Juliet Anno 28 Numero 140 dicembre 2008-gennaio 2009
Un intellettuale a 360° Gareth James, che divide la sua ricerca tra produzione artistica e riflessione teorica. Dopo la performance che lo vide protagonista insieme a Cesare Pietroiusti, nel 2006, l’artista inglese, residente da anni a New York, ritorna con questa mostra presso la spazio torinese nella doppia veste di teorico e di curatore.
Tema costante nella ricerca di James, quello dell’ambivalenza: se in veste di artista punta l’accento sulla teoria sviluppata dallo psicoanalista francese Jacques Lacan, secondo la quale l’inconscio sarebbe strutturato come un linguaggio (da qui la centralità dell’attenzione alla diffusione di significati at-traverso la comunicazione verbale), come curatore l’interesse si sposta sulle manifestazioni ambigue della forma più che sul contenuto dei messaggi.
Emblematica è la scelta del titolo dell’evento: “Hermann’s Grid”. La griglia descritta da Ludimar Hermann è un’illusione ottica, un reticolo bianco e nero, uno schema fisso bidimensionale, che non dovrebbe lasciare adito ad alcuna divagazione. Esso però, per un effetto visivo, pare muoversi e sfumarsi in raggi luminosi che si proiettano all’interno del nero dei riquadri. L’occhio umano non può fissare a lungo immagini statiche e da qui l’illusione ottica di una griglia composta di luci vibranti.
In quest’ambivalenza si inserisce la figura del curatore che emerge soltanto per essere vanificata e subito scomparire, lasciando il posto a un’illusione in cui ogni artista diventa curatore inconsapevole della mostra.
Giocando proprio con l’ambivalenza, lo stesso James ha creato un elenco di regole alle quali però, per sua stessa ammissione, almeno un artista costi-tuisce l’eccezione:
1.Tutti gli artisti di questa mostra sono artisti. 1b.Tutti gli artisti di questa mostra sono giovani. 2.Tutti gli artisti di questa mostra sono artisti e sono stati miei allievi. 3.Tutti gli artisti di questa mostra lavorano in équipe. 3b.Tutti gli artisti di questa mostra si conoscono. 4.Tutti gli artisti di questa mostra sono stati entusiasti di partecipare e non hanno avuto bisogno di essere convinti. 5.Tutti gli artisti di questa mostra rappresentano una rete di relazioni e interessi che supera quella di questa mostra.
Gli artisti invitati a partecipare all’evento sono: Eric Anglès, Jason Boughton, John Kelsey, Taylor Kretschmar, Sylvere Lotringer, Charles Mayton, Eileen Quinlan, Amelia Saddington, Josh Tonsfeldt, Thomas Torres Cordova, individuati appunto per la loro capacità di prevaricare il ruolo che solitamente compete al curatore nella scelta delle opere, diventando a loro volta inconsapevoli curatori della mostra.
Visitando lo spazio espositivo un particolare che colpiva in modo particolare è quello della mancanza di didascalie, questo perché pur trattandosi di sin-goli lavori che rispecchiano pienamente le personali e differenti esperienze e attitudini, divengono parole che in questo ambito acquisiscono un valore fondamentale per la formazione di un dialogo, ma che potrebbero immediatamente perderlo qualora fossero inserite in un contesto differente.
Oggetti ed elementi che è consuetudine utilizzare nella vita quotidiana: nylon, pluriball, condizionatori, appendiabiti, carte geografiche, film, costituisco-no le parole di questa conversazione.
Sono create da Thomas Torres Cordova le sculture immateriali d’aria fredda prodotte da tre condizionatori che sovrastano altrettanti fogli di quelli utiliz-zati per rivestire i cassetti, mentre un intreccio tra la “vita” di alcuni condizionatori degli Stati Uniti e del Teatro Regio è stato il cardine della performance che l’artista ha proposto il giorno dell’inaugurazione.
L’ incontro tra differenti culture è un tema affascinante che ha interessato le opere di Taylor Kretschmar e di Josh Tonsfeldt. La prima artista presenta un gigantesco kimono, abito tradizionale giapponese, la cui tela intesa come tessuto costituisce anche la tela per un dipinto simbolico che miscela la divisione storica esistente tra le tradizioni pittoriche occidentali e quelle orientali, mentre il videoclip di Tonsfeldt, nel quale si vedono due figure muover-si in una foresta, ha come colonna sonora una melodia di corteggiamento degli indiani Lakota. Ancora opere video, come quella di Jason Boughton, che propone un lungometraggio sovrapponendo quattro diverse copie pirata del successo di Will Smith “I’m legend” e un video che ritrae in alcuni momenti domestici la madre malata terminale.
Quattro progetti Open Edition, profondamente differenti tra loro per materiali e argomenti, presentati da Eric Anglès per sottolineare come il mondo dell’arte non sia più in grado, nonostante le illusioni dell’artista, di distaccarsi dallo sguardo inespressivo del capitalismo contemporaneo.
Un progetto non di facile lettura, che richiede di essere visto e anche ascoltato: un discorso fatto di immagini, sensazioni, esperienze di vita, di lavoro e di affetti, un concentrato di riflessioni personali, un volo intellettuale e raffinato che coinvolge un’ampia gamma di argomenti.