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Arte e Critica Anno 17 Numero 66 marzo-maggio 2011



Salvatore Arancio

Daniela Bigi

Shasta e altri miti



trimestrale di cultura artistica contemporanea


SOMMARIO N. 66

048 SALVATORE ARANCIO. SHASTA E ALTRI MITI
a cura di Daniela Bigi

050 VISIONI INTIMISTE E STORIE COLLETTIVE: L’ARTE DI LIANG YUANWEI E XIA XING
INTIMATE VISIONS AND COLLECTIVE STORIES: THE ART OF LIANG YUANWEI AND XIA XING
di / by Manuela Lietti

053 POETICHE DEL QUOTIDIANO NELLA VIDEO ARTE GIAPPONESE / POETICS OF THE EVERYDAY IN JAPANESE VIDEO ART
di / by Andrea Ruggieri

056 OLIVIER FOULON. IT IS MORE DIFFICULT TO LOOK AT A PICTURE THAN TO PAINT ONE
Intervista di / Interview by Paolo Emilio Antognoli Viti

058 GIANNI CARAVAGGIO. LUOGHI DEL POSSIBILE / PLACES OF THE FEASIBLE
Intervista a cura di / Interview by Alberto Fiore

060 KEI TAKEMURA E YEE SOOKYUNG. DUE MODI DI RIPENSARE LA TRADIZIONE ASIATICA
TWO WAYS OF RE-THINKING ASIAN TRADITION
di / by Eunmi Lee

063 ZAGABRIA, CITTÀ GORGONICA / ZAGREB, GORGONIC CITY
di / by Ilari Valbonesi

066 BUCAREST, OVVERO COME L’ARTE PROBLEMATIZZA L’ARCHITETTURA
BUCHAREST, NAMELY HOW ART PROBLEMATISES ARCHITECTURE
di / by Eleonora Farina

068 EDUCARE ALL’EDUCAZIONE NELL’EPOCA DELLA KNOWLEDGE-BASED ECONOMY
di Andris Brinkmanis, Caterina Iaquinta, Elvira Vannini

070 ARTE & NATURA. TEMPORARY GARDENS / ART & NATURE. TEMPORARY GARDENS
di / by Claudia Zanfi

073 DEIMANTAS NARKEVICIUS. GETTING A LOST TUNE
di Andris Brinkmanis

074 FRANCIS ALŸS. MASSIMO SFORZO, MINIMO RISULTATO / MAXIMUM EFFORT, MINIMUM RESULT
di / by Anna Santomauro

076 TEA MÄKIPÄÄ. ULTIMO PARADISO O PARADISO PERDUTO? / LAST PARADISE OR PARADISE LOST?
Intervista a cura di / Interview by Claudia Löffelholz

078 VIAGGI E PAESAGGI DI GABRIELLA CIANCIMINO. SAPORI DI NATURA ENDEMICA
GABRIELLA CIANCIMINO’S JOURNEYS AND LANDSCAPES. FLAVOURS OF ENDEMIC NATURE
di / by Daniela Bigi

080 VALENTINO DIEGO. L’INARRESTABILE PREDILEZIONE PER LE ALTERNATIVE
THE UNSTOPPABLE PREDILECTION FOR ALTERNATIVES
di / by Antonia Alampi

082 2-3 STRADE, UN PROGETTO DI JOCHEN GERZ / 2-3 STREETS, A PROJECT BY JOCHEN GERZ
di / by Pietro Gaglianò

083 YAIMA CARRAZANA. TRA PRATICA ARTISTICA ED ESOTISMO POLITICO / ARTISTIC PRACTICE AND POLITICAL EXOTICISM
di / by Anna Santomauro
084 POLIFONIA DELLE DIFFERENZE NELLA GLOCALITÀ
Dialogo con Hans-Ulrich Obrist a cura di Luciano Marucci

088 LA GALLERIA CIVICA DI MODENA. NUOVI PROGETTI PER UN’IDEA DI MUSEO APERTO
Intervista a Marco Pierini a cura di Daniela Bigi

089 ALIS/FILLIOL. AZIONI SOSTENIBILI DI SOTTRAZIONE E RIEMPIMENTO
di Ilaria Mariotti

090 VITTORIO MESSINA. NUOVE ROVINE
di Bruno Corà

092 TANO FESTA. LA SOPRAVVIVENZA DELL’OGGETTO
di Roberto Lambarelli con una lettera di Tano Festa e una testimonianza di Arturo Schwarz

