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Viatico (2007-2010) Anno XIII Numero 51 gennaio-febbraio 2009



Uno Stalker nelle Vele

Maurizio Braucci



Bimestrale d'arte e cultura contemporanea a cura dell'Associazione Culturale


Sommario n. 51

Eccoci all'ennesimo giro di boa, un altro anno è passato e il 2009 si annuncia come nuova grande sfida esistenziale ed intellettuale.
Viatico, viaggio sulla terra ed oltre, continua alla ricerca del se artistico individuale e collettivo, appena uscito il Bollettino di viaggio cartaceo n. 51 (gen. - feb. 2009) che verrà presentato alla prossima edizione di Arte Fiera (23-26 gennaio 2009).

In Copertina un piccolo assaggio della prossima mostra di Matteo Sanna dal titolo "Bloody Party"
In programma ad aprile presso il Changing Role main gallery di Napoli: immagini dal gusto horror-fantasy che nascondono puntuali quanto evidenti citazioni alla pittura del Seicento rivisitate in chiave attualissima per raccontare la realtà delle nuove generazioni.

Lo Speciale di questo numero dedicato allo spazio teatrale napoletano TintadiRosso, laboratorio di sperimentazione che produce audaci quanto inedite commistioni di genere e di linguaggi.

Il Paginone, ancora una volta, ospita un artista di caratura internazionale come James Rielly, presente in Italia con una mostra di sicuro interesse presso lo Studio d'arte Raffaelli di Trento, fino a fine febbraio. Una pittura, quella dell'artista inglese, sospesa tra realtà e humor tipicamente british che prima sciocca lo spettatore e poi lo induce a riflettere.

Senza dimenticare gli Approfondimenti che vedono protagonista Maurizio Braucci, giovane e talentuoso scrittore napoletano già alla ribalta delle cronache letterarie con "Mare guasto" che ci regala un racconto assolutamente inedito: “Uno stalker nelle Vele” ambientato, come suggerisce il titolo, nel suburbio napoletano di Secondigliano, per intenderci, lo stesso del film "Gomorra" di Garrone.

Infine, Calendario e Recensioni sempre ricchi di news ed altre amenità.
Buona visione!
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Così, quando udimmo dalla casa in fiamme un canto melodioso, noi due, sotto il cielo stellato della notte, ci ridestammo dall'ammirare la rovina della periferia a nord della città. Era stato il mio compagno a condurmi laggiù, lo scrittore ubriaco di santità che in quei luoghi cercava, a suo dire, l'umano che perde l'anima mentre prega e bestemmia.

Sei ore prima l'avevo incontrato nelle corti del palazzo Amendola, era sulle tracce di un antropologo americano che lì, tra i diseredati, aveva vissuto per tre anni. Lo vidi che girava con il libro di quello infilato nella tasca del cappotto, le pagine zeppe di annotazioni a matita, una guida che egli consultava avidamente alla ricerca di una fontana rotta che risultò poi inesistente. "Se non conosci Thomas Belmonte" prese a spiegarmi nel suo meticoloso italiano "Non capirai mai perché New York si trova sul medesimo parallelo della tua città". Ero stato attratto dal suo modo di pronunciare la parola "anima", una sensualità innocente veniva fuori dalla lentezza con cui ne scandiva le sillabe, come se non fosse un suono ma un rimpianto.
Il più della nostra conversazione era stato all'insegna della cordiale esultanza con cui siamo soliti intrattenere gli stranieri, la recita partenopea, il fingere che è dolore il dolore che davvero sentiamo, mi aveva posseduto di fronte al mio interlocutore. Egli ritenne di trovarsi con uno abbastanza stupido da ripetergli a memoria, senza invenzioni, il messaggio veritiero della comunità di cui faceva parte, forse per questo si intrattenne con me fino al calare della notte. "Più tardi, mio stalker, mi guiderai nella Zona, è vero?" mi chiese quando ormai l'illuminazione pubblica stava funzionando a pieno regime. Io gli annuii, sebbene non intendessi cosa fosse uno stalker e tanto meno la Zona, ma avevo fiducia in lui perché il suo aspetto dimesso mi appariva sacro e l'ansia delle sue dita un rituale.
Voleva che mi rivolgessi a lui chiamandolo scrittore, null'altro, solo in seguito mi venne spiegato che il suo comportamento faceva parte di una continua citazione, ma, come anche voi tra poco saprete, non per questo menzognera.

