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Arte e Critica Anno 15 Numero 60 settembre-novembre 2009



Gianni Colombo. L'esperienza dell'autodeterminazione

Matteo Lucchetti



trimestrale di cultura artistica contemporanea


Sommario 60

_ARTE
046 L’AFGHANISTAN DI ALIGHIERO E BOETTI 1971-1979
di Annemarie Sauzeau
050 GIANNI COLOMBO. L'ESPERIENZA DELL'AUTODETERMINAZIONE / THE EXPERIENCE OF SELF-DETERMINATION
di / by Matteo Lucchetti
052 WEARABLE ART, OVERLAPPING REALITIES
di / by Ilari Valbonesi
054 DADA E SURREALISMO: NICHILISMO E ENGAGEMENT
Intervista a Arturo Schwarz a cura di Roberto Lambarelli
055 ARTE E SFERA PUBBLICA
di Cecilia Canziani
056 EX3 E L’AREA DEL CONTEMPORANEO A FIRENZE
Intervista a Sergio Tossi, Lorenzo Giusti e Arabella Natalini a cura di Daniela Bigi
058 ALICIA HERRERO. ART&CAPITAL... CORRODERE IL SISTEMA DALL’INTERNO
Conversazione a cura di Massimiliano Scuderi
060 KABAKOV. QUANDO SI SOGNA NON CI SI SVEGLIA MAI / WHEN YOU DREAM YOU NEVER WAKE UP
Intervista a / Interview with Ilya e / and Emilia Kabakov a cura di / by Francesca Nicoli
063 IL GIARDINO MOBILE DI LOIS WEINBERGER / LOIS WEINBERGER’S MOBILE GARDEN
di / by Claudia Zanfi
066 BERT THEIS. THE PLATFORM FACTOR
di / by Marco Scotini

_DESIGN
068 KAR-A-SUTRA DI MARIO BELLINI, 1972. TRA DESIGN, MIMI E CINEMA ALLA SOGLIA DEL POSTMODERNO
di Paolo Emilio Antognoli
070 SEXTOYS. LA DIMENSIONE EROTICA DEL DESIGN
di Lorenzo Imbesi
072 DESIGN, SPERIMENTAZIONE E PEZZO UNICO
di Marinella Ferrara
073 LA FUNZIONE ATROFIZZATA
di Luca Bradini

_ARCHITETTURA
074 L’ARCHITETTURA ITALIANA CHIEDE “ASILO”
di Alessandro d’Onofrio
110 SESSO D’ARTISTA. UN CASO ALLA BIENNALE
di Julia Draganovic
112 “SE DICO ‘FUTURO’ A COSA PENSI?”
Conversazione tra ZimmerFrei e Katia Anguelova, Ilaria Gianni, Paola Nicita
115 ARTE POLLINO. L’ARTE CONTEMPORANEA COME VEICOLO DI SVILUPPO ANCHE A SUD
di Federica La Paglia
118 FILIPPO LA VACCARA. PARTENZE
Conversazione a cura di Anna Guillot
119 MATTEO FATO. INTERPUNZIONI
di Sabrina Vedovotto
120 NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA. PER UNA TEATRALITÀ DIFFUSA
Intervista a Renato Quaglia a cura di Andrea Ruggieri
121 GLI EARLY WORKS DI TRISHA BROWN ALLA COLLEZIONE MARAMOTTI
di Sara Dolfi Agostini
122 ARCHITETTURE DELLA MIGRAZIONE. MONA HATOUM, MARGHERITA MORGANTIN, LOUISE BOURGEOIS
di Ilaria Mariotti
123 MAX NEUHAUS. THREE “SIMILAR” ROOMS
di / by Giorgio Sebastiano Brizio
124 ETTORE FAVINI. PAESAGGIO DI MEMORIE. LANDSCAPE OF MEMORIES
di / by Valentina Rossi
125 DANIEL KNORR. ESSENZIALE RADICALE. ESSENTIAL RADICAL
di / by Eleonora Farina
126 NO LONGER EMPTY. YES WE CAN
di / by Manon Slome
127 QUANDO I PIONIERI DIVENTANO GRANDI. 25 ANNI DI VIDEONALE A BONN
WHEN PIONEERS BECOME GREAT. 25 YEARS OF VIDEONALE IN BONN
di / by Claudia Löffelholz

WALID RAAD / KUTLUG ATAMAN / ROSA BARBA / MELANIE GILLIGAN / SAM LEWITT / MIKE NELSON /
DENNIS OPPENHEIM / SANTIAGO SIERRA / MARINE HUGONNIER


