Juliet Anno 28 Numero 136 febbraio-marzo 2008
Un calendario d’autore ricorda la presenza di Luigi Veronesi nel panorama dell’arte visuale. La pregevole edizione di 250 esemplari, voluta dal presidente della D’Auria Printing Group e curata da Luciano Marucci in collaborazione con il Comitato Veronesi di Milano, ancora una volta è concepita come esposizione monografica. Non a caso le immagini, scelte tra le più rappresentative, sono supportate dal testo critico del curatore, da stralci di sue interviste all’artista, dalla biografia ragionata e da una sequenza di foto inedite che visualizza il rapporto del pittore con l’opera. Il tutto per evidenziare il rigore della sua costante ricerca e la sperimentazione in più ambiti linguistici con esiti di qualità. Dunque, un mezzo rituale che diviene veicolo di autentica operazione culturale, alternativa ad altre proposte stereotipate ed effimere.
“La duplice ricorrenza dei cento anni dalla nascita e dei dieci dalla morte di Luigi Veronesi ci ha indotto a sospendere il programma che prevede la realizzazione di calendari con appositi progetti di autorevoli operatori visuali. Con l’edizione 2008 abbiamo voluto rendere un doveroso omaggio al Maestro, allestendo su questi fogli un’antologica, a dimensione privata, per rivisitare, sia pure per grandi linee, la sua esemplare figura di artista. Tra l’altro, chi scrive ha avuto con lui un sincero rapporto di lavoro e di amicizia lungo oltre trent’anni che gli ha consentito di apprezzare anche le sue virtù umane.
Fin dal primo momento, colpivano la schiettezza e l’umiltà, l’onestà intellettuale e la socialità, la generosità e l’ottimismo. Poi la serietà professionale; il piacere di dedicarsi alle tecniche incisorie e alla pittura senza delegare alcuna fase; la fermezza delle idee; lo spirito di ricerca che lo portava a inventare modalità esecutive e a sconfinare in generi diversi (grafica pubblicitaria, fotografia, cinema, teatro, corrispondenza musica-pittura...).
Da ogni esperienza progressiva - praticata con sapienza manuale, coerenza stilistica e ideologica - traspariva l’irrinunciabile amore per lo specifico pittorico.
Veronesi è entrato nella storia dell’arte come uno dei più motivati e rigorosi protagonisti di quell’Astrattismo razionale europeo che in Italia ha stimolato il processo evolutivo delle arti visive quando trionfava il provincialismo novecentista, più o meno autarchico e retorico. Ha liberato il quadro dalla rappresentazione e perfino dall’evocazione del reale. E non ha avuto mai ripensamenti, anzi ha lottato contro le incomprensioni per difendere con orgoglio il suo credo.
L’opera nasce da doti naturali, ma soprattutto da appassionati studi per la conoscenza dei fenomeni visivi e dalla sintesi tra ragione e immaginario. Essendo fondata sulla logica matematica, obbedisce a regole pitagoriche per governare la libertà espressiva e si sviluppa per cicli, dall’osmosi tra teoria e prassi, dall’armonica interazione di linee, colori primari, forme geometriche elementari in movimento nello spazio virtuale. Si dà tutta alla visione con chiarezza comunicativa; mentre l’essenzialità, l’eleganza, la purezza e l’equilibrata costruzione - che rimandano alla classicità - favoriscono la percezione lirica del soggetto, la visualizzazione del pensiero e il coinvolgimento emotivo dell’osservatore.
Veronesi, come Licini - suo compagno di strada della prima ora - prova che “la geometria, saldata alla fantasia, può diventare poesia”. Ma non si accontenta di creare godimento estetico con i lavori bidimensionali: aspira, in più sensi, a proporre all’esterno il proprio modello, facendo uscire la pittura dalla cornice che la delimita.
Determinanti per la sua formazione e gli esiti successivi erano stati gli insegnamenti del Bauhaus, che mirava all’arte totale, ma anche quelli dei costruttivisti russi.
Nell’ultimo periodo della sua lunga e laboriosa esistenza aveva concentrato l’attenzione solo sul medium tradizionale per il bisogno di scoprirne altri segreti, sempre affascinato dall’ordine dell’universo geometrico da lui abitato e dall’alchemica luminosità dei colori. Avvalendosi dell’intelligenza creativa, dell’abilità artigianale di antica memoria e di procedimenti inediti, riusciva a fissare sulla tela la nitidezza della luce della ragione, priva di valenza simbolica. Indubbiamente i forti mutamenti linguistici e concettuali avvenuti negli ultimi decenni nelle arti figurative ci fanno vedere l’Astrattismo come pionieristico movimento estetico confinato entro la prima metà del secolo scorso. Eppure la produzione di Veronesi ha delle tangenze con alcune tendenze aniconiche del contemporaneo; è fondata sul metodo progettuale, sulla concezione dinamica e sperimentale dell’arte, su un atteggiamento decisamente antiaccademico e antiromantico; si espande in altre discipline. Tutti requisiti essenziali per rapportarsi con la realtà in divenire e, quindi, essere autenticamente moderni. Infine, andrebbe considerata la nobile lezione etico-morale della sua umanistica e ideale visione del mondo.
Allora Luigi Veronesi, dentro e fuori del mito, per certi versi è tuttora presente e la scelta del suo nome per questa edizione non è anacronistica. Anche nel suo caso, più che l’appartenenza a una generazione, contano la genialità, i valori durevoli e le qualità poetiche che assicurano alle composizioni freschezza ed energia per resistere alla caducità del tempo scandito dai giorni di un calendario. [...]”
