Arte e Critica Anno 16 Numero 62 marzo-maggio 2010
Conversazione con Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart Tovini
Devo inventare un sistema o essere schiavo del sistema di un altro uomo *
Ogni giorno quarantacinquemila persone ricevono, via mail, la newsletter Pressrelease, una guida ad eventi artistici e culturali che il network UnDo.Net diffonde in rete, un modello pionieristico di informazione gratuita e copartecipata che molti consultano senza avere alcuna consapevolezza di cosa realmente sia UnDo.Net.
La storia di questa operazione d’arte condivisa ha inizio nel 1995 come naturale sviluppo del progetto Premiata Ditta, nome societario usato già dal 1984 dal duo Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart Tovini.
Tutt’oggi colpisce la radicalità della loro posizione in un contesto artistico, quello della Milano anni ’80 e inizio anni ’90, in cui la distinzione tra il campo della produzione del capitale e quello della produzione artistica diventava sempre più labile, trasformando spesso gli artisti in manager attenti alla propria immagine e alle quotazioni di mercato.
Per sottrarsi a questo schema Vincenzo e Anna adottano una strategia decisamente sovversiva: eliminano qualsiasi retaggio romantico legato alla figura dell’artista, fondano una società, Premiata Ditta S.a.s., si appropriano di un linguaggio e di un metodo tipico della produzione economica, e lo dirottano verso fini non speculativi.
Un percorso isolato e ancora poco compreso. Difatti gli altri gruppi e società di artisti a cui solitamente sono stati accomunati usano la simulazione sia in qualità di cifra espressiva ancora legata al ready made, sia in qualità di tattica di sopravvivenza all’interno del mondo dell’arte criticato e tuttavia pienamente accettato.
Premiata Ditta affronta la questione da tutt’altro punto di vista. La logica autoreferenziale del sistema dell’arte è elusa cercando sinergie con altri campi di conoscenza e attribuendo al pubblico un ruolo centrale anche tramite sondaggi e raccolte di dati che, una volta visualizzati, segnalano in maniera efficace emergenze sociali e politiche.
I processi adoperati hanno quindi lo scopo di incarnare una scelta, (“il linguaggio poetico degli artisti che decorano il presente – dichiarano – non era per noi meno fastidioso del linguaggio aziendale”) e di manifestare una realtà che in molti hanno cercato di ignorare, ovvero l’aspetto sempre più pervasivo del sistema economico postfordista.
In virtù di questa consapevolezza Premiata Ditta non affronterà mai l’arte come una categoria identificabile, quanto come elemento disconnesso dalle cose che si possono possedere e definire con precisione.
La loro “Posizione di Principio”, espressa nelle opere ed enunciata più volte a convegni e incontri nei primi anni ’90, svela un progetto di arte e di vita: la volontà di avere un ruolo attivo e propositivo manifestando, da una zona di confine tra sistema dell’arte e macrosistema della realtà politica e sociale, il proprio dissenso.
Questa urgenza di conquistare una posizione in grado di rimettere costantemente al centro, insieme alla propria libertà di azione, la ineludibile domanda “qual è il ruolo dell’artista nella società attuale?” genera la creazione di un modello che, ridefinendo continuamente se stesso, è capace di sfuggire a facili procedure di controllo: UnDo.Net.
MA: Mi racconti come è avvenuto il passaggio da Premiata Ditta a UnDo.Net?
AST: Premiata Ditta è un nome multiplo, c’era quindi già l’idea di mettere insieme figure professionali diverse a seconda delle situazioni e di rivolgerci a un pubblico eterogeneo. Su questa linea il web sembrò offrire innumerevoli nuove possibilità.
Il nostro sogno con UnDo.Net era poter scambiare ruoli, informazioni, competenze, organizzare situazioni di incontro tra diverse realtà dell’arte contemporanea in modo da creare un sistema, un’organizzazione tale da far emergere maggiori proprietà e nuove caratteristiche non riducibili a quelle di partenza. Il concetto di organizzazione, di sistema e di emergenza era da sempre oggetto della nostra attenzione, è stato quindi naturale vedere nel web una opportunità di espansione dei nostri progetti.
L’incontro con Emanuele Vecchia, che allora era giovanissimo ma già molto esperto della rete, ha reso il sogno realizzabile.
