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Urban Anno 10 Numero 91 settembre 2010



Micro Cattelan

Francesca Bonazzoli





SOMMARIO URBAN 91

9 EDITORIALE

11 ICON

13 INTERURBANA
al telefono con Alessia Bernasconi

14 CULT
di Federico Poletti

18 ROXANE MESQUIDA
di Roberto Croci

23 DESIGN
di Olivia Porta

24 TEEN FILES
di Ciro Cacciola
foto Olivia Bee

28 GLI ORIGAMI DI BRAGANZA
di Federico Poletti
disegni Jean-Pierre Braganza

30 LE GRAND FOODING
di Mirta Oregna
illustrazioni Paolo Ulian/ Thomas Brissot

32 LIBRI
di Marta Topis

33 NIGHTLIFE
di Lorenzo Tiezzi

35 URBAN PRESENTA:
MICRO CATTELAN
a cura di Francesca Bonazzoli
foto Zeno Zotti

50 MUSICA
di Paolo Madeddu

52 MY LITTLE CHINA GIRL
foto Andrew Soule
styling Ivan Bontchev

63 DETAILS
di Ivan Bontchev
foto Giorgio Codazzi

64 BACK TO THE 60’S
foto Jolijn Snijders
styling Delfina Pinardi

75 FUORI

82 ULTIMA FERMATA
di Franco Bolelli
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Foto di Zeno Zotti

Foto di Zeno Zotti
Foto di Pierpaolo Ferrari

Da piazza Affari e dal Palazzo Reale di Milano, la mostra di Maurizio Cattelan dilaga con molti altri lavori sulle pagine di Urban.
La retrospettiva che non ha potuto fare e come non sarà mai possibile vedere, perché realizzata non con le opere vere, ma con i loro modellini in creta. Un regalo inedito che Cattelan ci ha fatto perché l’imprevedibilità è il suo marchio d’artista, la generosità il suo punto debole e la voglia di divertirsi il suo lato incontenibile.


BIDIBIBODIBIBOO (1996). – Una squallida cucina degli anni Cinquanta in miniatura, uguale a quella dell’infanzia di Cattelan, e uno scoiattolino che si suicida. Da mesi Cattelan cercava l’idea giusta per una mostra che gli toglieva il sonno. Finalmente un giorno, a New York, mentre sta correndo a Central Park, inciampa in uno scoiattolo morto e immediatamente arriva l’illuminazione: “Ecco, lui mi salverà!”. Così è nato il suo lavoro più melanconico. Il titolo allude alla formula usata da Mary Poppins quando agita la bacchetta magica. Ma nella vita vera la magia delle fiabe non funziona.

SENZA TITOLO (2003). – I bambini sono molto presenti nell’opera di Cattelan. Questa scultura fu issata sul tetto del museo Ludwig di Colonia: il bambino batteva sul tamburo, come un ritardato, senza produrre alcuna musica o ritmo. Ai tedeschi non poteva non ricordare il protagonista de “Il tamburo di latta” di Günter Grass, Oskar, che a tre anni capisce la falsità del mondo degli adulti, smette di crescere e di parlare e comunica solo attraverso il suo tamburo. La crescita è per Oskar, come per la Germania nazista in cui vive, qualcosa di difficile e doloroso tanto che Oskar riprenderà a parlare solo dopo la morte del padre nazista. Cattelan nega di aver pensato a questa storia, ma aveva visto il film tratto dal libro: nella vicenda di quel bambino disadattato e ribelle c’è un’eco dell’infanzia stessa dell’artista.

CHARLIE DON’T SURF (1997). – È la prima volta che compare Charlie, alter ego dell’artista. Presentato sempre di spalle, rivolto verso una finestra, il manichino con le mani appoggiate al banco e trafitte dalle matite, sembra un bambino vero. Il titolo viene dal film Apocalypse now dove gli americani, che chiamavano Charlie i vietkong, prendono una postazione per andare a surfare e si dicono strafottenti che non c’è pericolo perché “Charlie don’t surf”. Charlie è plurale, come il nemico, generico e collettivo: in questo senso moltiplica i significati inquietanti e dolorosi dell’opera. Per inciso, Cattelan, che ha sempre vissuto come una punizione dover andare a scuola e che è stato ripetutamente bocciato, in seconda elementare aveva trafitto un compagno di banco con la biro e ora passa mesi a fare kite surfing in Costa Rica.

FRANK AND JAMIE (2001). – Prima dell’11 settembre, nella New York di Rudolph Giuliani, la polizia era molto aggressiva e la sua mano pesante veniva tollerata anche nei casi di errori verso persone innocenti. In genere Cattelan si tiene lontano dalla cronaca e dalla politica, ma in quel contesto sentì il bisogno di dire la sua. Un mese prima della mostra, l’attentato alle torri gemelle trasformò però i poliziotti in eroi: la percezione della gente cambiò repentinamente, ma Cattelan decise di presentare comunque il lavoro. Il New York Post scrisse che era un attacco alle forze dell’ordine. Come prima non si poteva criticare la polizia, ora non si poteva farlo per la ragione opposta: era la prova che l’opera di Cattelan funzionava.

