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Inside Art Anno 3 Numero 26 novembre 2006



Tutte le vite di Paola

Maurizio Zuccari

Incontro con Paola Pivi



The Living Art Magazine


EDITORIALE Kindness & future di Guido Talarico

PRIMO PIANO Tutte le vite di Paola, incontro con Paola Pivi

di Maurizio Zuccari


INTERVENTI Le mie “virtù” nella crisi di Oliviero Rainaldi

MI PIACE NON MI PIACE La vita nell’arte, l’arte della vita di Aldo Runfola

EVENTI La gioia del fauno di Damiano Benvegnù 12-17
Alle scaturigini della modernità di Flaminia Lais
Boccioni il futurista di Vittorio Sgarbi
Torino, provincia d’Asia di Jan Pellissier
Mondrian l’innovativo di Maria Luisa Prete

CARTELLONE Mullican e Derain, il meglio del mese di Silvia Novelli
WORLD ART Da Modotti a Höller, cosa c’è da vedere di Lorenzo Perrelli

MUSEI E GALLERIE Musma, volumi di luce in grotta di Rosita Canellas
Formiamo curatori creativi
colloquio con Domenico Scudero di Damiano Benvegnù
La natura di Serrano di Silvia Moretti
I fiori e la vita per Marc Quinn di Sabrina Murano

INDIRIZZI D’ARTE Le esposizioni in Italia di Silvia Novelli

VIDEO E FOTO Psycho alla scozzese di Pino Romano
Lucca, festival digitale di Alessandra Vitale

MERCATO & MERCANTI Il bello di novembre di Marilisa Rizzitelli
Il punto sulle aste di Sonia Farsetti
L’affidabilità da Sotheby’s, colloquio con Luisa Lepri di Maria Luisa Prete

TALENTI EMERGENTI Nikova, nero è il colore della luce di Maria Luisa Prete
Bucchi, segno d’arte di Alessandra Vitale

DESIGN Il modello britannico di Lucia Bosso
L’accademia delle idee di Rosita Canellas

ARCHITETTURA Maxxi, un polo per la pace intervista con Pio Baldi di Lucia Bosso
La vita a colori secondo Giorgi di Luca Beatrice

METROPOLIS Verona, al Byblos l’ospitalità è un’arte di Sophie Cnapelynck

STILE Fashionset di Virginia Lucchese
Scirocco, vento di novità di Jan Pellissier
Scordatevi il passato di Francesco Talarico

CINEMA E TEATRO La festa è finita di Francesco Molica
Il saluto delle star a Roma parlano Sean Connery e Robert De Niro
La casa dei teatri e della memoria di Raffaella Rossetti

MUSICA Who’s coming back di Francesco Molica
Che casino royale di Francesco Talarico

LETTURE E FUMETTI Sesso da scartare di Checchino Antonini
Pamuk, ponte tra est e ovest di Maurizio Zuccari
Il mito fondante dell’Italia che fu di Valerio Massimo Manfredi
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Quattro cavalieri in cerca d’autore
Maurizio Zuccari
n. 92 dicembre 2012

Lunga vita alle pin up
Serena Savelli
n. 90 ottobre 2012

La modernità come distacco
Félix Duque
n. 89 settembre 2012

L'estate che verrà
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n. 88 luglio-agosto 2012

Cultura:un manifesto per ripartire
Maurizio Zuccari
n. 85 aprile 2012

Mastromatteo. Il paesaggio in superficie
Maria Luisa Prete
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Senza titolo (asino), 2003, stampa inkjet su pvc

Untitled, 2005, stampa fotografica su alluminio, foto di Hugo Glendinning

Senza titolo, 2004, nastri per fiori in pvc, struttura in acciaio

Dalla gigantografia dell’asinello in barca, placido e smarrito, alle zebre non meno stupite ma apparentemente fiere di starsene, ritte e pinte, in mezzo a una natura tanto simile a loro, nel cuore dell’Abruzzo, tanta acqua è passata sotto ai ponti della Biennale che, nel ‘99, l’ha insignita del Leone d’oro. Ma da quel premio condiviso con altre sei giovani artiste italiane, la crema del Belpaese – non ce ne voglia Antonio Stoppani e il formaggio che ha ripreso il motto dell’abate – Paola Pivi non ha smesso di fare il verso al reale, di stupire il mondo, di capovolgere cose e situazioni. Ma anche di mostrarsi com’è, uguale a tante sue coetanee, addirittura ritrosa quando deve parlare di sé, del suo lavoro. Del suo vissuto, diviso tra le nebbie di Milano, quelle di Londra e i ghiacci dell’Alaska. Dovunque la porti la sua voglia di fare, elaborare scatti capaci di mettere in moto cuori e cervelli.

L’Alaska, Alicudi fotografata in scala uno a uno. Che prerogative hanno questi luoghi per te? «Non conosco la parola prerogativa e non ho un dizionario, ora. Ci sono tanti posti e io vado dove mi sento meglio. Sono stata benissimo anche a Shangai». A Venezia nel ’99 sei stata tra le vincitrici del Leone d’oro. Di solito vince un premio l’artista capace di creare un “brand”, immagini forti. «Le mie immagini lo sono».

Dadaismo ciclopico; matrice concettuale, duchampiana. Questi i termini che la critica affibbia correntemente ai tuoi lavori. Ti ci riconosci? «Il mio lavoro si chiama il lavoro di Paola Pivi, fra i tanti termini dada è una mia passione e ciclope mi fa simpatia».

Jens Hoffman ha definito il tuo lavoro “dead pan”: qualcosa così com’è, senza arricchimenti. Tu come lo giudichi? «Diretto. Non saprei cos’altro dire». L’essenza di un lavoro non si puo’ definire, dici, e con la parola affermi di non avere un buon rapporto. Perché? «Il linguaggio dell’arte non è traducibile. Quanto alle parole, non arrivano mai in modo diretto come avviene con le opere, sono sempre approssimative. Quando ho finito un lavoro ho espresso, comunicato tutto quello che volevo fare. Con le parole, tra quello che non si riesce a dire e quello che non si capisce, si arriva si e no a un 25%».

Si dice che il nostro paese non abbia strutture capaci di valorizzare giovani artisti, specie a paragone dei paesi anglosassoni. Pensi che sia così? E cosa vorresti vedere realizzato a livello istituzionale, che consigli daresti a un giovane artista per farsi conoscere e apprezzare? «Io sono stata valorizzata e quindi non posso dire altrimenti. A livello istituzionalizzato vorrei vedere un aiuto concreto per le persone disoccupate, come c’è in Inghilterra, in cui pagano l’affitto e una quota settimanale a chi resta senza lavoro. Un giovane artista non è altro che una persona normale, l’unico consiglio è non smettere mai di pensare, cercare e dubitare».

La mostra al via alla fondazione Trussardi porta a Milano il mondo alla rovescia, recita la locandina. Qual è il tuo mondo, reale e ideale? «Il mio mondo è lo stesso degli altri, è questo dove viviamo insieme. Quello ideale sarebbe un mondo dove l’etica potesse essere una qualità diffusa invece che rarissima e dove ci si dimenticasse dell’accumulo del denaro come unica fonte di soddisfazione». Cosa troveranno gli spettatori nei grandi spazi dei vecchi magazzini della stazione di via Genova? «Questa personale è la più grande, quindi la più importante fatta finora. Troveranno il mio lavoro, ma è meglio vederlo dal vero piuttosto che in fotografia».