Urban Anno 8 Numero 65 gennaio-febbraio 2008
Intervista
Nella sua arte abbina riferimenti cinematografici alti al trash televisivo con invidiabile leggerezza.
Vive senza fissa dimora tra Milano e Los Angeles. Dove riesce a coinvolgere nei suoi video le attrici più bizzose di Hollywood con escamotage al limite del banale. Ma una vera pazzia la farebbe solo per...
Lo sai che la tua gentilezza è quasi imbarazzante? Sei così disponibile perché hai raggiunto il successo?
“Innanzi tutto grazie per dirmi che sono gentile. Comunque anche io a volte avrei voglia di mandare al diavolo le persone, solo che lo ritengo anacronistico. C’è stato un periodo della storia dell’arte in cui gli artisti erano molto arrabbiati e scontrosi, però continuare a esserlo oggi che gravitano dentro un sistema considerato privilegiato, addirittura glamorous, mi sembra fuori luogo. C’è anche un altro motivo: io lavoro con dei divi che lo sono molto più di me. Dunque non posso fare la diva, per esempio, con Cate Blanchett, la quale peraltro è di una gentilezza disarmante. All’interno della mia dinamica professionale io sono il maggiordomo, non il padrone di casa, quindi è giusto così, che io sia più gentile degli altri”.
L’appuntamento con Francesco Vezzoli, 36 anni, nato a Brescia, star dell’art system internazionale, è stato tutto uno scambio di telefonate gentili, disponibilità immediata, sms di cortesia, inviti fatti recapitare immediatamente per il party che il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung gli ha organizzato anche a Milano per festeggiare la leggendaria Edition 46, edizione artistica del magazine, affidata quest’anno proprio a lui. Quando ci incontriamo in un bar di Porta Venezia, appena mi vede mi apostrofa con un “Scusami, sono in ritardo?”, pur essendo puntualissimo. Mi porta il catalogo della sua mostra alla Biennale di Venezia e alla fine paga anche il conto. In anni e anni di marciapiede giornalistico non mi era mai successo di venire trattata come una regina. David LaChapelle, tanto per non fare nomi, dopo l’intervista in uno dei bar più modaioli e antipatici di Milano, mi ha mollato un conto da 82 euro senza nemmeno dire grazie. Ora capisco perché Sharon Stone, Catherine Deneuve, Bianca Jagger, Helen Mirren, Milla Jovovich, Courtney Love, Valentina Cortese, Veruschka, Sonia Braga, Marianne Faithfull, Antonella Lualdi e tante altre dive hanno accettato di recitare nei suoi video, e anche gratis.
Come le convinci?
Ci vogliono molte lettere e mazzi di fiori. Passo del gran tempo dai fioristi per fare la scelta giusta: sto chiedendo qualcosa e quindi devo essere grandioso ma non aggressivo.
Ma all’inizio non ti stupivi che accettassero?
Mi stupisco tuttora. Persino con Cate Blanchett, che è stata la donna più disponibile e gentile, ma che è comunque la diva più richiesta del momento: finché non arrivano vivo in una specie di terrore che non si presentino all’appuntamento.
Scherzo che ti ha invece giocato un uomo: Quentin Tarantino.
Sì, lui è sparito. Ci ero rimasto molto male, ma ora che ho vissuto a Hollywood per un po’ ho capito che lui spesso è un “no-show”, uno che non arriva.
La carriera quasi folgorante di Vezzoli è decollata nel 1997 con un video che citava Luchino Visconti, ma aveva per protagonista Iva Zanicchi: un mix di cultura cinematografica alta e di trash televisivo che diventerà il leit-motiv dei suoi lavori, assieme al ricamo a piccolo punto, passatempo di molte star del cinema. Poi l’incontro con Miuccia Prada che diventa la sua mecenate e gli produce un’opera complessa come Trilogia della morte con il video Comizi di non amore ispirato a Pier Paolo Pasolini alla Fondazione Prada nel 2004.
Sempre più richiesto, dopo il Guggenheim di New York, in questi giorni Vezzoli viene celebrato anche in Germania, dove la Pinakothek der Moderne di Monaco gli dedica una mostra, aperta fino al 17 febbraio.
Mi hanno chiesto di esporre il video Democrazy (con Sharon Stone e Bernard-Henri Lévy nelle vesti di candidati alla presidenza USA, n.d.r.), ma visto il contesto in cui veniva collocato, una pinacoteca, a me è venuto in mente di creare una specie di lungo corridoio di accesso al video che sembrasse una galleria dei ritratti della Casa Bianca, con una serie di immagini a piccolo punto delle ultime sei first lady abbracciate ai loro animali domestici come fossero i loro mariti. In America anche il povero animale domestico viene usato come arma di seduzione verso l’elettorato.
Da dove viene questa ossessione per il ricamo a piccolo punto?