___________________
Stralci da interviste, edite e inedite,di Luciano Marucci a Luigi Veronesi, 1985-1995
Luciano Marucci: L’Astrattismo del gruppo lombardo che negli anni Trenta operava a Milano intorno alla Galleria del Milione, visto con gli occhi di oggi, ti appare un movimento rivoluzionario per l’arte italiana nel periodo in cui imperava il Novecento o divulgativo delle esperienze analoghe che si andavano affermando a livello europeo?
Luigi Veronesi: Serviva come shock nel contesto dell’arte italiana che in quel momento era costretta a seguire un falso classicismo. Noi cercavamo di rivoluzionare il pensiero [...]. Non volevamo sottolineare ciò che avveniva in altre parti d’Europa, ma operare a fianco.
...È risultato un momento importante per l’accelerazione del processo evolutivo della cultura artistica italiana...
Abbiamo lavorato in questo senso anche se al di fuori non ci seguiva nessuno; eravamo completamente ignorati, anzi li avevamo tutti contro. Agivamo nella maniera che ritenevamo giusta. Nell’immediato dopoguerra le cose sono maturate, anche indipendentemente dalla nostra capacità.
Tu eri contrario allo spiritualismo condiviso da Osvaldo Licini; hai sempre operato per un ‘ordine nuovo’ seguendo la ragione e scartando anche la sola evocazione della realtà naturale, mentre Licini aveva tendenze visionarie che più tardi lo avrebbero portato sulle vie del surreale. Eravate su posizioni molto diverse o percorrevate strade parallele?
[...] Erano strade abbastanza divergenti, in quanto in Licini c’era un sottofondo romantico dal quale ero lontano. Io seguivo soltanto la ragion pura; ero e sono ancora razionale e pitagorico; venivo dai costruttivisti russi più ancora che da quelli olandesi.
L’armonia delle costruzioni astratte può eguagliare quella della Natura?
Gli uomini, studiando le regole dell’armonia, hanno prima indagato quelle della natura. Le leggi della pittura, della musica, della poesia e della natura obbediscono alla sola regola dell’armonia che, per certi versi, è sempre astratta.
Nell’Arte Astratta c’è l’invenzione di forme nuove, il progetto di un ordine futuro?
Per quanto mi riguarda, l’invenzione sta nei rapporti tra le forme che esistono. Io lavoro con forme geometriche elementari; studio e invento dei rapporti nuovi tra loro. Penso che l’Arte Astratta sia uno dei modi per arrivare a un ordine futuro.
Dopo anni che usi le limitate forme primarie della geometria, non rischi la ripetitività?
Non credo che Mozart si ripetesse in tutte le musiche che ha scritto adoperando soltanto sette note... È il mio modo di ragionare e di lavorare, unito all’emozione sempre nuova, che mi evita la ripetizione.
Praticare la manualità è ancora un esercizio indispensabile?
Indispensabile! La mano deve essere sempre obbediente a quanto esce dai miei occhi e dal mio cervello.
Nei dipinti c’è anche una ricerca di musicalità. Da cosa è espressa?
Considero il lavoro del pittore uguale a quello del musicista che dispone di pochi elementi: le note, le pause, i tempi, i ritmi e nient’altro. Il pittore ha i colori, le forme e i ritmi. Infatti, negli studi che ho fatto e che continuo a fare c’è un enorme parallelismo tra la teoria armonicomusicale e la teoria armonica dei colori.
Quali motivazioni ti spingevano fin dall’inizio a sconfinare in altri territori?
Il desiderio di ricercare, di comunicare in un modo diverso anche con la pittura.
Lo stimolo ti veniva dalla necessità di rinnovare in senso più ampio le arti visive e di estendere il metodo sperimentale e il concetto di arte ad altri linguaggi...
Certo, era proprio quello il bisogno, altrimenti dormiva tutto.
Secondo te, dopo le esperienze condotte nel Rinascimento, nel Bauhaus e in epoca contemporanea, è utopistico pensare ancora di poter fare un’arte totale?
Credo di no, ci si arriverà. [...] Cambierà il modo di usare i linguaggi e lo specifico pittorico sarà allargato ad altri linguaggi.
Ritieni che ci debba essere un rapporto più stretto tra creazione e funzione?
La funzione, intesa come finalizzazione dell’opera, è quella che mi dà la linea di condotta.
Consideri l’Arte una cosa ben distinta dalla Vita?
No, assolutamente. L’arte è vita; è una emanazione della vita. Per me l’arte dei nostri giorni non può essere che quella di noi astrattisti, perché viviamo in un mondo diverso rispetto a cinquant’anni fa che, a sua volta, è diverso da quello che sarà fra cinquant’anni.
Il fine della tua attività artistica.
Dare gioia a me stesso e alla gente.
Una riflessione sulla vita a 87 anni.
Se la si accetta con il dovuto ottimismo, è una cosa meravigliosa. Sono contento di aver vissuto i miei anni e vorrei viverne altrettanti per vedere come riuscirei ad andare avanti. La vita è interessante e bisogna affrontarla, giorno dopo giorno, da uomini, non da pecore.
Cosa vorresti avere da essa?
Quello che ho avuto.
Ti consideri un uomo felice?
Come sai, io sono ottimista fino in fondo, perciò non posso dire di essere infelice. La felicità totale è una cosa irraggiungibile, però io sono soddisfatto di come è andata la mia vita. Dovessi rinascere, la rifarei tale e quale.