Passando davanti l'edificio universitario, si informò se potessi fargli incontrare altri scrittori, ma l'unico che conoscevo abitava troppo lontano e non si sarebbe mosso dal suo paesello nemmeno a cavallo di un demone, anche le Muse, risposi, si sono rassegnate a fargli visita tra le sue carabattole. Il mio ospite non desiderava che anch'io citassi, nè che facessi sfoggio di cultura, egli mi aveva assoldato dall'anarchia analfabeta del luogo e si indispettì nel vedermi varcare per un attimo la soglia di una rigorosa fantasia. Dal quel momento, con suo compiacimento, sbagliai molte pronunce di nomi illustri e arrivai ad attribuire a Dante il Decameron e a chiamare Giovanni Paolo il Pasolini. Solo nella toponomastica dovevo agire con sobrietà, egli era assai interessato alla ragione dei nomi delle strade che attraversavamo, tanto che non batté ciglio mentre io gli illustravo l'origine della statua del Nilo e tre robusti giovanotti, armati di un'accetta, si fecero consegnare tutti i soldi che aveva nel portafoglio.
In due ore esaurimmo la nostra visita del centro storico e, dopo aver soccorso un turista americano la cui testa era stata ingabbiata nella recinzione della guglia di San Domenico, egli mi spiegò che era giunto il momento di recarci nella Zona. "E' lì che ha trovato riparo la verità" mi sussurrò all'orecchio che uno schiaffo da un motorino mi aveva appena arrossato "E' tuo compito guidarmi lì dentro affinché io possa riconciliarmi con essa".

Alle nostre spalle si fermò quindi un'automobile, nera come la notte che si faceva intorno, lo sportello posteriore si aprì ed egli mi precedette all'interno, poi diede ordine allo chauffeur di partire, usando una lingua per me sconosciuta. Durante il tragitto prese a raccontarmi di un viaggio in aerostato a cui un poeta napoletano aveva partecipato alla fine dell'800 e che gli aveva ispirato la sua più grande opera in versi. Finsi di non sapere che si trattava di Ferdinando Russo per non vederlo accigliarsi e lo pregai invece di spiegarmi cosa fosse un aerostato, domanda a cui egli rispose a partire dal principio di Archimede. Venti minuti dopo ci aggiravamo per le strade della periferia di Scampìa, riconobbi oltre i finestrini la sua architettura e lo scrittore esultò perché dopo averla tanto studiata dai libri poteva finalmente ammirarla. "Siamo vicini alla Zona, mio stalker!" disse abbracciandomi "Guarda intorno a te cosa significa aver realizzato la demagogia spacciandola per democrazia". Il senso di questa affermazione mi era sfuggito, ma mi convinsi che avesse a che fare con l'edilizia popolare che si stagliava contro il cielo stellato. "Il tuo Giovanni Paolo Pasolini lo aveva chiamato genocidio" continuò, con il volto trasfigurato da una febbrile tensione "Nemmeno quel nazista di Adolf Eichmann si era posto il problema di cercare il consenso dei deportati. Invece, guarda!, la modernità ha trovato rimedio al dissenso che l'uomo potrebbe avere per il proprio tragico destino".
Erano tutte affermazioni per me oscure, cominciai a sentirmi prigioniero di un invasato ma allo stesso tempo le sue parole mi facevano guardare il paesaggio intorno non più con la fatalità con cui avevo sempre percepito la periferia.

Lo scrittore chiese all'autista dove ci trovassimo esattamente e quello, consultando un navigatore satellitare incastonato nel cruscotto, rispose che eravamo in viale della Resistenza. "E' incredibile, non trovi, che le strade qui intorno rechino i nomi di personaggi e temi del socialismo?" proseguì "Eppure non è scontato che esso sia nato dal popolo per essere poi applicato contro il popolo?". Non lo seguivo più, cominciava a farsi strada in me il risentimento per un estraneo che veniva a giudicare la nostra storia, quella sua saccenteria da manuale mi snervava. Ma un urlo dello scrittore interruppe la mia cogitazione "Eccole, eccole... La Zona.... La Zona!!" si scalmanò indicando gli edifici delle Vele oltre il finestrino. Notando la mia perplessità, ritrovò il contegno che aveva avuto all'inizio del nostro incontro "L'uomo che le progettò si era ispirato al Falansterio di Charles Fourier" mi rivelò con tono asciutto "Ma in pratica per lui fu come aver ordinato una pizza in un ristorante cinese, la forma era quella ma il contenuto venne tutto sbagliato".

