Titolo Anno 18 Numero 56 primavera 2008
Problematico e sfuggente è il tema del libro d’artista, in quanto esso è una tipologia di opera d’arte complessa e poliforme, difficile da incasellare in definizioni esaustive, che non riescono mai ad esprimerne pienamente l’essenza.
Il libro, tempio e depositario della parola scritta, muta sostanzialmente la sua funzione di supporto di un messaggio dato quando diventa libro d’artista.
Per non incorrere in facili malintesi, è necessario, innanzi tutto, compiere una distinzione fra livre illustré e libro d’artista. Se il primo è il frutto dell’incontro tra l’artista e lo scrittore, dove ognuno esprime, individualmente e parallelamente, il proprio linguaggio creativo, il secondo nasce da un solo ideatore, che pensa e realizza la commistione e l’amalgama di tutti gli elementi che vanno a costituire il libro stesso. Mentre il libro illustrato è, solitamente, una pubblicazione preziosa e ricercata, fatta con carte pregiate, incisioni originali e in tiratura limitata; il libro d’artista, quando non è libro-oggetto, è realizzato, invece, su carta ordinaria e con i mezzi della stampa industriale, in tiratura illimitata come prodotto di una democratizzazione dell’arte.
Questa tendenza appare negli anni Sessanta e segue le trasformazioni politico-culturali in atto in quel momento, ma di libro d’artista, inteso come oggetto in cui “la forma–libro è parte integrante dell’espressione e della significazione dell’opera realizzata attraverso il libro stesso”, si può parlare già dalla fine dell’Ottocento. Infatti, nel 1897 venne pubblicato Un Coup de dés jamais n’abolira le hasard di Stéphane Mallarmé, opera dove gli spazi bianchi si fanno pause di silenzio intorno alla frase e che rappresenta l’inizio di una rimeditazione analitica del libro che, successivamente, avrà un forte ascendente sulla poesia concreta.
Tuttavia, anche nell’ambito delle avanguardie storiche si possono rintracciare episodi che anticipano il libro d’artista, come ad esempio, nella sfera del paroliberismo marinettiano, nelle forme ibride che assume il libro imbullonato Depero futurista o le “Lito-latte” di Tullio d’Albisola.
Negli anni Sessanta, parallelamente al boom consumistico e alla diffusione della cultura di massa, in certi ambienti si giunse ad una sconfessione dell’oggetto artistico come pezzo unico in nome di una più ampia accessibilità all’arte.
Nacquero, così, i multipli, le combinazioni di tecniche ed espressioni appartenenti a sfere linguistiche differenti e la dematerializzazione del prodotto artistico. Questo clima culturale portò ad un rifiuto del libro come simbolo di un’erudizione elitaria e passatista, ma proprio da questa negazione del libro si levò il libro d’artista, ovvero un antilibro che, attraverso una demistificazione dell’arte, attuava l’utopia di una nuova società. L’antilibro, economico ed accessibile, si poneva come spazio espressivo alternativo e andava a rimuovere ogni mediazione tra autore e fruitore.
Con Fluxus il libro è sottoposto ad incredibili modificazioni che lo trasformano, grazie alle infinite opportunità espressive offerte dalla multidisciplinarità, in contenitore e testimonianza di eventi, happenings e performance. Perde la sua forma tradizionale, dilatandosi e divenendo libro-oggetto.
Con Twentysix Gasoline Stations, Ed Ruscha compie l’atto di nascita del libro concettuale. Qui ha un ruolo predominante la fotografia che si sostituisce al segno e alla parola nella funzione narrativa dell’opera. L’arte diventa pensiero sull’arte stessa e sul suo linguaggio.
L’uso della fotografia come strumento essenziale d’informazione si diffonde fra gli artisti concettuali così come tra quelli della land art, della narrative art, dell’arte povera e minimal.
Il libro si apre a tutte le esperienze comunicative. La scrittura e la parola perdono d’importanza, arrivando addirittura ad eclissarsi da certi libri, mentre, all’opposto, i concretisti conducono una ricerca sulla poesia e l’isomorfismo, giungendo alla scomposizione tipografica della parola che si frantuma e si ridistribuisce sulla pagina del libro.
Fra gli anni Settanta e gli Ottanta, come conseguenza di una metamorfosi continua, fatta di intersezioni e accumulazioni di idiomi e materiali, il libro d’artista si trasforma in libro-oggetto.
Se il polimaterismo delle esperienze futuriste ne costituisce un’interessante anticipazione, i natali veri e propri del libro-oggetto si possono far risalire all’opera di Carlo Belloli Gabbianoteca/ Un libro galleggiante del 1952, in copia unica, e ai libri cancellati di Emilio Isgrò, del 1964.
A differenza dei libri d’artista a tiratura illimitata degli anni Sessanta, i libri-oggetto, o libri-scultura, sono pezzi unici realizzati nei materiali più disparati e che si rifanno all’aspetto del libro, non prevedendo necessariamente l’inserimento delle pagine. Il libro–oggetto può essere sia d’invenzione, in cui l’artista dà forma ad un nuovo libro, che un volume già esistente, dove l’artista interviene sottraendogli la possibilità di essere letto.
Negli ultimi anni sono nate mostre ed iniziative atte a promuovere la valorizzazione del libro d’artista, come gli appuntamenti biennali di Cassino e Spoleto, giunti ormai, rispettivamente, alla quinta e quarta edizione. Recentemente si è inaugurata la rassegna umbra “LIBEROLIBROdARTISTALIBERO”, a cura di Giorgio Maffei ed Emanuele De Donno, che, oltre a dare il consueto spazio anche ad artisti giovani e giovanissimi, si è concentrata sui maestri storici che si sono cimentati con questo medium e, soprattutto, sull’uso della fotografia nel libro d’artista dagli anni Sessanta ad oggi. A Maffei, uno dei principali esperti del settore, si deve anche la cura della recente mostra bolognese, e del relativo catalogo, dove in modo completo e scientifico sono stati esposti libri e documenti dell’Arte povera. Inoltre, non possiamo non citare altri suoi importanti volumi sull’argomento come Libri d’artista in Italia 1960-1998, curato insieme a Liliana Dematteis, e l’agile e chiarificatore Il libro d’artista.