094 RILEGGENDO GLI ANNI SETTANTA. NUMERO ZERO IN ATTESA DI AUTORIZZAZIONE
di Giovanna dalla Chiesa

097 PIER PAOLO CALZOLARI. TIME IS SUSPENDED, MAN AND PAINTING SEEK INTIMACY
di Alberto Fiore

098 LORENZA MAZZETTI, L’ITALIANA CHE FONDÒ IL FREE CINEMA
di Silvia Tarquini

099 DESIGN POST-CRITICO / POST-CRITICAL DESIGN
Intervista a / Interview with Ronald Jones a cura di / by Riccardo Giacconi

103 KONSTANTIN GRCIC. L’EDITTO DI COSTANTINO
di Marco Sammicheli

105 PROGETTARE L’ESPERIENZA. IL DESIGN TEMPORANEO
di Rosa Topputo

106 TRE MODI DI SCRIVERE DI ARCHITETTURA
di Luca Galofaro


109 Stefanos Tsivopoulos 109 Chto Delat 110 Eve Sussman | Rufus Corporation 110 Ruth Proctor 111 Bik Van der Pol 111 Jens Haaning 112 Ian Tweedy 112 Roman Ondák 113 Michelangelo Consani 114 Michael Johansson 114 Marinella Senatore 115 Bhakti Baxter 115 Ettore Favini 119 Sabrina Mezzaqui 119 Nina Fischer & Maroan el Sani 120 Christian Eisenberger 121 Søren Lose 121 Carsten Nicolai 122 Christiane Löhr 123 Thomas Scheibitz 125 Per Barclay 126 Maddalena Sisto 128 Shozo Shimamoto 130 Peppe Perone 131 Sergio Ragalzi 138 Alessandro Roma

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n. 82 estate 2015

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1993. L’arte, la critica e la storia dell’arte.
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Una veduta della mostra Shasta
Federica Schiavo Gallery Roma, 2011
Foto Giogio Benni

Le Grand Rappel De L'Aiguille De Roc, 2011
Courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma

Shasta, 2011
veduta dell’installazione presso Federica Schiavo Gallery Roma
Foto Giogio Benni

DB: Mi piacerebbe parlare con te di geometria, capire che ruolo gioca nel misterioso intreccio di presenze e assenze, di distorsioni e sovrapposizioni che molti tuoi lavori mettono in atto.
SA: Il mio interesse per gli elementi geometrici origina dalla mia passione per l’estetica Bauhaus e costruttivista. Nei miei lavori la geometria viene usata come elemento di astrazione, è come se creasse delle aperture nella superficie dell’immagine su cui viene sovrapposta, che allo stesso tempo risaltano nell’enfatizzare l’inquietante impenetrabilità delle sue forme. Nella mia serie di collage, la geometria viene usata come parte di un gioco di immagini, forme e simboli con l’intento di invertire il significato di “dimenticate” illustrazioni scientifiche. Queste mie giustapposizioni di elementi estremamente precisi, artificiali ad una natura epica e forte, cerca di stabilire, ma allo stesso tempo di mettere in discussione, l'opposizione tra ordine e caos.

DB: L’orrore o lo stupore di fronte alla natura sono condizioni che tradizionalmente vengono ricondotte al sublime, ma tu mi dicevi che sei contrario a questa visione. E credo di intuire le ragioni. Il tuo non è un abbandono alla natura, non ne rimani sopraffatto. Forse si tratta di un’attrazione, anche misteriosa, magmatica, ma che in realtà regoli, controlli attraverso la conoscenza, o la storia della scienza. Mi parleresti di questo aspetto?
SA: Più che essere contrario, direi che una lettura del mio lavoro incentrata solamente su una ricerca e relazione con il sublime è un po’ limitativa e di sicuro non rispecchia i miei intenti. Ovviamente, quella relazione, anche se non cercata attivamente nel mio processo, è intrinseca nel tipo di paesaggi da me creati, ma nello stesso tempo rappresenta solo uno degli aspetti della mia pratica. Direi che la mia ricerca si concentra più su altri elementi, come per esempio nel creare un immaginario che oscilla tra l’escatologico e la bellezza seduttiva, nell’uso della tecnologia per creare nostalgia, nel continuo mescolare tra passato e presente cercando un annullamento temporale.
Di sicuro, come da te menzionato, avendo passato una buona parte della mia vita alle soglie di un vulcano, il mio legame e le esperienze con la natura sono molto forti, così come lo è il mio interesse per i miti e le leggende ad essa legati, e allo stesso tempo per la relazione tra scienza e natura, l’attrazione per le sue iniziali inesattezze e il linguaggio elitaristico che da questa scaturisce.