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Gianni Colombo
Spazio elastico, 1967-1968
Courtesy Archivio Gianni Colombo, Milano

Gianni Colombo
Spazio elastico, 1967-1968
Courtesy Archivio Gianni Colombo, Milano

Gianni Colombo
Topoestesia-tre zone contigue (itinerario programmato), 1965-70
Dalla mostra Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960-70
Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1971
Courtesy Archivio Gianni Colombo, Milano
Foto Ugo Mulas

La manica lunga del Castello di Rivoli è allestita con quella che senza dubbio può dirsi la più grande retrospettiva mai realizzata dell'opera di Gianni Colombo.
La galleria si presenta in un'articolazione espositiva che fa della costante evidenziazione delle variazioni percettive proprie dell'opera, e dello spazio di relazione che questa condivide e crea con lo spettatore, la questione fondamentale del discorso curatoriale firmato da Marco Scotini e Carolyn Christov-Bakargiev.
L'ambiente longitudinale della mostra è un alternarsi di positivi e negativi, in spazi bianchi e neri, scuri e illuminati,che intendono suggerire il sovvertimento della condizione originaria di uno spazio verso nuove possibilità di percepirlo e di viverlo, o meglio, di farne l'esperienza. Il fattore della percezione nella fruizione dell'arte incrocia da sempre molteplici problematiche, così come molteplici, e seminali, sono le declinazioni delle ricerche cinetico-spaziali compiute dall'artista nel suo percorso, dagli anni del Gruppo T fino alle Architetture cacogoniometriche.

Tra queste ricerche, una delle più esemplari e significative del suo operare è senz'altro quella che lo ha portato alla creazione dello Spazio elastico, esposto per la prima volta a Trigon 67, a Graz (1967), e ad essere premiato, con quest'opera, l'anno seguente alla XXXVI Biennale di Venezia. Nello Spazio elastico accade che in un ambiente praticabile oscurato, la struttura a forma di cubo è ridotta alla sua stereometria, costruita per mezzo dell'incrocio di fili bianchi resi luminescenti da luci al neon Wood. Quegli stessi fili sono mossi meccanicamente a distorcere, quasi fosse un organismo in movimento, le coordinate del volume di partenza. La permanenza all'interno della struttura induce a capire come si tratti di uno spazio dello “straniamento” in grado di inscenare “come funzionano le tecniche al livello del processo d'assoggettamento, come i gesti sono diretti, come sono formati gli schemi percettivi e quelli mentali,come i soggetti sono costituiti in quanto effetti di condizionamenti anonimi”, afferma Scotini nel testo in catalogo.
Gianni Colombo affronta quindi, prima e meglio di altri, la questione del dispositivo in quanto momento di governo privo di fondamento nell'essere e che presuppone perciò processi di soggettivazione, per dirlo con Agamben.
Nel percorrere la mostra, dominano gli odori provenienti dai motorini in affanno che muovono freneticamente le Strutturazioni pulsanti, le Roto-optic ed altre opere pensate e realizzate negli anni della Milano industriale, quella in cui i corpi si vedevano muovere in massa verso e dai luoghi della grande industria, dove la catena di montaggio rappresentava l'andamento lineare proprio della prima società dei consumi. Una dimensione fordista, dove il tempo della vita, per i grandi numeri, è ridotto ad un movimento regolare e normato dalle architetture del lavoro, del tempo libero e persino del luogo domestico.

Quando Monicelli filma Renzo e Luciana all'interno di Boccaccio 70, a partire da un testo di Italo Calvino, il grottesco scritto sopra le vite dei protagonisti sembra riflettersi negli spazi che questi abitano, ovvero i luoghi della Milano fine anni '60, sempre troppo affollati per permettere condotte autonome, non previste. Ed è proprio per possibili processi di autodeterminazione dello sguardo, come afferma lui stesso nel '67, che Colombo intraprende le sue ricerche, magari pensando proprio all'inconsapevolezza insita nei comportamenti collettivi delle masse. La destabilizzazione del punto di vista, la fragilità a cui è sottoposta la nostra percezione aprioristica sono solo alcune delle caratteristiche che emergono dalla relazione dello spettatore con lo spazio dell'arte costruito da Colombo.
La teatralità insita nelle azioni che gli ambienti e le opere dell'artista ci portano a compiere, non ha nulla a che vedere con la rappresentazione, ma piuttosto con le pratiche di relazione e di liberazione dello sguardo e del corpo, che risultano oggi ancora più urgenti e necessarie. Soprattutto attraverso quella componente ironica keatoniana che è stata la cifra stilistica di tutta la produzione di Gianni Colombo.