Arte e Critica Anno 17 Numero 66 marzo-maggio 2011
con contributi di Jakob Jakobsen e Copenhagen Free University, Pascal Gielen, Tim Rollins, Florian Schneider, Marco Scotini, Dmitry Vilensky
Rispetto alla rigidità delle istanze classiche e moderniste della didattica accademica come è possibile sviluppare processi di conoscenza e di apprendimento dell’arte? Si può assumere, oggi, un modello discorsivo e visivo di produzione culturale come dispositivo educativo? Il progetto Learning Machines. Art Education and Alternative Production of Knowledge a cura di Marco Scotini che si è svolto nello spazio espositivo del campus NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano – si è articolato a partire da questo problema: come avviene e quali obiettivi si pone la formazione di individui all’interno di meccaniche di assimilazione della conoscenza non allineate a quelle dominanti, e come indagare alcuni fondamentali esempi di pratiche alternative di produzione del sapere, di sistemi educativi in rapporto all’allievo, esperienze in cui l’arte è presentata nel suo duplice aspetto di disciplina da insegnare o dalla quale partire per costituire un programma di apprendimento. Il processo formativo, se sviluppato in relazione alla pratica dell’exhibition making, si trasforma in una meta-riflessione sull’educazione che potenzia, fino a metterlo in crisi, il carattere della “lezione” fine a se stessa, composta attraverso schemi preordinati. Attraverso un lessico alcuni centri di enunciazione e figure di riferimento.
Community of scholars
“Chiamerò “scuola” un processo caratterizzato dall’età dei discenti, dal rapporto determinante con l’insegnante e dalla frequenza a tempo pieno di un programma di studi obbligatorio” (Ivan Illich, Deschooling Society, 1971).
Questo processo è alla base di una “fenomenologia della scuola” che coinvolge l’individuo dalla fanciullezza alla giovinezza. L’allievo-studente, normalizzato e controllato da istituzioni disciplinari, insorge storicamente nel ’68 attraverso la contestazione dei sistemi autoritari. Il suo ruolo e la sua posizione, nel momento delle lotte studentesche, rimette in discussione gli spazi fisici come quelli normativi dell’apprendimento, fino alla categoria stessa dello “studente” a partire dalla sollevazione dell’Università di Strasburgo nel 1966 – e i suoi legami con le teorie debordiane del Situazionismo, analizzate nel numero 12 dell’ “Internationale Situationniste” interamente dedicata all’occupazione della Sorbona e al maggio francese – perché, come sosteneva Walter Benjamin, occorre trasformare l’imposizione del tempo omogeneo e vuoto del capitale sui tempi eterogenei e pieni del sapere vivo. E rovesciare in senso antagonista la studentification.
Spazio disciplinare
“L’organizzazione di uno spazio seriale fu una delle grandi mutazioni tecniche dell’insegnamento elementare. Esso permise di superare il sistema tradizionale (un allievo che lavora qualche minuto col maestro, mentre il gruppo confuso di quelli che attendono rimane in ozio). Assegnati dei posti individuali, rese possibile il controllo di ciascuno ed il lavoro simultaneo di tutti; organizzò una nuova economia dei tempi di apprendimento; fece funzionare lo spazio scolare come una macchina per apprendere ma anche per sorvegliare, gerarchizzare, ricompensare” (Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, 1975).
L’accademia è stata storicamente il dispositivo privilegiato per ridurre l’arte ad un sapere disciplinare: ha codificato ruoli e regolato condotte attraverso l’assegnazione di spazi e pubblici. L’organizzazione spaziale nel corpo delle facoltà universitarie, attraverso la sua articolazione, parla di sé, comunica ai soggetti che la percorrono e la usano una serie di significati che molto spesso trascendono le funzioni istituzionali per le quali è stata pensata e costruita. A causa del modo in cui vengono vissuti e gestiti, tali spazi acquistano significati e valori sociali autonomi. Tali significati e valori, soggetti all’interpretazione degli studenti, scatenano azioni di trasformazione o azzeramento nella misura in cui sono recepiti e compresi.
“La “dismeasure” dell’arte, tuttavia, contrasta con la necessità per il calcolo e il controllo. In breve, l’unione tra teoria e pratica in direzione di una formazione artistica eccellente si basa sull’intimità, l’informalità e la dismisura. Questo contrasta con l’attuale (ri)organizzazione dello spazio educativo e la sua ossessione per la misura che, d’altra parte, tende verso il formalismo, il calcolo e il controllo” (Pascal Gielen).
L’agire spaziale può sviluppare nuove forme produttive di oppositional knowledge?
Artist as a tool-maker
“Il grande problema della scuola tradizionale è che essa pone gli studenti in un costante stato di preparazione. [...] Io parto da una premessa differente. Invece di educare costantemente i ragazzi a divenire artisti, perché non preoccuparsi di incoraggiarli ad essere artisti adesso?” (Tim Rollins).
