DROME magazine Anno 4 Numero 12 gennaio-marzo 2008
Ermeneutica individuale di uno dei piu’ importanti artisti cinesi contemporanei alla ricerca di una libertà mai concessa
Gli ultimi vent’anni di storia dell’arte mondiale non hanno documentato solamente la nascita dell’arte contemporanea nella Cina del boom, ma anche i numerosi tentativi da parte delle autorità di reprimerla.
Dapprima promossa e spronata dalle autorità in quanto prodotto di un processo di liberalizzazione necessario al Paese per reinserirsi nell’equilibrio mondiale e per recuperare credito dopo il “deserto culturale” rappresentato dalla Rivoluzione Culturale (1966-1976), l’arte contemporanea in Cina si è presto trovata in balìa degli umori e delle politiche altalenanti delle autorità.
Dai lavori politicamente impegnati del gruppo “Stelle,” all’“esplosione di informazioni” da cui è scaturito il pluralismo artistico del movimento “New Wave ’85,” fino ad arrivare al nichilismo irriverente di molti lavori degli anni Novanta, l’esperienza artistica è sempre scaturita dalla necessità degli artisti di affermare la propria libertà individuale, politica, sociale, ideologica o estetica in contrapposizione all’autocrazia politico-artistica esercitata dallo Stato cinese. Il senso di libertà è stato inteso come diritto di criticare, dubitare, schernire o, più semplicemente, sperimentare senza remore e senza sottomettere l’esperienza artistica a nessuna costrizione etico-morale. Ma a tanta voglia di emancipazione si è sempre contrapposto un approccio rigoroso e revisionista delle autorità, abituate più a politiche di facciata che a politiche dal contenuto innovativo.
Fenomeni quali mostre chiuse prima ancora di esere inaugurate, “l’arte da appartamento” o “da ambasciata” sono solamente alcuni degli aspetti che hanno testimoniato quanto fino a poco tempo fa la carriera artistica in Cina fosse una vera e propria corsa ad ostacoli. Che molto sia cambiato nell’arco di un ventennio in cui la Cina è diventata fenomeno globale è fuori discussione. Ma quanti e quali territori sia di fatto “concesso” esplorare agli artisti resta ancora da discutere.
HUANG RUI: QUANDO LA LIBERTÀ È UN DOVERE
Attivo sin dalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso nel gruppo “Stelle”, Huang Rui (Pechino, 1952) è un artista dai talenti molteplici che si è sempre distinto per la natura restìa al compromesso nonché per la consapevolezza che libertà intellettuale è condizione primaria dell’essere artista.
Indisposto a tramutarsi in un giullare del potere e in un trasformista dell’ideologia pur di ottenere facilitazioni personali, Huang Rui ha sempre agito da artista partecipe e consapevole del proprio tempo creando un’arte volutamente politica e atta a confrontarsi con quanto di più inaccettabile in Cina: sfrondare gli allori del potere, gettare un’ombra di ironia e dubbio su ciò che è considerata la norma. Sono questi i cardini dell’iter dell’artista che, proprio per la sua inusuale sfrontatezza nei confronti delle autorità e dello status quo, si è scontrato parecchie volte con le autorità stesse e il loro approccio reazionario.
La partecipazione di Huang Rui al gruppo “Stelle,” così denominato dall’artista stesso, segna il suo debutto nell’avanguardia cinese.
Nel 1979 con una mostra nel giardino del Museo Nazionale di Pechino, Huang Rui e altri artisti scuotono il mondo artistico della capitale con il loro stile diretto, privo di leziosità e non soggetto ad alcun tipo di sublimazione, prendendo violentemente e in maniera irreversibile le distanze dall’arte realista socialista degli anni precedenti. Essere avanguardisti significa per gli artisti del gruppo anche prendere parte alle attività correlate al Muro della Democrazia, con la conseguente esclusione dal circuito artistico ufficiale cinese, nonché l’esilio di molti di loro.
È da questo momento, nonché dall’esilio in Giappone, che i lavori di Huang Rui sono percorsi da una vena critica indirizzata verso il controllo esercitato sul discorso artistico da parte del sistema autocratico cinese. Tuttavia, pur essendo radicati nella storia cinese, e pur attingendo a un’esperienza totalizzante come quella comunista, i lavori dell’artista trasformano l’ortodossia insita in lavori altamente politici in un’espressione individuale dell’artista grazie a gesti ironici, paradossali, dissacranti, ma anche frutto di un’ermeneutica personale.
