.
Che fare, dunque? L’editore. Ma non di quelli “fighetti”, che stanno a Milano, bensì l’editore dei fenomeni di strada, di quella cultura indipendente “che rischia di essere fagocitata dal mainstream e data in pasto ai cannibali dell’immagine”, come lui stesso spiega.
Nome scelto per la casa editrice: Drago, perché evoca il simbolo grafico della S che esprime il dinamismo della spirale.
La città ideale dove insediarsi sarebbe stata Napoli o Palermo, decadenti, abbandonate dalle istituzioni overground e quindi tanto più creative underground. Ma poi la scelta di compromesso è caduta su Roma “perché è rozza, rude e truzza, senza industria della moda, menefreghista e senza inganno”. L’ossessione di von Vacano è la marginalità, condizione esistenziale che renderebbe pure e autentiche le culture di strada, scavalcando d’un balzo le mode e le leggi di mercato.
Ma a leggere sul sito dragolab.it l’autopresentazione di Drago sorgono dei dubbi. “Drago – recita il messaggio – è composta da dealer di idee, trafficanti d’informazioni, pusher di stile, camaleonti di vari mondi, che fungono da sacco amniotico della globalizzazione, che spacciano progetti editoriali, piattaforme culturali, mostre, eventi e cha cha cha”.
Più che un linguaggio di marginali, sembra un dialetto modaiolo, di quelli parlati da certi tipi che frequentano le lounge degli aeroporti internazionali e saltano da un locale giusto di Berlino a un altro di Barcellona.
“Siamo radical street”, spiega Paulo von Vacano che sembra avere anche il nome giusto per questo nomadismo chic. “Il nostro linguaggio non è quello imposto dalla Commissione europea, ma quello dei fumetti, della tv e della cultura pop globalizzata. In casa editrice siamo tutti stranieri o mezzo sangue, a cominciare da me, tedesco, ma con origini italo-spagnole. Anche i collaboratori condividono questo strano destino che ci ha portati tutti a Roma, città mezzo sangue e meticcia per eccellenza”.
Dunque il linguaggio, fortemente mescolato con l’inglese, esprimerebbe l’identità eclettica e multiculturale di Drago.
Il progetto 36 Chambers ne è forse l’illustrazione più esemplare. Si tratta di una collana di 36 libri da pubblicare in tre anni coinvolgendo i protagonisti, singoli o gruppi, della scena artistica indipendente internazionale. I primi sette titoli sono già usciti (prezzo 20 euro, ognuno stampato in edizione limitata di 2mila copie) e sono firmati da Papik Rossi, Whystyle, King Kong, Marte, Ivory Serra, CTink, Mike Giant, ovvero illustratori, tatuatori, fotografi, skater, graphic designer, writer. I loro curricula parlano di personaggi piuttosto ben inseriti anche nella produzione, ma, assicura von Vacano, “a farne un’avanguardia, diversa dalla cultura integrata al sistema, è la qualità sociale e solidale, profondamente giusta e pura, che tiene uniti in un gruppo queste persone a livello mondiale”.
Il titolo della collana è ispirato dal film Enter the 36 chambers of Shaolin, un classico delle arti marziali uscito nel 1978, che narra la storia di un abate e dei suoi discepoli i quali, per raggiungere la conoscenza, devono superare le insidie nascoste nelle 36 stanze del monastero attraverso prove di coraggio e abilità.
Un sistema mistico, dunque, fatto di prove, disciplina e fedeltà, che sembra confliggere con gli scambi veloci e lo stile liquido, senza radicamenti, della cultura di strada e delle contaminazioni. Ma Paulo von Vacano riesce a trovare una conciliazione anche in questi due sistemi contraddittori.
“Da caos nasce ordine e da ordine nasce caos”, afferma. “La strada è la scuola più interessante, crudele e brutale, ma questo non significa non avere buoni maestri: senza storia non c’è futuro e per creare nuovi mondi bisogna avere alle spalle un’esperienza e gli esempi giusti che aiutano”.
Anche la città dove si vive aiuta. Anzi è fondamentale, spiega von Vacano con il suo consueto linguaggio: “Roma è street, mentre Milano è fashion: fagocita tutto attraverso sponsor e multinazionali, come si è visto anche nella mostra Sweet art street art del Pac che ha trasformato in moda la cultura street. A Roma, invece, la situazione è esplosiva, si respira un grande entusiasmo. La città è tornata nella geografia mondiale della cultura overground, ma c’è spazio per scene culturali molto diverse: da una parte iniziative indipendenti, di microimprenditori che danno vita a piccole case editrici, concept store come il BeCool o bar come il Salotto 42, tanti fiori del male che crescono dal basso; dall’altra c’è un sindaco che promuove la cultura di sopra. Dovunque nascono festival, grandi eventi, piccole mostre. Insomma Roma spacca e ormai un invito che parte da questa città non viene rifiutato da nessuno. Il fatto è che a Roma le radici sono ancora sane e per essere internazionali bisogna prima di tutto avere un’identità locale”.
È la qualità “glocal” che invece mancherebbe a Milano. Von Vacano cala una pesantissima mannaia sul collo della ex città da bere: “Il knock out di Milano si deve alla moda. Ormai è una città allo sfascio”.
E allora avanti con l’ordalia: visto che è così schietto e sicuro, sottoponiamo al giudizio di von Vacano tutta l’Italia. “Torino: le sue radici, che sono rimaste sempre forti e sane, ora la stanno premiando. Venezia: come tedesco provo un forte amore per la morte invisibile che vi si respira; anche la Biennale è morbosamente eccitante, ma sta calando le braghe rispetto alle nuove Biennali che si organizzano nel mondo perché abbiamo un governo che non aiuta l’arte.
Bologna: è stata un laboratorio di innovazione, ma da qualche anno è allo sbando e si è chiusa in se stessa.
Genova: la sua qualità decadente, invece, ne fa una città forte e pura.
Firenze: ha portato avanti con Pitti un discorso di moda quasi milanese che non si accorda alla sua rozzezza toscana.
Napoli: laboratorio straordinario di energia avanguardista, un clash devastante di amore e odio. Dimenticata da Dio e dal governo, sta creando isole autonome di lottatori di cultura, mentre le operazioni di Achille Bonito Oliva nella metropolitana e nei nuovi musei di arte contemporanea sono come la foglia di fico, uno sputo nell’occhio del cittadino, e non riflettono la cultura globalizzata”.
Sembra dunque che l’asse della cultura, assieme a Palermo, altra città considerata vitale da von Vacano, si stia spostando verso il Sud.
“Credo di sì, ma penso soprattutto alla provincia, a città come Grosseto, Crotone, Lucca, dove c’è un incredibile consumo di droga, dove la gente si veste tutta firmata, fanatici del corpo, della palestra e della musica techno. Io credo che il nuovo David Lynch potrebbe venire dalla provincia italiana”.
E nel mondo? Che succede secondo lo street guru von Vacano?
“Noi stiamo attenti soprattutto a Lagos e Mosca. Nella città nigeriana c’è un boom dell’industria cinematografica e della musica, mentre a Mosca l’incredibile ricchezza che circola sta riprendendosi in dieci anni quello che noi abbiamo bruciato in cinque secoli. E poi ci sono Berlino e Londra, due fascinosi melting pot”.
E l’America?
“È spacciata. Negli ultimi cinque anni ha investito in cannoni invece che in arte e questo le tornerà indietro come un boomerang. Al contrario, la vecchia Europa, con il suo modo tollerante e la capacità di affrontare i problemi in maniera meno drammatica, ha ripreso la sua vivacità”.