“L’artista contemporaneo costruisce occasioni di auto-potenziamento e di ampliamento delle capacità dei singoli e delle comunità di progettare le condizioni di base della propria vita. L’artista è soprattutto tool-maker: fornisce attrezzi e strumenti pronti allo scopo che possono essere usati dalla gente rendendo accessibile a tutti le forme della progettazione e quelle della partecipazione ad un processo collettivo di costruzione. L’idea dei “tools” è un’eredità dell’arte concettuale che, nelle pratiche artistiche attuali, ha assunto un carattere totalmente diverso. I servizi che realizza non sono tanto strumenti pronti per l’uso quanto condizioni dell’apprendimento sociale” (Marco Scotini).
Self-education
Con la crisi delle discipline accademiche e moderniste si affermano modelli differenti di auto-organizzazione della conoscenza, rifiutando di essere sopraffatti da un sistema educativo che è diventato il paradigma della società in un’epoca di capitalismo cognitivo. Come sviluppare nuove forme di auto-apprendimento e di soggettivazione, come aprire nuovi spazi di agibilità politica fuori dalle istituzioni scolastiche e dai dispositivi disciplinari dallo stato e del capitale?
“Il processo di auto-educazione nasce da una chiara consapevolezza dei meccanismi di oppressione della società e mira a cambiare questo stato di cose. L’auto-educazione trae origine in coloro che si identificano come oppressi. Il suo obiettivo è l’emancipazione, la dignità, e l’amore” (Dmitry Vilensky).
Knowledge-based economy
La produzione del sapere è un elemento centrale sia nell’economia capitalistica contemporanea che nelle lotte sociali. Il regime produttivo post-fordista ha trasformato la figura dello studente in un lavoratore cognitivo. La figura dello studente ha subito un profondo mutamento. Non è più, cioè, una forza-lavoro in formazione quanto un lavoratore a tutti gli effetti, per cui la conoscenza che egli produce si traduce automaticamente in merce fittizia.
L’università per competere nel mercato della conoscenza e della formazione globale assume la logica del profitto. Il modello pubblico dell’educazione è stato già messo in crisi dal sistema neo-liberista. Tra reazioni autoritarie, rivolte studentesche e movimenti dal basso, le riforme dell’istruzione e la protesta giovanile in Europa hanno creato una nuova possibilità di conflitto sociale.
“La scoperta di possibili punti di resistenza contro l’ondata di privatizzazione, appropriazione e mercificazione del sapere è diventata urgente. La crisi si presenta con la stessa retorica di misurazione quantitativa recentemente implicata nel collasso finanziario. Così l’impatto diventa evidente solo quando è troppo tardi. Il problema non è solo quello di valutare quanto sia critica la situazione, ma evitare il fallimento di contro-concetti che possano generare una alternativa all’ordine esistente” (Florian Schneider).
Descolarizzatori
“Non vorrei lanciare nozioni che facciano scuola ma dei concetti, che passino nella corrente. Non intendo dire che diventino qualcosa di ordinario, ma che diventino idee correnti ovvero maneggiabili in diversi modi. E lo posso fare solo se mi rivolgo a dei solitari che piegheranno le nozioni a modo loro, servendosene per ciò che gli occorre. Sono nozioni di movimento non di scuola” (Gilles Deleuze dalla parola “professore” tratta da L’Abécédaire, 1988).
L’uomo di oggi per costruire se stesso può contare soltanto su quell’insieme di regole facoltative e non deterministiche che hanno definito e definiscono il campo dell’arte. Se allora un grande apparato di cattura, ormai da anni, è al lavoro per sfruttare le forme di innovazione e di inventività sempre più diffuse, altrettanto vero è che le pratiche artistiche hanno sempre più raggiunto una loro centralità paradigmatica nell’orientare i processi di formazione e di auto-educazione contemporanei. E l’arte risulta, dunque, inseparabile dai processi sociali e di collettivizzazione a venire. Come insegnare arte allora? O, come educare quando l’arte è uno dei modelli privilegiati d’apprendimento? Come molti artisti contemporanei e “descolarizzatori” recentemente ci hanno suggerito: “piuttosto che regalare un pesce è meglio insegnare a pescare” (Marco Scotini).
Self-institution
“Il modello della Free University, che abbiamo ripreso e rielaborato, si basa su uno scambio di conoscenza tra le persone, diretto e non mediato, come veicolo di cambiamento sociale. La nostra speranza è di andare nello spazio della vita e istituire la nostra università attingendo a un proprio network di risorse e conoscenza” (Copenhagen Free University).
L’impegno ad elaborare pratiche di liberazione della conoscenza artistica e l’auto-istituzione di strutture sociali, diverse da quelle fondate su processi di valorizzazione capitalistica, sono al centro di nuove attività artistiche, con la fondazione di micro-comunità, strutturate attorno a nuclei alternativi di produzione del sapere, che non sono le scuole: “l’auto istituzionalizzazione, perciò, si basava allora su un certo livello di fiducia nella possibilità di auto-organizzarsi in modo autonomo contro il capitale. Si trattava in qualche modo di una “presa del potere”, senza accettare l’usuale gerarchia fra la norma e l’alternativa. Con l’auto istituzionalizzazione si sfidava, si “detournava” la norma, e le gerarchie venivano completamente rovesciate” (Jakob Jakobsen).
L’organizzazione di istituzioni autonome e l’auto-formazione possono divenire forme della lotta del lavoro cognitivo nel capitalismo contemporaneo.