Tutto è partito dalla mia passione per Gruppo di famiglia in un interno di Visconti. Attraverso il film sono andato a ritroso fino alla figura di Mario Praz scoprendo che era appassionato di piccolo punto. E via via è venuta fuori una tradizione di ricamatori, uomini e donne, legata al cinema. È un linguaggio domestico e piccolo borghese che mi sembrava perfetto come strumento di provocazione. L’ho cominciato a usare per ricamare i biglietti da visita delle prostitute o il ritratto di un porno attore. L’idea era uno slittamento del significato, come dire: uso un linguaggio intimo e femminile per raccontare immaginari che sono all’opposto di questo.
Perché ricami lacrime di lurex sui volti delle star?
Perché il piccolo punto è un linguaggio di solitudine e isolamento. C’è la pittura, che è un gesto grandioso; poi c’è l’acquerello, che è la miniatura della pittura e infine c’è il ricamo, che ti porta a stare in una posizione quasi fetale di raccoglimento. Mi sembra che il ricamo sia la pittura della solitudine.
Chi ti ricama le opere?
Io personalmente. Trovo che abbiano un significato proprio perché le faccio io: sono come le pagine di un diario
Non ci posso credere! Gli artisti oggi si fanno un vanto di non realizzare di persona le loro opere delegandole a tecnici specialisti.
No, io non ho nessun assistente. Ho solo Luca, amico dai banchi del liceo. È come se fosse mio fratello e lavoriamo insieme da sempre. A seconda dell’appuntamento che abbiamo lui è il mio producer, il mio assistente, il mio parrucchiere. Cambia l’identità e al telefono anche le voci: è bravissimo e così gli altri pensano che dispongo di un grande staff.
Si può dire che le donne abbiano fatto il tuo successo?
È vero. Diciamo che in linea di massima si riceve quello che si dà: io ho amato queste icone e ne sono stato riamato e ricompensato.
È più facile convincere a partecipare le donne o gli uomini?
Senza dubbio le donne. Gli uomini hanno più paura perché nei miei progetti gli attori interpretano sé stessi. Gli si chiede di abbandonare una maschera ed evidentemente fanno fatica a mettere in gioco la propria vulnerabilità.
La diva che vorresti e non hai ancora raggiunto?
Liz Taylor. Lei è l’icona assoluta.
Che bambino eri?
Normale. Anzi, no, mica tanto, perché la mia infanzia è stata circondata da donne. Al mare andavo accompagnato da due nonne e quattro zie. Ero figlio unico e anche nipote unico: ero l’oggetto di tutte le attenzioni. Sono stato amatissimo e abituato a essere al centro delle attenzioni. Forse per questo nella vita ho dovuto cercare qualcosa che mi consentisse di continuare a esserlo.
Sei diventato ricco?
No, ma non mi interessa. L’unica cosa che mi importa è continuare a lavorare: mi diverte molto e che nessuno mi rubi il giocattolo!.
Che cosa fai la sera?
Sto a casa. Sono molto solo. Ma va bene così: dalla solitudine ti vengono anche degli stimoli. Se fossi sempre contento, seduto nei locali a rigirare fra le dita l’ombrellino del cocktail non credo che avrei idee. Nel mondo di oggi se non vuoi essere solo puoi non esserlo, altrimenti scegli tu la misura in cui ti vuoi mescolare col mondo.
A proposito, dove vivi?
Non ho nessuna casa. Vivo in albergo o da amici, fra Milano, il mio campo base, e Los Angeles, quando lavoro là per girare i video. Di fisso ho un computer e Luca: lui ha una casa e tutto quello che serve.
Nella nostra società abbiamo tempo per l’amore?
Assolutamente sì, soprattutto se non lo confondiamo col sesso. Una persona che fa un lavoro di natura creativa deve provare amore, un sentimento di natura generosa, di trasporto.
Che cosa elimineresti dal mondo?
Dire la guerra o cose simili è troppo semplice. Preferisco eliminare la repressione sessuale: mi sembra proprio una valenza inutile dell’esistenza. Che esistano le guerre, le lotte per il potere, quello è dentro la storia, ma la repressione sessuale mi sembra proprio una cosa di cui potremmo fare a meno.
Si può migliorare il mondo?
No. Si può desiderarlo, ma la storia ci ha dimostrato che niente cambia. Ci sono istinti umani che si ripetono.
Estetica o etica?
Vorrei dire etica, ma temo che oggi sia vincente l’estetica.
Europa o America?
Europa perché l’America è generosa ma a volte è un po’ fasulla.
Libro preferito?
Il dizionario dei film di Mereghetti.
Film preferito?
Riguardo volentieri l’ultimo film di Billy Wilder: Fedora.
Che cosa pensi del sistema dell’arte?
Che è diventato un vero star system, come quello di Hollywood. È cresciuto finanziariamente ed è diventato più ricco, più stupido e superficiale. Però è anche un sistema che permette al mio lavoro di esistere e se mi dà modo di produrre i miei sogni io sono felice. Se devo fare un patto faustiano scegliendo fra il lavoro o i soldi, io preferisco giocare e non accumulare.
Per chi o che cosa faresti una pazzia?
Per del buon sesso. È troppo tempo che non ne faccio!.