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Urban Anno 12 Numero 107 giugno-luglio 2012



L'altra Biennale

Francesca Bonazzoli

Fuori dai soliti giri, irriverente, fresca come un cocktail al tramonto sulla spiaggia. La biennale d’arte che non ti aspetti è quella di Venice Beach





SOMMARIO N. 107


9 | editoriale

11 | icon

13 | interurbana
al telefono con Omar Pallante

15 | portfolio
Mare dentro
a cura di Floriana Cavallo

21 | Cult
di Michele Milton

24 | young the giant
di Paolo Madeddu
foto Julian Hargreaves

28 | musica
di Paolo Madeddu

30 | l'altra biennale
di Francesca Bonazzoli

34 | ciclistica da taccuino
di Francesca Bonazzoli

38 | star a modo mio
di Roberto Croci
foto Yu Tsai/Contour/Getty Images

40 | save the waves
di Roberto Croci

44 | dekalb market
di Giovanna Maselli
foto Samantha Casolari

48 | street fooding
di Mirta Oregna
illustrazioni Jérémy Schneider


50 | nightlife
di Lorenzo Tiezzi

51 | libri
di Marta Topis

53 | details
di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova

55 | body
di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova

56 | a day as a punk
foto Jolijn Snijders
styling Ivan Bontchev

67 | Fuori

74 | ultima fermata
di Franco Bolelli
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Sarah Conaway, V, 2011

Meg Cranston, California, 2006

Gli happy feet (così li chiamerebbe Paolo Conte) dell’arte, ossia le folle transumanti da una Biennale all’altra composte dallo stesso club di persone che si scrutano contandosi, questa estate migrano verso Nord, a Kassel, cittadina tedesca priva di ogni attrattiva, il cui centro si sviluppa lungo la linea del tram e delle birrerie che chiudono alle dieci di sera. Ogni cinque anni qui viene celebrato il rito di documenta, mostra internazionale d’arte che nemmeno negli anni Ottanta “dell’edonismo reaganiano” si è mai liberata dei cascami intellettualoidi, delle “urgenze”, le “istanze” e l’“impegno” degli anni Settanta. Per carità, non tutta l’arte deve per forza essere gioco, ma qui si esagera, come quando nel 1997 l’edizione curata da Catherine David presentò per lo più dibattiti politici rinominati opere d’arte.

L’edizione di quest’anno è meno pesante, ma in ogni caso a Kassel, come del resto alla Biennale di Venezia e in tutti i suoi cloni, passa quel tipo di arte “istituzionale” approvata, timbrata ed etichettata dal consenso unanime del mercato, in particolare dalle gallerie, dalle case d’asta, dal circuito dei maggiori musei e dai grandi collezionisti. Insomma non c’è scampo dal solito brodo di cultura.
Per una ventata di novità bisogna investire un po’ più soldi e prendere un aereo per Los Angeles. Qui, affacciati sul bordo dell’oceano Pacifico e sospesi con i piedi sul Big One, si respira tutta un’altra aria.
Niente riti sussiegosi, niente interminabili formalità per l’accredito (il super burocratico ufficio di dOCUMENTA impiega molto più tempo dell’Ambasciata americana per rispondervi), niente soporiferi discorsi delle autorità e praticamente nessuno dei soliti volti degli happy feet che ti salutano con finta cordialità. Qui il clima è informale e solare. Los Angeles è, come la definisce il comunicato stampa di Made in L. A. 2012, la Biennale della California, semplicemente vibrant.

“Credo che il mondo dell’arte di L.A. sia diverso da quello della altre grandi città perché qui sono gli artisti a guidare la comunità e non il mercato e le istituzioni. I creativi sono molto più numerosi dell’insieme di collezionisti, curatori e appassionati d’arte, e sono loro a rendere L.A. una comunità così speciale e dinamica”, ci spiega Ali Subotnick, curatrice dell’Hammer museum, museo e centro culturale della University of California, che organizza Made in L.A. 2012 assieme al LA Art, uno spazio indipendente no profit di arte contemporanea.
“Il mercato qui ha meno impatto; gli artisti possono concentrarsi sulla creatività, la produzione e la ricerca e fra di loro si sviluppa un forte dialogo che li nutre reciprocamente. E non bisogna sottovalutare anche il fatto che Los Angeles è una città in cui è facile trovare un posto relativamente economico dove vivere e lavorare, al contrario di altri posti come New York dove gli artisti devono solitamente svolgere almeno un altro lavoro per sostenersi prima che la loro carriera possa renderli autosufficienti”.

Per 16 mesi la Subotnick, assieme a Anne Ellegood, Lauri Firstenberg, Cesar Garcia e Malik Gaines, ha visitato centinaia di studi di artisti, lo stesso metodo “dal basso”, cioè l’opposto di quello “dall’alto” dell’elenco fornito dalle gallerie, utilizzato per preparare la Biennale di Berlino del 2006 assieme a Maurizio Cattelan e Massimiliano Gioni. Alla fine la selezione è caduta su 60 emergenti o “sottostimati”, così sono qualificati nel comunicato stampa gli artisti invitati, anche qui al contrario di quello che accade nelle altre maggiori vetrine d’arte dove ci si appunta come medaglia l’aver invitato i nomi più prestigiosi, ma ovviamente anche i più conosciuti e convenzionali.
Volevamo mostrare quello che sta succedendo qui a Los Angeles fra tutte le generazioni di artisti che hanno background diversi, giovani e non, non importa, e abbiamo individuato alcuni temi per organizzare le opere in grandi capitoli: archeologia, mitologia, teatralità, soggettività a materialità. Ma in generale direi che la maggior parte dei lavori mette un forte accento sul fatto a mano”.

E per non smentire la fama di “vibrant city” intorno alla biennale, le cui sedi principali sono l’Hammer museum e il LA Art, la città ha predisposto un corposo programma di eventi pubblici e gratuiti che includono performance anche del nostro Simone Forti che, assieme a Laura Riboli, rappresenta la creatività italiana trasferitasi nella città degli angeli; proiezioni di film; concerti; conversazioni con gli artisti; eventi per studenti e anche progetti di grandi affissioni artistiche pubbliche in varie località della città come l’ingresso del Barnsdall park, sull’Hollywood Blvd., o il Sunset Blvd. I lavori di sedici artisti, poi, sono dislocati anche al Los Angeles Municipal art gallery, nel Barnsdall park, e infine, ciliegina sulla torta, dal 13 al 15 luglio l’evento si espande per il fine settimana a bordo oceano durante la Venice Beach Biennal (VBB). Con un nome che strizza scherzosamente l’occhio alla madre di tutte le Biennali, quella di Venezia, l’Ocean front walk viene trasformata in una mostra d’arte all’aperto animata da una trentina di giovani artisti che venderanno i loro lavori piazzati in stand fianco a fianco con i colleghi “veterani” collaborando con loro su nuovi progetti, realizzando performance, installazioni e sculture site specific.

Tutto accessibile, tutto da vivere gomito a gomito fra pubblico e artisti, che è poi la caratteristica che rende speciale e “vibrant” questa Biennale, come ci conferma anche Ali Subotnick: “L’aspetto che mi è piaciuto di più in questi 16 mesi di lavoro preparatorio è stato collaborare a stretto contatto con gli artisti, che è per me il lato più appassionante del mio lavoro. Sempre”.
Insomma, anche senza andare a Hollywood, Los Angeles ti regala un sogno.