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Juliet Anno 29 Numero 141 febbraio-marzo 2009



Annamaria Iodice

Pietro Valle



Art magazine


Sommario
Febbraio 2009, n. 141

* Intervista a Mimmo Paladino, di Luciano Marucci

* “Annamaria Iodice, di Piero Valle

* “FVG”, di Francesca Agostinelli, 2° puntata

* Francesco Lauretta, intervista, a cura di Ivana Mulatero

* Mimmo Iacopino, di Francesca Baboni

* Fabio Rinaldi, intervista, a cura di R.Vidali

* Ritratto da Milano, di Luca Carrà

* Ritratto da Torino, di Simona Cupoli

* Ritratto da Trieste, di Fabio Rinaldi

* Rubrica di Vegetali Ignoti

* Rubrica di Angelo Bianco

* Notiziario Spray

ecc., ecc.


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“Senza titolo” 2008
pittura su cartavelina, cm 37 x50,
courtesy Spazioninmostra, Milano.

“Amore per il rosso e il verde” 2000
affresco su mattone antico, cm 13x26 ca
courtesy Twins Club ASDC, Trieste

“Ellissi foglie oltremare” 2008,
pittura su cartavelina, cm 37x50
courtesy Parco Foundation, Casier

Il movimento dell’immaginario di Annamaria Iodice ritorna costantemente alla natura, la elegge come medium della comunicazione vitale che l'arte è capace di proporre. Nell’evoluzione della sua pittura, la raffigurazione di boschi, di corsi d’acqua e di strati d’atmosfera, registra il sorgere e lo scomparire delle immagini, è indice del formarsi della visione. Il richiamo a memorie sedimentate in un passato mitico e rituale, fa riscoprire a Iodice l’affresco pompeiano e l’arte cinese, espressioni ove presenze umane si muovono in una natura informe ed emergono da un supporto denso che è sia materia dell’oggetto-quadro sia sfondo della rappresentazione. Lo spazio figurativo di fiumi e boschi avvolti nella nebbia genera visioni di strati di colore da cui affiorano e scompaiono figure appena abbozzate, quasi dei fantasmi corporei.

Essi entrano ed escono in punta di piedi, non sembrano appoggiati per terra e forse fluttuano su piani altri. Sono spesso chiamati eremiti e questo titolo ricorre in molteplici quadri dell’ultimo decennio, quasi a indicare una costante impermanenza dell’arte. I paesaggi sono aerei con frammenti di luoghi, spesso isole nell’acqua, disseminati in un medium ocra, sanguigno o blu intenso. Il peso dell’aria è fatto di strati di colore parallelamente solidi e gassosi. I corpi sono in parte definiti, in parte macchiati da un colore appena appoggiato sulla tela che pare sospeso prima di immergersi nel medium del quadro. Il dislocarsi delle figure in vari punti permette una compresenza di molteplici narrazioni e genera un continuo slittamento tra reale e immaginario. La materia/quadro è aria, acqua, terra, vegetazione, alga, cometa, foresta, vita, morte. La presenza di gruppi vegetali tratteggiati in maniera naturalistica non è in conflitto con questo universo informe, anzi mostra continuità tra astrazione e figura, motivo e narrazione, caricatura e rilievo. Il gentile rigoglio di questa pittura rivela un mondo distante da equilibri, un mondo ridondante e ombroso, materico e spiritista, esotico e spazialmente volubile, un mondo, in fondo, affascinato dalla propria capacità di traghettare verso l’immaginario.
Non è un caso che uno dei più misteriosi quadri di Iodice degli anni recenti si intitoli significativamente “Due Mondi”: in esso le figure umane appaiono e scompaiono in una sorta di abisso di colore, quasi fossero reificazioni del desiderio dell’arte di evidenziare la soglia verso dimensioni altre. Anche la tecnica si moltiplica, si dissocia, insegue un ruolo di materia naturale che incorpora un’energia panica, onnicomprensiva. Sullo stesso piano figurativo si mischiano figurazione e informale, miniatura e gesto, campiture e tratti. L’olio, l’affresco e l’acrilico diventano un humour aqueous che, al pari dell’occhio, fatica a fissarsi su un punto di vista e segue la continua traslazione del desiderio. In pitture più recenti, un segno blu monocromo, tratteggia figure in vari punti della tela con orientamenti molteplici. I

l formato stesso è accessibile da più prospettive: l’inseguire i diversi punti di vista genera un movimento circolare intorno al quadro ove si perdono l’inizio e la fine. L’atmosfera di colore scompare e il segno è sorgente non di uno ma di più corsi narrativi: le figure umane si disperdono infatti in macchie di vegetazione e, giunte a un certo punto, scompaiono nel colore. Costanza/apparizione, atmosfera/materia, immobilità/deriva, figure/sfondo, peso del colore/peso delle figure: la sua pittura potrebbe essere scandagliata analizzando la dialettica tra queste coppie di termini. In esse è presente la vitale lentezza del lavoro di quest’artista, tutta immersa in un’introspezione che attende l’emergere delle immagini, in una concentrazione che cerca di fare corrispondere ricezione ed elaborazione dell’arte. Le figure dipinte sono sempre punto di partenza dei suoi dipinti ma l’importante, come scrive nel suo diario, è “fisicizzare i concetti che innescano o hanno innescato uno stato sia contemplativo che esplorativo di una dimensione interna che possa essere condivisa”. L’artista “lotta con la superficie e i pigmenti per ottenere uno spazio cromatico in cui vedere l’immagine che dev’essere come un’apparizione”. In questa attesa di un’epifania, in questa perseguita instabilità, il suo lavoro ha un intento concettuale, persegue una ridefinizione dell’arte continuamente in fieri e un esito sensibile non mediato. Se l’arte sfugge, esiste; se l’arte esiste, si sposta e modifica la vita. Essa è, quindi, definibile come viaggio, percorso, resoconto.

Per trent’anni l’autrice ha inseguito un’antimimesi che evita di ridurre la figura a rappresentazione e la tratta invece come presenza vitale, energia, natura. La sfuggevolezza di questa ricerca, il suo continuo scollarsi da sé stessa è la strategia per mantenerla attiva. Nel corso del tempo ha disseminato isole di consapevolezza che fluttuano alla deriva nel grande corso dell’arte.