È questo il caso della minimalista ma eretica serie di dipinti Mao’s Selected Works. Alla raccolta di 5 volumi con le opere scelte di Mao si aggiunge un sesto volume fittizio e firmato da Huang Rui stesso. Decostruire il discorso storico, sia contemporaneo sia antico, è parte della performance New Spirit of Chinese History, in cui tomi su tomi dell’intera storia cinese vengono affogati in litri di grappa cinese. Con questo gesto l’artista si appropria di quella che è anche la sua storia, la manipola, e ne ottienne una storia di “seconda mano”, non veritiera, ma piuttosto un amalgama di fatti combinati in maniera arbitraria con un gesto altamente individuale. Ma è Chairman Mao 10,000 renminbi che ha suscitato le ire della censura cinese: lo storico slogan “Lunga Vita al Presidente Mao” è ripresentato dall’artista e scritto su banconote cinesi di diverso taglio sulle quali figura il ritratto di Mao.
Con questo gesto l’artista sottolinea la continuità tra l’imperativo politico del passato e l’imperativo economico presente. Ma proprio il suo essere scettico nei riguardi di entrambi dà vita a un gesto di disapprovazione che è stato volutamente occultato dalle autorità durante la personale di Huang Rui tenutasi a Pechino nell’Aprile 2006.
L’ultimo degli scontri in ordine temporale ha portato l’artista a dover abbandonare il proprio studio all’interno del centro artistico controculturale più noto di Pechino, la Factory 798, dopo avere contribuito a far risparmiare l’ex fabbrica del complesso industriale dello Jiuxianqiao - dove vennero condotti i primi esperimenti per la produzione della bomba atomica e per la costruzione dei satelliti cinesi - dalle demolizioni progettate dalla municipalità di Pechino.
Come sottolinea Huang Rui stesso, “in quanto artisti, non possiamo aspettare che la società ci offra le migliori condizioni per lavorare. Un artista deve esprimersi liberamente; a volte deve essere disposto a stare nell’ombra, ma a volte deve avere il coraggio di mostrare alle autorità il frutto del proprio operato”. Da quanto emerge dall’esperienza di Huang Rui, discutere quanto l’arte contemporanea in Cina sia liberale e indipendente è ancora un argomento attuale.
DROME: La Storia nonché la sua veridicità sono da sempre il perno dei tuoi lavori. Lo è anche nel caso dell’installazione che presenti a Roma al Museo delle Mura, da Febbraio a Giugno?
HUANG RUI: Per questa mia prima personale in Italia ho voluto presentare una tematica prettamente cinese attraverso un lavoro in cui la storia si rende visibile: un’installazione realizzata con mattoni recuperati da edifici pronti a essere demoliti e risalenti all’epoca Qing in cui figurano anche animali dello zodiaco cinese realizzati con lo stesso tipo di pietra con cui è stata costruita la Città Proibita e proveniente dalle cave di Fangshan. Ho cercato di creare un nuovo concetto per registrare il fluire del tempo, un’alternativa all’idea canonica di Storia concepita come un corpus di eventi assoluto, inattaccabile. La datazione che ho creato procede a cicli della durata di 60 anni e rende visibili in maniera molto “scientifica” coincidenze che hanno contribuito a cambiare il destino cinese. Per esempio, il fatto che i più grandi personaggi politici cinesi siano dello stesso segno zodiacale: il Topo.
D: Per questo lavoro hai usato un metodo rigoroso, hai condotto un processo di sistematizzazione, ma anche, implicitamente, hai creato la tua storia.
HR: Il mio scopo quando tratto questa tematica è quello di presentare la storia degli slogan, delle grandi narrative ma mettendone in evidenza i difetti, le falle congenite. In troppi casi gli storici cinesi accettano passivamente la storia, la reputano immutabile. Ma l’artista, a mio avviso, è un intellettuale che deve avere un suo punto di vista e non può accontentarsi di usare la sua arte come metodo di sopravvivenza.