Con Emanuele abbiamo iniziato a studiare come usare il web: UnDo.Net è stato realizzato con tecnologie opensource che sono il risultato di progetti collaborativi come Linux, Apache, MySQL, Perl, e questa è stata una scelta etica ben precisa.
MA: Tuttavia nel momento in cui avete creato UnDo.Net avete in qualche maniera perso il vostro ruolo di artisti riconoscibili nel sistema dell’arte.
AST: È stata una svolta, il nostro lavoro è diventato totalmente immateriale, non conservava più neanche quell’aggancio al sistema che aveva prima con Premiata Ditta, questo può essere visto come un suicidio o come una rinascita.
VC: Effettivamente siamo passati da essere parte di un sistema in cui la sostenibilità del tuo lavoro come artista può seguire certi schemi a un percorso completamente diverso, dove le soluzioni economiche sono tanto più complesse perché vanno continuamente inventate. Qual è il modello di riferimento per un progetto come il nostro? Non c’è.
MA: Quindi come possiamo definire il vostro ruolo?
VC: Abbiamo scelto la dimensione del “non essere”: non siamo editori, non siamo web agency, non siamo giornalisti, non siamo artisti riconoscibili, e questa dimensione di “non essere” è quella che ci permette costantemente di ridefinire uno spazio d’azione. Non troverei bastante a se stesso nessuno di questi ruoli, le competenze del mio ideale di artista – protagonista a tutti gli effetti della società in cui vive – dovrebbero essere assolutamente trasversali, non solo da specialista del proprio ambito.
Anche riguardo alla community di UnDo.Net: per me gli interlocutori più stimolanti non sono gli specialisti dell’arte ma piuttosto tutte quelle persone “non essenti” che lo frequentano, cioè quegli individui che non si identificano totalmente in un ruolo o in una disciplina.
È proprio sul margine di un sistema che si trovano le maggiori possibilità di trasformazione e di cambiamento.
MA: Puoi indicarmi dei progetti passati che diano un’idea delle metodologie di UnDo.Net ?
AST: Il network raccoglie decine di progetti, da quelli permanenti come 2Video, Magazines, il nuovo Art Hub dedicato ai giovani video e sound artisti a quelli davvero pionieristici dei primi anni, costruiti sul concept stesso delle iniziative cui erano collegati: Oraperora, Atmosfere Metropolitane, Short Stories, i Reportages…
Certamente Progetti Oreste, presentato alla Biennale di Harald Szeemann nel 1998 fu uno dei più belli. Fu definito “la pelle di Oreste” perché riusciva a far emergere i progetti ma anche le proposte e il confronto continuo tra noi partecipanti di quell’esperienza così articolata. Fra le altre cose ha permesso di ideare collettivamente il palinsesto di eventi quotidiani svoltosi proprio dentro la Biennale.
Sono davvero tanti gli esempi… ma tra tutti Pressrelease è sicuramente quello più conosciuto e posso affermare con sicurezza che quando lo inventammo nel 1999 non c’era davvero niente di simile in Italia. E – a maggior ragione oggi che la rete è diventata anche business editoriale – non ci sono progetti così efficaci e nello stesso tempo indipendenti.
VC: UnDo.Net è un continuo flusso di dati che via via si accumulano in maniera organizzata, è diventato una memoria storica, ma non è solo un archivio perché allo stesso tempo è un organismo vitale alimentato giornalmente e quindi proiettato verso il futuro.
All’idea di archivio sono connessi una serie di aspetti estremamente complessi, la costruzione di una memoria da un lato e il suo utilizzo democratico dall’altro. Non è solo necessario che abbia tanti contenuti ma è importante come questi sono collegati tra loro, come sono messi a disposizione delle persone e che possibilità di interazione offre.
MA: Il futuro di UnDo.Net come lo immaginate?
AST: UnDo.Net vuole essere sempre più un luogo dove sia possibile sperimentare nuovi modi di fare e fruire l’arte, uno spazio d’azione collaborativo.
Noi insistiamo sulla necessità di fare rete (dentro e fuori la rete), perché è questa la reale alternativa all’attuale condizione frammentata che, anche in ambito culturale, toglie forza a qualsiasi azione di cambiamento.
Gli sviluppi futuri andranno sempre più verso l’interattività. Vogliamo far emergere sempre più le azioni della community di UnDo.Net e chissà… allora potremo davvero non esserci!
*I must create a system or be enslaved by another man’s. William Blake, Jerusalem 1804