SENZA TITOLO (1996). – Un altro furto. Cattelan ha infatti comprato questa tela con il segno di Zorro in un mercatino e poi l’ha esposta come un suo lavoro. La critica ci ha visto l’ironia dell’artista; la dissacrazione che prende di mira i maestri (in questo caso Lucio Fontana e i suoi celebri tagli); la celebrazione di Zorro, il ladro gentiluomo eroe dei bambini. Come dice Cattelan: “In un’opera spesso il risultato è migliore delle intenzioni”.

ANOTHER FUCKING READY-MADE (1996). – Era il periodo in cui per Cattelan ogni mostra diventava un incubo. Doveva allestirne una al De Appel, una scuola di Amsterdam per critici e curatori. Non venendogli in soccorso un’idea, decise di sfidarli e vedere fino a che punto potevano accettare il ready made (l’appropriazione artistica di un oggetto comune). Rubò la mostra di un altro artista e tutti gli arredi della galleria che l’ospitava. “Abbiamo fatto lo scasso e poi siamo andati a dormire: due ore dopo la polizia ci svegliava e ci portava in questura. Erano tutti molto arrabbiati, compreso il direttore del De Appel. Ma alla fine tutto si è sistemato e due anni dopo la galleria derubata mi ha chiesto di fare una mostra!”. Dietro il panico di questa interpretazione estremista del ready-made viene fuori l’avversione, tutta di Cattelan, verso il lavoro, l’autorità e, vecchia ferita, la scuola.

LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI (2000). – Nel 1972 il celebre artista tedesco Joseph Beuys si ritrae con la scritta “La rivoluzione siamo noi”. Cattelan riprende lo slogan nel titolo di questo manichino autoritratto vestito con un abito di feltro che per Beuys era simbolo di rigenerazione. L’opera nasce per una mostra al Migros Museum di Zurigo: Cattelan fece abbattere tutte le pareti e lo spazio si ridusse a due soli stanzoni. Il primo, 1000 metri quadri, fu lasciato vuoto. Il secondo, 500 metri quadri, che formava una L con il primo, conteneva quest’opera in un angolo. Molti visitatori protestarono e si fecero rimborsare il biglietto. Ma per Cattelan vestirsi da Beuys fu come appropriarsi dell’autorità che quelli non gli riconoscevano creando così un corto circuito: per Beuys non avrebbero protestato, eppure avevano davanti un Beuys.

ERROTIN LE VRAI LAPIN (1994). – Emmanuel Perrotin, gallerista di Parigi, è un tombeur des femmes e così Cattelan pensò di vestirlo con un costume a forma di pene e di farne il soggetto stesso dell’esposizione. Perrotin accettò di indossare il costume per l’intero mese della mostra e ne approfittò per mettere a segno anche altre conquiste. Per queste “trovate”, Cattelan è accusato di cavalcare la disponibilità contemporanea a dichiarare arte qualsiasi provocazione. Ma non è forse Cattelan il primo a farsi beffe del sistema dell’arte, vestendo un suo rappresentante da pene? Cattelan smaschera e dissacra il sistema e però noi pensiamo che prenda in giro il pubblico. Qui sta la sua diabolica genialità. Cattelan agisce come un virus: colpisce indistintamente tutti quelli che non hanno difese immunitarie, i deboli di spirito.

A PERFECT DAY (1999). – Glielo aveva detto: “Vedrai che dopo Perrotin, lo farai anche tu”. E così è stato. Cinque anni dopo lo scherzo a Perrotin, Cattelan appende al muro con lo scotch il suo gallerista milanese Massimo De Carlo (il quale sviene in diretta davanti al pubblico e viene trasportato in ospedale con l’ambulanza). Una beffa al narcisismo del gallerista? Un test per vedere fino a che punto accetta di lavorare con un artista impertinente e irregolare? Una prova d’amore? Di fedeltà? O un atto sadico? Oppure ironico, con il gallerista appeso al muro come i quadri che vende? Ma anche un gioco di complicità, alla base di ogni rapporto artista-gallerista o artista-committente.

LA NONA ORA (1999). – È quella in cui Cristo muore sulla croce dopo aver gridato al Padre “Perché mi hai abbandonato?”. Qui il papa è ancora vivo, ma azzoppato, difensore estremo della fede cui si regge. La statua era nata per stare in piedi, ma a una settimana dall’apertura della mostra alla Kunsthalle di Basilea, Cattelan non era convinto: a quell’immagine mancava una storia. Cominciò allora a pensare di distruggerla. Ma come? Doveva essere qualcuno superiore a lui. Una meteorite! Un evento enorme, oscuro, un grumo di nero che, dopo il colpo ricevuto dalla Chiesa con i recenti scandali di pedofilia, accumula nuovi sensi su questa statua.