DB: L’uomo è assente. O meglio, è presentissimo, ma nella sua assenza. È così?
SA: Fino ad ora parte del mio processo è stata quella di obliterare nei miei paesaggi ogni presenza umana. Ho adottato questo modo operativo cercando così di allontanarmi il più possibile da ogni accostamento o visione romantica del rapporto uomo-natura, ma anche perché avrebbe fatto slittare il focus di interesse delle mie immagini in qualcos’altro che non fosse la natura per sé. Un’altra ragione è anche il mio interesse nel creare immagini atemporali o almeno non facilmente classificabili da quel punto di vista. Quindi, rispondendo alla tua domanda, nei miei paesaggi ambigui, l’uomo può essere già estinto o non essere mai esistito.

DB: Perché nel tuo video Sentinel hai tolto le scimmie del famoso inizio di 2001: Odissea nello spazio? Mi parleresti di quel lavoro?
SA: Sentinel segue il mio interesse nel cercare di creare nello spettatore delle contrastanti reazioni in equilibrio tra paura e attrazione. L’idea del video è nata nel rivedere 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick dopo tanti anni, riscoprendo il fascino dei paesaggi che si vedono nella prima parte del film, intitolata “L’alba dell’uomo”. La sequenza è composta da una serie di vedute di paesaggi aridi e inospitali, ambientazioni desertiche, senza una temporalità definita. Paesaggi quindi con una forte connessione con quelli rappresentati nella mia serie di incisioni.
Ho deciso di appropriarmi di quelle immagini e di concentrarmi sul paesaggio, rimuovendo digitalmente le presenze animali. Le scimmie, nonostante fossero di grande rilievo nella narrazione di Kubrick, diventavano un elemento di distrazione per i miei intenti. Alla fine del video, assistiamo all’apparizione del monolite, con la sua rigida impenetrabile superficie nera e rigida forma geometrica, che crea un netto contrasto con le forme naturali del paesaggio, diventando così come una metafora della relazione tra naturale e artificiale.

DB: Quanto conta lo spazio fisico nella costruzione della mostra? Nella recente personale Shasta alla Federica Schiavo Gallery ne hai trasformato la lettura con una incisione di dimensioni straordinarie che si poneva come una sorta di barriera per l’accesso alle altre due stanze. Per altro, mi sembra che effettivamente in quelle stanze il clima fosse diverso: quasi scientifico, illustrativo nella prima sala, più emotivo, evocativo, quasi rituale nella seconda e nella terza. Ho letto male?
SA: In questa mostra specialmente, la relazione fisica con lo spettatore era per me un aspetto molto importante. Lo spazio della galleria in sé tende sicuramente ad instaurare una relazione tra le varie stanze. Io l’ho concepita vedendola un po’ come una narrativa frammentata in cui i vari elementi fisici che si incontrano nel “journey” diventano elementi di connessione, ma che nello stesso tempo creano un senso di disorientamento nello spettatore. Quest’ultimo rimanda a stati alterati di percezione, creando un link con l’utilizzo di sostanze lisergiche spesso utilizzate durante rituali legati al misticismo e alla natura.
Condivido la tua lettura dei vari spazi espositivi. Aggiungerei che nella prima stanza il clima scientifico, come da te descritto, viene contrastato dalla relazione quasi religiosa tra la scultura Luffah e la monumentale incisione intitolata Mass of Cooled Lava Formed Over a Spiracle.

DB: Chiuderei con Shasta, il video che dà il titolo alla personale romana. Cosa rappresenta Shasta nel tuo immaginario?
SA: Shasta è un monte nel nord della California e un posto mistico a cui sono legate moltissime leggende e miti popolari ed è anche una tradizionale meta per chi cerca, attraverso il rapporto con la natura, un avvicinamento a qualcosa di extraterrestre. Il movimento religioso americano "I AM" Activity, fondato nel 1930, si basa, per esempio, sull’incontro tra il fondatore Guy Ballard e il conte di Saint-Germain (un alchimista del XVIII secolo) durante una visita di Ballard al monte Shasta.
Seguendo altre leggende, Shasta sarebbe anche il sito in cui risiedono i superstiti dell’antica civiltà di Lemuria, che sarebbe stata distrutta e sommersa nell’Oceano Pacifico dodicimila anni fa. Per me Shasta diventa quindi un mezzo per simboleggiare l’antica relazione tra l’uomo e la natura vista come tramite con cui interagire in maniera ritualistica, cercando una relazione con qualcosa al di sopra di noi, di intangibile.