Arte e Critica Anno 17 Numero 66 marzo-maggio 2011
Shasta e altri miti
DB: Mi piacerebbe parlare con te di geometria, capire che ruolo gioca nel misterioso intreccio di presenze e assenze, di distorsioni e sovrapposizioni che molti tuoi lavori mettono in atto.
SA: Il mio interesse per gli elementi geometrici origina dalla mia passione per l’estetica Bauhaus e costruttivista. Nei miei lavori la geometria viene usata come elemento di astrazione, è come se creasse delle aperture nella superficie dell’immagine su cui viene sovrapposta, che allo stesso tempo risaltano nell’enfatizzare l’inquietante impenetrabilità delle sue forme. Nella mia serie di collage, la geometria viene usata come parte di un gioco di immagini, forme e simboli con l’intento di invertire il significato di “dimenticate” illustrazioni scientifiche. Queste mie giustapposizioni di elementi estremamente precisi, artificiali ad una natura epica e forte, cerca di stabilire, ma allo stesso tempo di mettere in discussione, l'opposizione tra ordine e caos.
DB: L’orrore o lo stupore di fronte alla natura sono condizioni che tradizionalmente vengono ricondotte al sublime, ma tu mi dicevi che sei contrario a questa visione. E credo di intuire le ragioni. Il tuo non è un abbandono alla natura, non ne rimani sopraffatto. Forse si tratta di un’attrazione, anche misteriosa, magmatica, ma che in realtà regoli, controlli attraverso la conoscenza, o la storia della scienza. Mi parleresti di questo aspetto?
SA: Più che essere contrario, direi che una lettura del mio lavoro incentrata solamente su una ricerca e relazione con il sublime è un po’ limitativa e di sicuro non rispecchia i miei intenti. Ovviamente, quella relazione, anche se non cercata attivamente nel mio processo, è intrinseca nel tipo di paesaggi da me creati, ma nello stesso tempo rappresenta solo uno degli aspetti della mia pratica. Direi che la mia ricerca si concentra più su altri elementi, come per esempio nel creare un immaginario che oscilla tra l’escatologico e la bellezza seduttiva, nell’uso della tecnologia per creare nostalgia, nel continuo mescolare tra passato e presente cercando un annullamento temporale.
Di sicuro, come da te menzionato, avendo passato una buona parte della mia vita alle soglie di un vulcano, il mio legame e le esperienze con la natura sono molto forti, così come lo è il mio interesse per i miti e le leggende ad essa legati, e allo stesso tempo per la relazione tra scienza e natura, l’attrazione per le sue iniziali inesattezze e il linguaggio elitaristico che da questa scaturisce.
DB: L’uomo è assente. O meglio, è presentissimo, ma nella sua assenza. È così?
SA: Fino ad ora parte del mio processo è stata quella di obliterare nei miei paesaggi ogni presenza umana. Ho adottato questo modo operativo cercando così di allontanarmi il più possibile da ogni accostamento o visione romantica del rapporto uomo-natura, ma anche perché avrebbe fatto slittare il focus di interesse delle mie immagini in qualcos’altro che non fosse la natura per sé. Un’altra ragione è anche il mio interesse nel creare immagini atemporali o almeno non facilmente classificabili da quel punto di vista. Quindi, rispondendo alla tua domanda, nei miei paesaggi ambigui, l’uomo può essere già estinto o non essere mai esistito.
DB: Perché nel tuo video Sentinel hai tolto le scimmie del famoso inizio di 2001: Odissea nello spazio? Mi parleresti di quel lavoro?
SA: Sentinel segue il mio interesse nel cercare di creare nello spettatore delle contrastanti reazioni in equilibrio tra paura e attrazione. L’idea del video è nata nel rivedere 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick dopo tanti anni, riscoprendo il fascino dei paesaggi che si vedono nella prima parte del film, intitolata “L’alba dell’uomo”. La sequenza è composta da una serie di vedute di paesaggi aridi e inospitali, ambientazioni desertiche, senza una temporalità definita. Paesaggi quindi con una forte connessione con quelli rappresentati nella mia serie di incisioni.
Ho deciso di appropriarmi di quelle immagini e di concentrarmi sul paesaggio, rimuovendo digitalmente le presenze animali. Le scimmie, nonostante fossero di grande rilievo nella narrazione di Kubrick, diventavano un elemento di distrazione per i miei intenti. Alla fine del video, assistiamo all’apparizione del monolite, con la sua rigida impenetrabile superficie nera e rigida forma geometrica, che crea un netto contrasto con le forme naturali del paesaggio, diventando così come una metafora della relazione tra naturale e artificiale.
DB: Quanto conta lo spazio fisico nella costruzione della mostra? Nella recente personale Shasta alla Federica Schiavo Gallery ne hai trasformato la lettura con una incisione di dimensioni straordinarie che si poneva come una sorta di barriera per l’accesso alle altre due stanze. Per altro, mi sembra che effettivamente in quelle stanze il clima fosse diverso: quasi scientifico, illustrativo nella prima sala, più emotivo, evocativo, quasi rituale nella seconda e nella terza. Ho letto male?
SA: In questa mostra specialmente, la relazione fisica con lo spettatore era per me un aspetto molto importante. Lo spazio della galleria in sé tende sicuramente ad instaurare una relazione tra le varie stanze. Io l’ho concepita vedendola un po’ come una narrativa frammentata in cui i vari elementi fisici che si incontrano nel “journey” diventano elementi di connessione, ma che nello stesso tempo creano un senso di disorientamento nello spettatore. Quest’ultimo rimanda a stati alterati di percezione, creando un link con l’utilizzo di sostanze lisergiche spesso utilizzate durante rituali legati al misticismo e alla natura.
Condivido la tua lettura dei vari spazi espositivi. Aggiungerei che nella prima stanza il clima scientifico, come da te descritto, viene contrastato dalla relazione quasi religiosa tra la scultura Luffah e la monumentale incisione intitolata Mass of Cooled Lava Formed Over a Spiracle.
DB: Chiuderei con Shasta, il video che dà il titolo alla personale romana. Cosa rappresenta Shasta nel tuo immaginario?
SA: Shasta è un monte nel nord della California e un posto mistico a cui sono legate moltissime leggende e miti popolari ed è anche una tradizionale meta per chi cerca, attraverso il rapporto con la natura, un avvicinamento a qualcosa di extraterrestre. Il movimento religioso americano "I AM" Activity, fondato nel 1930, si basa, per esempio, sull’incontro tra il fondatore Guy Ballard e il conte di Saint-Germain (un alchimista del XVIII secolo) durante una visita di Ballard al monte Shasta.
Seguendo altre leggende, Shasta sarebbe anche il sito in cui risiedono i superstiti dell’antica civiltà di Lemuria, che sarebbe stata distrutta e sommersa nell’Oceano Pacifico dodicimila anni fa. Per me Shasta diventa quindi un mezzo per simboleggiare l’antica relazione tra l’uomo e la natura vista come tramite con cui interagire in maniera ritualistica, cercando una relazione con qualcosa al di sopra di noi, di intangibile.