HIM (2001). – La statua, presentata sempre di spalle, appare come un bambino in preghiera.
Poi, avvicinandosi, si scopre che quel “lui” è Hitler: inginocchiato a chiedere perdono o a colloquio con i suoi demoni? E se chiedesse perdono a noi: lo potremmo esaudire?
Cattelan riversa su di noi emozioni e risposte. Un’opera non è una didascalia e il Male assoluto rimane un enigma.

NOW (2004). – È la terza scultura dedicata ai personaggi della storia ed è l’immagine di John Kennedy che non abbiamo mai visto: conosciamo la sequenza dei fotogrammi del suo omicidio e quella del funerale, ma non abbiamo mai visto questa icona della speranza dentro la sua bara. Cattelan gli ha tolto le scarpe, come ai monaci:
i piedi scalzi rimandano alla sua eredità spirituale.

SENZA TITOLO (2004). – Nel 2004 la fondazione Trussardi chiede a Cattelan una mostra in un luogo pubblico a Milano. Vicino alla casa dell’artista, in piazza XXIV Maggio, c’é una quercia centenaria che da sempre lo incuriosisce per la capacità di resistere al cemento. Ci appende tre manichini di bambini e scatena un inferno di polemiche, anche politiche. Il giorno dopo vengono tirati giù. L’idea dei bambini nasceva da Pinocchio, da Incompreso, dalla piccola vedetta lombarda, da tutte le storie tragiche di bambini entrate nell’immaginario dell’infanzia. I perbenisti gridarono allo scandalo, eppure pochi mesi dopo le televisioni trasmisero per giorni e giorni le immagini shock dei 186 bambini rapiti e uccisi nella scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord.

SENZA TITOLO (2009). – Ancora un’altra opera sulla morte, il lato blu che Cattelan si porta dietro dall’infanzia. Senza titolo anche questa. La scultura della donna, che alcuni hanno voluto interpretare come crocifissa, è in realtà presentata così come arriva dal laboratorio, semplicemente imballata nella sua scatola per viaggiare senza danni. Appena l’ha vista, Cattelan ha intuito che poteva funzionare così com’era e l’ha esposta sul muro della chiesa di Stommel, vicino a Colonia, di fronte al piccolo cimitero, come una santa nella sua edicola.

SENZA TITOLO (2008). – Molti lavori di Cattelan nascono d’istinto, generati da immagini incontrate per strada o sfogliando le pagine di un libro o del web. Quest’opera di nove cadaveri invisibili sotto le lenzuola (di alcuni, scomposti, si può pensare che siano ancora vivi) arriva invece dopo una lunga ricerca: “C’erano in corso due lunghe guerre, in Iraq e in Afghanistan; una situazione politica ed economica mondiale pesante e una crisi di valori generale. Era il momento giusto per parlare della morte. La scelta del marmo, la prima volta per me, è stata naturale perché la morte non si può fare che in marmo”. Sì, ma come? Forse in qualche angolo della mente di Cattelan sono tornati a galla i cadaveri coperti dai lenzuoli che maneggiava ogni giorno quando, da giovane, lavorava nell’obitorio dell’ospedale di Padova.

WE (2010). – L’ultimo autoritratto, più ambiguo che mai: un doppio Cattelan, adagiato su un letto che sembra di morte. Come il corpo e la sua anima; l’io e il suo alter ego; il bambino e l’adulto che ognuno di noi diventa. Chi è Cattelan, inquietante schizofrenico, dissociato, turbato e avido di turbarci? Qual è la maschera dietro cui l’artista cela le sue nevrosi? Che poteri ha il mago creatore di illusioni e di automi, il dottor Victor von Frankenstein, il diabolico Mefistofele che può costruire Golem e dare loro la vita e la morte? E noi: perché ne abbiamo paura?

SENZA TITOLO (2001). – L’ennesima scultura autoritratto dell’artista che, da un buco del pavimento, entrava solo con la testa e le mani nel prestigioso museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Clandestino nella storia dell’arte? In quegli anni Cattelan non era ancora riconosciuto come desiderava così decise di entrare nel museo, nel gotha dell’arte, di straforo, aprendosi da solo la sua porta di servizio. Lo scorso maggio quest’opera è stata battuta all’asta a New York e ha raggiunto otto milioni di dollari, record personale dell’artista.

SPERMINI (1997). – A 13 anni Cattelan distrusse tutte le sue foto, così come rifiutò il suo nome e cognome: non ci si ritrovava. Molti anni dopo, da artista, come se volesse inconsciamente recuperare l’identità perduta, ha realizzato una serie di lavori su di sé: dall’identikit fornito da diversi amici alla polizia per ricostruire il suo volto, fino agli alter ego Charlie. Questo lavoro è composto da circa 600 piccole maschere di lattice che coprivano l’intera parete della galleria. Senza saperlo, Cattelan si è ritrovato ossessionato dalla stessa domanda che tormenta i grandi artisti: chi sono io? Per rispondersi, Rembrandt si fece autoritratti per tutta la vita, Goya si ritrasse anche malato, sorretto dal medico, e Caravaggio nella testa decapitata del Battista.