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Urban Anno 7 Numero 64 dicembre 2007



Con gli occhi di Fabien

Francesca Bonazzoli





sommario n.64

9 Editoriale

10 Dreams

12 Women

14 Progettare? Inevitabile
di Maurizio Marsico / foto: Cesare Cicardini

19 Alle otto al Magenta
di Alberto Coretti / foto: Giovanni Hänninen

20 Lo zen e l’arte dello stencil
di Raffaella Oliva / foto: Emiliano Mancuso/Grazia Neri

24 Valentina per Spike
di Daniela Faggion / foto: Mirta Lispi/Olycom

26 Con gli occhi di Fabien
di Francesca Bonazzoli

31 MODA Nowhere
foto: Matteo Montanari

41 UrbanShop
di Maria Broch

GUIDA

44 Film La mafia russa tra le pagine del diario
47 Libri Col Messico nelle vene
48 Musica Talvolta l’occhio esige la sua parte
51 Arte Mambo per quattro
52 Teatro In scena con l’avatar
53 Nightlife La Berlino che non ti aspetti? In via watt
54 Food Milano Mediterraneo chic? Solo se total white
56 Food Roma In via Flaminia come a casa tua? Meglio
58 Food Torino Postindustriale? A tavola non è male
59 Food Veneto Sotto la veranda come in Sciò Rum
60 Food Bologna Tre pasti, tre spazi: la Regola del Byblos
61 Food Napoli Anche il tarallo si converte al design
63 Unurban Mountain graffiti
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Strano destino quello di Fabien Verschaere: i suoi primi 16 anni passati dentro e fuori dall'ospedale e ora, con le sue visioni oniriche, tra le giovani star del contemporaneo. Urban l'ha incontrato nel backstage del concerto dei Liquid Architecture a Milano, di cui a modo suo è stato protagonista

Al Rainbow, un piccolo locale sotterraneo nella periferia di Milano che più underground non si può: è là che qualche mese fa ho incontrato per la prima volta Fabien Verschaere. C'era poca gente quella sera al concerto dei Liquid Architecture, band di culto delle scene rock all'avanguardia fondato dalla vocalist Audrey Mascina e da Jèròme Sans che ora si è dato anima e corpo alla musica, ma prima è stato co-fondatore e co-direttore del Palais de Tokyo di Parigi (se non ci siete mai andati, rimediate perchè niente di simile esiste in Italia). Colonna visiva del concerto, una proiezione di disegni fantastici, a metà fra l'horror e la sua pantomima, qualcosa di diverso dal solito gusto multinazionale del contemporaneo. Qualcosa di fresco, di speciale, di assolutamente autentico. Del resto l'autore, il francese Fabien Verschaere, classe 1975, è una persona speciale. Fino ai 16 anni ha passato la vita più dentro che fuori dagli ospedali e proprio là ha sviluppato la visione della sua opera fantastica e onirica.
"Passavo il tempo leggendo molti libri e in ospedale ho cominciato prima a creare delle piccole sculture, come i personaggi dei cartoni animati, e poi a disegnare", racconta nel backstage, in un caos di fili elettrici, proiettori, bottiglie di birra e strumenti musicali. "Era un modo per sfuggire da quel luogo che sentivo come una prigione. Quando sono uscito ho visto le opere di Keith Haring e di Basquiat, che prendevano ispirazione dalla vita intorno a loro, dalla musica di strada, dai cartelloni pubblicitari. Trasformavano l'esperienza attraverso l'arte e così mi è venuta voglia di mescolare le fiabe che avevo letto con la mia vita. Ho cominciato a tenere un diario quotidiano di quello che mi accadeva: ogni giorno facevo dai 20 ai 30 disegni e dopo circa tre anni avevo un intero alfabeto di personaggi e di oggetti con cui ho creato delle storie. Ero affascinato anche da Giorgio Morandi: lui ha dipinto per tutta la vita le bottiglie di casa sua, io potevo farlo con i flaconi e le scatole delle mie medicine. Poi ho scoperto Joseph Beuys: lo sentivo affine perchè nel suo lavoro mescolava la storia della sua guarigione (dopo essere precipitato da un aereo durante la Seconda guerra mondiale, n.d.r.) con la mitologia. Alla fine mi sembrava di avere due strade davanti a me: o dipingere le stesse cose tutta la vita o dipingere quello che mi succedeva. Ho scelto la seconda e ho cercato di trasformare la mia realtà in una metafora. Le visioni mi venivano anche dalle medicine che mi tenevano in uno stato di stordimento e di sogno, come sotto l'effetto delle droghe".
Droghe che ovviamente lui non tocca: troppo nocive per la sua salute e troppo prossime alle medicine che ha dovuto ingurgitare per esserne sedotto.
Strano tipo Fabien: la sua percezione di sè è disarmante, priva di qualsiasi retorica. Prima di tutto non si sente affatto un artista (gli piacerebbe disegnare fumetti come Miyazaki), ma solo una persona che vive e racconta le sue storie. Lo deve fare, spiega, perchè se smettesse morirebbe. Non crede nella genialità, ma ritiene che ci siano persone che pongono buone domande nel momento giusto. E quanto all'arte, pensa che si tratti di una questione relativa al corpo: distruggerlo per ricostruirlo meglio.
Eppure già nel 2005 la rivista Art Review lo segnalava fra i cento "future greats". Ha esposto i suoi lavori al Museo Pecci di Prato, alla Biennale di Lione, di Praga e di Montreal, al Palais de Tokyo, al Guangdong Museum of Art, al Centre de Crèation Contemporaine di Tours, solo per citare alcune tappe, e recentemente al Musèe d'Art Contemporain de Lyon, con la personale Seven Days Hotel. A Parigi, la galleria Michel Rein lo rappresenta assieme a star del contemporaneo come Daniel Buren, Jimmie Durham, Orlan, Chen Zhen. In Italia il suo lavoro è gestito dalla galleria milanese Galica, fra le più attive nell'avanguardia. Eppure l'atteggiamento di Fabien rimane semplice, candido. Se, come diceva lo scrittore inglese G. K. Chesterton, "il temperamento artistico è una malattia che affligge i dilettanti", almeno da questa Verschaere è totalmente immune.
Quando era in ospedale, dove aveva un insegnante privato perchè non riusciva a frequentare la scuola regolarmente, si interessava soprattutto di sport e del Nazismo.
"Avevo preso coscienza che il mio corpo era diverso e mi intrigava capire perchè la gente non riusciva ad accettare le differenze. Ero affascinato dal sistema nazista e dall'ideologia di Nietzsche. In ospedale avevo trovato un libro di Carlos Castaneda e mi ero interessato allo sciamanesimo, al totemismo con il suo mix di corpi umani e animali".
La saggezza non gli manca. Se gli chiedi che cos'è la malattia, ti risponde citando una canzone di Jacques Brel che racconta come sia bella la giovinezza perchè è inconsapevole, senza problemi. Lui, al contrario, si ritiene fortunato perchè avendo avuto un'infanzia e una giovinezza piene di problemi, ora sa come affrontarli.

