Arte e Critica Anno 16 Numero 62 marzo-maggio 2010
Trading on the road
Gulnara Kasmalieva & Muratbek Djumaliev
Il 14 gennaio scorso ho incontrato la coppia di artisti Gulnara Kasmalieva & Muratbek Djumaliev all’inaugurazione della loro personale Una Nuova Via della Seta alla Galleria Impronte Contemporary Art di Milano. Rinnovata occasione per riflettere sul panorama emergente dell’arte contemporanea dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan), affermatosi a livello internazionale con le ultime tre edizioni della Biennale di Venezia. Uno dei tratti ricorrenti che accomuna gli artisti della generazione old e new media è l’utilizzo della musica.
Un elemento risonante e di natura essenzialmente nomade, che celebra la nascita di un vero e proprio movimento artistico autoctono, in cui la penetrazione globale della cultura pop non ha travolto la tradizione locale, piuttosto vi si è mescolata, dando vita a un’arte singolarmente plastica, dalle implicazioni sottilmente politiche, che consente di orientarsi in questa vasta regione del mondo senza togliere le differenze culturali. Dalla proclamazione dell’indipendenza, gli artisti centroasiatici non hanno infatti più bisogno di ricorrere a metafore silenziose di libertà del corpo, rintracciabili invece nel lavoro della generazione testimone diretta della Perestroika; si pensi, ad esempio, all’utilizzo anarchico che fa della preghiera l’uzbeko Vyacheslav Akhunov, classe 1948, per mettere segretamente in scena la libertà individuale. Si assiste così ad una nuova proliferazione di artisti concentrati sulla ricomprensione della tradizione locale attraverso una decostruzione di miti, ma nello stesso tempo produttiva di nuovi simboli: sono paradossi visivi, in bilico tra realtà e immaginazione.
È il principio di una “transavanguardia” epocale dell’Asia Centrale, ben rappresentata nella sua fase iniziale dal collettivo Kizil Traktor formatosi nel Kazakistan meridionale dopo la Perestroika, che attraverso video, performance e installazioni, traduce i tradizionali valori etici in valori estetici, attraverso la messa in scena di una ritualità sciamanica e ancorandola nel vissuto quotidiano. Tra i fuoriusciti dal collettivo, nell’ottica di una riconfigurazione dei limiti che cerca di far dialogare due mondi temporalmente lontani, spicca la produzione di Said Atabekov (1965, Uzbekistan), recentemente in mostra al MuHKA di Anversa con il video Walkman (2005) dove si vede l’artista trasportare sulla schiena un violoncello: una sorta di via crucis dell’artista nel contemporaneo, mentre risuonano le note struggenti di Albinoni. Una pratica ironica che ritorna assoluta nella videoperformance SPA-Mummification di Olga Shatalova (1972, Kazakistan) dove si vede l’artista immergesi in una vasca piena di latte, trasformando l’emblema nazionale di ricchezza e rigenerazione del Paese in simbolo di mummificazione, perché “immergendosi nel latte, l’umanità si priva di un volto: la donna mummificata non può più vedere, né percepire la trasformazione del mondo”. Rinvio creativo tra presente e futuro è invece la serie di collage fotografici False Fabrics of the World di Ermek Jaenisch (1981, Kirghizistan).
“Sono monumenti del nuovo” – mi racconta l’artista – “falsi perché non sono da nessuna parte. Sono luoghi immaginati, ricreati attraverso delle parti messe insieme dall’immaginazione; luoghi che fanno vedere l’esercizio dell’immaginazione”.
Come annotavo in un precedente articolo (“Arte e Critica” 53), il periodo “del mercato selvaggio” postperestroika è finito. Eppure nel cambio generazionale l’aspetto simbolico del mercato in quanto luogo di scambio rimane come sottofondo, così come il bazar è il contorno, e luogo cruciale d’incontro di culture differenti nel segno della mobilità.
Uno scambio a cui però si aggiunge una rinnovata sensibilità ecologica, che si apre al mondo superando i confini nazionali. In questo senso i lavori di Gulnara Kasmalieva & Muratbek Djumaliev sono emblematici di questa svolta in direzione ambientale: transavanguardia “on the road” alla ricerca di un’identità allargata che soddisfi, come si esplicita nell’intervista, le urgenze di un’etica globale e sincretica .
IV: Perché una “nuova” via della seta?