Fece cenno all'autista di fermarsi e quindi aprì lo sportello, l'aria fredda invase l'abitacolo mentre lo scrittore usciva dall'automobile. Batté i piedi al suolo per riscaldarsi e poi mi invitò a seguirlo, eravamo giunti di fronte alla Vela di colore celeste e, lì sotto, un piccolo chiosco di bibite era illuminato all'interno. Mi resi conto che stavamo per esporci ad un rischio terribile: come ormai riportavano tutti i giornali, da alcuni mesi era in atto una guerra spietata tra i criminali del posto e ogni intruso costituiva un pericolo contro cui non si sarebbe esitato a sparare.
Mi ricordai, tuttavia, che il nostro sindaco aveva lanciato un chiaro messaggio alla cittadinanza: non bisognava rovinare l'immagine della città e allontanare così quei turisti che costituivano l'unico introito per la nostra economia. Dunque, potevo mai sottrarmi al senso di responsabilità a cui le autorità ci avevano richiamato? Dovevo fingere che si trattasse di una normale passeggiata, non potevo essere da meno di quel nostro, avveduto, concittadino che, raggiunto alla gamba da un proiettile vagante, aveva dichiarato ad una comitiva di tedeschi che passava da lì di non preoccuparsi per lui che aveva solo avuto un attacco di psoriasi.
Abbandonai così il mio sedile con la fierezza di un lealista, raggiunsi lo scrittore e pronunciai con forza la frase "Sei pronto per la verità, scrittore?". Mi guardò un po' sorpreso, distogliendo lo sguardo dalla buia e rugosa struttura in cemento della Vela "Prima beviamo un bicchiere" disse, come sorgendo da un sogno "La verità accende l'ugola". Nel chioschetto apparve una donna di mezza età vestita di un pigiama bianco, depose due bicchieri sul banco di alluminio e, dopo essersi scoperta i grossi seni, li riempì del liquido del suo petto. Feci una smorfia di disgusto, già lo scrittore mi aveva pòrto la mia razione, la odorai e sentii un profumo di vaniglia, ma solo vincendo una grande resistenza riuscii a berla.
Era amara e me ne lamentai. "Non dovresti essere tu, adesso" recitò lui "A dirmi che questo è il sapore dell'amore non corrisposto, il sapore del tuo popolo non benvoluto? Sei o non sei uno stalker, amico mio?". Il richiamo al mio compito, anche se non capivo quale accidenti fosse, mi provocò e, allora, presi a dire tutte le scemenze che mi venivano in mente "Guarda scrittore il giardino sotto i tuoi piedi, cupo come l'animo di chi ha chiesto e non ha ricevuto. Ascolta invece il silenzio che avvolge questo quartiere, spesso come il risentimento di chi ha desiderato acqua e ha ottenuto fuoco.

Senti invece l'odore che proviene da questo enorme edifico, aspro come il cuore di chi diceva oggi e sentì rispondersi mai". Mi guardò, impressionato dalle mie parole, credevo che stesse per darmi un gran calcio nel sedere e invece mi lanciò le braccia al collo, gridando "Ma allora sei davvero uno stalker, non mi ero sbagliato!". A quel punto stavo davvero per domandargli che cavolo fosse uno stalker ma una vampata di calore mi attraversò il corpo. Credevo fosse l'emozione per la fiducia che lo scrittore mi stava accordando, invece fu proprio lui a smentirmi "Guarda, lassù, in cima alla Vela, è scoppiato un incendio". Alzai lo sguardo e in effetti un pennacchio di fiamme illuminava la notte cancellando le stelle sopra di noi, restammo a fissarlo, meravigliati che nessuno uscisse ancora a dare l'allarme. Mi stavo chiedendo quale fuoco divorasse così voracemente l'acciaio e il cemento, quando dall'alto dell'edificio partì un canto pigro ma intenso che diceva "L'amore è il contrario della morte... L'amore è il contrario della morte".

Ci scambiammo un'occhiata perplessa, poi il mio compagno gridò "Proviene dall'interno dell'incendio, è il canto di una donna e mi gioco la testa che si chiama Carmela!". Prima che me ne rendessi conto, già mi aveva afferrato per un braccio e mi stava trascinando all'interno della Vela, a rompicollo lungo le scale diroccate. Eravamo diretti verso l'ultimo piano, quando a metà cammino trovammo il pianerottolo sbarrato da un cancello, ci fermammo senza però evitare di sbatterci contro. "E' da qui che inizia la Zona?" chiese lo scrittore. Asciugandomi un rivolo di sangue dal naso per il colpo sulla grata, annuii perché ormai mi ero proposto di assecondare ogni sua richiesta. Nel frattempo il canto proseguiva, la sua lenta melodia ci giungeva lungo la tromba delle scale e lo scrittore, in un impeto di rabbia, prese a scuotere due delle solide sbarre di ferro. D'un tratto, quando mi ero già seduto per terra e stavo per proporre di tornarcene a casa, una voce domandò alle nostre spalle "Siete qui per l'oracolo?". Ci voltammo e un giovane dai capelli folti come un cespuglio, a bordo di un triciclo per bambini, ripeté "Siete qui per l'oracolo, vero?". Lo scrittore mi fissò, aspettando che fossi io, il suo stalker, a rispondere, esitai e alla fine dissi "Si, siamo qui per l'oracolo". Il giovane, allora, ci fece segno di seguirlo, girò il suo triciclo e iniziò a pedalare verso il corridoio su cui si affacciavano le abitazioni. Lo seguimmo, un po' timorosi, lo scrittore e poi io, passando davanti a porte e finestre che non davano alcun segno di vita. Fu così che entrammo nella Zona, ma le avventure, gli incontri e i pericoli in cui ci imbattemmo durante quella lunga notte non riuscirei a raccontarveli tutti qui, posso dirvi soltanto che lo scrittore si rivelò un personaggio ancora più sorprendente di quanto immaginassi e che l'oracolo... beh, l'oracolo.... a momenti mi veniva un colpo quando lo vidi. Chissà, forse un giorno deciderete anche voi di visitare la Zona e, in tal caso, vi garantisco che scoprirete da soli la verità e capirete anche quanto impegno c'è voluto per renderla così ineffabile... parola di stalker.