"quando lavoro devo stare solo con la mia musica, così concentrato da arrivare quasi a uno stato ipnotico"

"Penso di essere una persona forte. Non potrebbe essere altrimenti perchè fare arte significa andare a pescare le cose in fondo al cuore e poi rimanere nudo davanti al pubblico. Se non vuoi mentire alla gente devi essere sicuro di quello che dici. Anzi, meglio: devi avere delle domande veramente importanti perchè se non sono tali, sono inutili. In realtà tutti gli artisti che conosco sono forti. Sono allo stesso tempo anche fragili, ma si tratta più di sensibilità che di debolezza".
A una persona che ha fatto dell'esperienza in ospedale il centro della propria opera, la solitudine dovrebbe far paura. E invece no. Fabien ama stare da solo e la tristezza è lo stato d'animo che gli serve per creare.
"Quando lavoro devo stare solo con la mia musica, così concentrato da arrivare quasi a uno stato ipnotico. Ho bisogno di una musica molto molto triste, quella degli anni Cinquanta, Lào Ferrè, Jacques Brel, ma anche la musica degli U2, perchè tutte le immagini che creo vengono dai momenti tristi. Quelli felici li trattengo per me".
Infine i sogni. Voi non vorreste per il vostro futuro successo, riconoscimenti, mostre, soldi, fama, riscatto dalla solitudine di 16 anni di ospedale?
Fabien no. Lui è sorprendente anche nei desideri. Se ne frega del mondo dell'arte di Parigi, delle feste, dei concerti, dei locali, delle inaugurazioni, dei bar.
"A Parigi anche se conosci tanta gente puoi essere solo", risponde. "Se avessi tanti soldi comprerei una casa di fronte al mare a Biarritz, o in Bretagna. Là si sta in pace. Quanto ai sogni, ecco, l'unica cosa che vorrei veramente è fare qualcosa per i bambini che vivono in ospedale".
La solita retorica buonista? Tutt'altro. Fabien ha già realizzato una grande parete colorata all'Ospedale Sant'Andrea di Roma, proprio nella sezione dedicata ai bambini. In quello spazio fra la vita e la morte ha dipinto una fiaba, ma senza un inizio e una fine precisa. Ci sono oggetti e personaggi diversi in modo che i bambini possano usarli per scrivere i loro racconti personali.
E se questa vi sembra una storia troppo edificante, molto poco trasgressiva per un artista al top del contemporaneo, incontrato in un locale underground di Milano con uno dei gruppi rock più all'avanguardia, allora riguardate l'arte di Fabien. Difficile credere che dietro non ci sia sesso, droga e vita spericolata. Spiazzati, eh?