MD: Nel medioevo la via della seta era percorsa da carovane di cammelli che trasportavano beni preziosi, oggi rimpiazzate dai camion che trasportano ferro arrugginito. Per questa ragione l’abbiamo rinominata Una Nuova Via della Seta. Nel periodo di controllo sovietico, questa strada di collegamento era stata rimossa dalla memoria collettiva perché rappresentava l’idea di scambio con l’esterno. Con la caduta della cortina di ferro, il commercio tra est ed ovest ha ripreso vita: la via della seta si è rianimata e sviluppata turisticamente, diventando molto popolare, quasi troppo “pop”, motivo per cui abbiamo scelto di guardare alla “nuova via” in modo critico, facendo vedere che questi grandi camion in realtà trasportano veri e propri relitti di ferro arrugginito, che vengono venduti in Cina. Al contrario, dall’Oriente arrivano camion pieni di vestiti e altri beni che forniscono non solo la nostra regione, ma tutto il Centro dell’Asia e la Russia.
GK: Cerchiamo di costruire un nuovo mito della via della seta, nome che proviene dall’antichità ma che oggi connota una realtà diversa, anche se la via è – e rimane – un’arteria per la sopravvivenza dei kirghizistani e di tutti gli abitanti del Centro Asia e della Siberia. Negli ultimi dieci anni queste carovane sono aumentate. Dal mio punto di vista di pittrice è affascinante vedere questi camion muoversi tutti insieme come se fossero delle sculture in movimento, e il primo impulso è stato quello di ritrarli, utilizzando la fotografia. Ma poi abbiamo approfondito lo sguardo e ci siamo resi conto di altri movimenti e di nuovi significati sociali sedimentati nella via. È molto interessante infatti vedere come la popolazione locale si organizzi per sopravvivere in questo durissimo momento storico: dalla costruzione di alberghi al turismo e una nuova idea di ospitalità. Sono nuove forme di trading che nascono da iniziative private di compravendita, packaging e smistamento. Ed è solo l’inizio di una nuova economia, soprattutto perché originariamente i kirghizistani sono una popolazione nomade, e si può dire che sia la prima volta che commerciano con il denaro. È un trading on the road, ma in nuovo senso che forma una nuova società.
IV: Mi vorrei soffermare sul carattere fortemente “ambientale” e “ambientato” dell’installazione di Una Nuova Via della Seta alla Galleria Impronte Contemporary Art.
MD: Per allestire Una Nuova Via della Seta, videoinstallazione a 5 canali, abbiamo utilizzato le finestre della galleria come se fossero dei quadri di un affresco in movimento: una soluzione armonica con lo spazio di una galleria italiana e in tutti i sensi “ambientale”. La nostra cultura si è infatti stanziata solo da 100 anni: sentiamo la natura, apparteniamo ad essa, ed è molto difficile per noi abitare a lungo in una città.
GK: Credo che questa installazione sia anche molto epica, perché l’aspetto poetico della vita è molto radicato nella cultura del Kirghizistan. È anche un modo di riflettere sulla nostra terra attraverso una grande narrazione della via, costellata da micronarrazioni che raccontano quello che succede a livello locale. C’è infatti un significato politico nel commercio e nella migrazione, che sono entrambe forme di movimento da un punto a un altro della terra, in cui c’è un continuo cambiamento e riadattamento delle cose. Ad esempio: questo baracchino che porta un cartello “hamburger” scritto in russo è una riflessione sull’economia locale e mondiale, visto che in Kirghizistan fino a 20 anni fa non avevamo né “hamburger” occidentali né “halal” che invece provengono dalla cultura islamica. Questo per dire che ci sono sempre due aspetti conniventi della globalizzazione e questo baracchino è un segno dei tempi del nuovo mercato globale.
IV: La mostra prosegue con Spring dove avete invitato un’orchestra a suonare La Primavera di Vivaldi sopra una montagna di spazzatura.
MD: Per questa videoinstallazione abbiamo invitato la Bishkek Philharmonic Orchestra a suonare La Primavera di Vivaldi in una discarica alla periferia di Bishkek. La scelta dell’opera è simbolica: celebra l’inizio della vita attraverso il tema della primavera. L’immagine dei musicisti che suonano circondati da immondizia è un’immagine di lotta in un paesaggio extraterrestre e in un certo senso è un’immagine di grande solitudine, ma anche di sopravvivenza in un periodo duro della nostra storia. I musicisti tengono gli strumenti come se fossero importanti e necessari per la lotta. E per noi è determinante che le persone vedano questa discarica, vedere a che punto siamo della nostra storia.
GK: È anche una metafora del passato e del futuro del Kirghizistan. Fino a 100 anni fa la natura è stata celebrata dalla popolazione pagana e nomade, e sarebbe stato impossibile pensare di violentare questa natura e la vita degli altri, mentre adesso c’è un vero è proprio oblio della natura in atto, che è anche molto triste. Attraverso questo video e la musica di Vivaldi, vogliamo risvegliare le coscienze a una nuova vita: la primavera non è solo una stagione ma è proprio la celebrazione dell’inizio, il sentire una nuova vita emotiva. È il nostro dono per tutta la gente.