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Inside Art Anno 3 Numero 27 dicembre 2006



Esseri Alienumani

di Maurizio Zuccari

Incontro con Fulvio di Piazza



The Living Art Magazine


EDITORIALE Inside, la nuova sfida di Guido Talarico

PRIMO PIANO Esseri alienumani, incontro con Fulvio Di Piazza
di Maurizio Zuccari


INTERVENTI L’espulsione della visione di Pablo Echaurren

MIPIACENONMIPIACE Ma quanto vale un’ammaccatura di Aldo Runfola

EVENTI La pittura? Ha perso la strada
intervista con Gillo Dorfles di Maria Luisa Prete
Ginsberg tra beat & books di Damiano Benvegnù
Vedovamazzei, la sfida di Stefano Chiodi
Batman a Benevento di Maria Luisa Prete
La memoria del territorio di Alessandra Vitale

CARTELLONE Da Afro a Paul Klee, il meglio del mese di Mattia Marzo

WORLD ART Da Van Gogh a Xiao Feng, cosa c’è da vedere di Lorenzo Perrelli

MUSEI E GALLERIE Bovisa Renaissance di Silvia Moretti
Mart uno e trino per il futurismo di Gabriella Belli
Al top d’Europa di Jan Pellissier
Pietrosanti, carica femminile e simboli di Mattia Marzo
Dipingere la realtà di Alessandra Vitale

INDIRIZZI D’ARTE Le esposizioni in Italia di Silvia Novelli

VIDEO E FOTO L’eden lascivo di Jessica di Claudia Quintieri
Immaginazione rossonera di Claudia Quintieri
Le città senz’anima di Alessandra Vitale

TALENTI EMERGENTI Vnkx, un talento in cerca d’autore di Silvia Novelli

MERCATO & MERCANTI Blindarte fa scuola colloquio con Memmo Grilli di Maria Luisa Prete
Pace con Bonami, schiaffi a Venezia di Jan Pellissier
Nomisma, “tac” sulle vendite di Marilisa RizzitelliDI A
RTE E CULTURA PIÙ DIFFUSO IN ITALIA
DESIGN Un museo per il design di Silvia Moretti
Trame indissolubili di Rosita Canellas

ARCHITETTURA Roma celebra Fuksas di Valentina Piscitelli
Rottamazioni urbane secondo Gardella di Valentina Piscitelli

METROPOLIS Nel cuore della Sabina di Sophie Cnapelynck

STILE L’astro (Ri)nascente di Dario Di Bella
Vivere con un coniglio di Francesco Talarico

CINEMA E TEATRO L’Irlanda di Loach: orgoglio e passione di Claudia Quintieri
Uno sguardo sulle rose Giorgio Pasotti si racconta di Claudia Quintieri
Un dio clandestino di Raffaella Rossetti

MUSICA Speranze primaverili
colloquio con Modena City Ramblers di Francesco Molica
L’ultimo poeta maledetto di Francesco Molica

LETTURE E FUMETTI Un topo a luci rosse o noir di Checchino Antonini
Dell’amore e altre verità
intervista con Andrea De Carlo di Maurizio Zuccari
Il bello della monnezza di Lea Vergine
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Fulvio Di Piazza "Cielo d'occhi", 2002

Fulvio Di Piazza, "Polpulivo", 2006. Collezione privata, foto

Fulvio Di Piazza, "Babele", 2001

All’origine era il fumetto. Mondi che si muovevano tra Disneyland e i Gremlins, universi figurali paralleli alla pittura “alta”. Alienumani frutto di una tecnica antica, la pittura a olio, ma figli delle paure d’oggi. Esseri mutanti, bizzarri e mostruosi. E la natura, non matrigna ma neppure rassicurante. Eccola l’area di coltura di Fulvio Di Piazza: un terreno innervato da radici antiche, da Arcimboldo a Bosch, ramificato in una cifra minuziosa, surreale, florilegio di personaggi e cromatismi che fanno del pittore siracusano una promessa dell’oggi. Lei è definito dalla critica tra gli artisti più originali del panorama figurativo attuale. Per Kostabi è tra i pochi da mettere in casa. Ma il talento è frenato o aiutato dagli apprezzamenti?

«Nel mio caso direi che gli apprezzamenti sono stati di supporto al mio talento, specialmente all’inizio del mio percorso artistico, quando la matrice fumettistica che allora era decisamente più presente nei miei lavori, non veniva vista di buon occhio. Le batoste critiche in alcuni casi danno una carica superiore, in ogni caso il talento per crescere va alimentato e gli apprezzamenti sono un ottimo carburante, però insieme al talento cresce pure l'ego ed è quello che bisogna cercare di tenere a livelli minimi».

Tra Arcimboldo e Disney, dalla pittura fiamminga di Bosch al bestiario di Casares: si riconosce in queste collocazioni, in questi padri nobili o il suo percorso è diverso e distante?
«Ricordo che da bambino fui colpito dalle illustrazioni dell’inferno dantesco, opera di un artista fiammingo che vidi sulla Divina commedia a fascicoli che i miei genitori raccoglievano. Ho riprovato la stessa emozione davanti al “Trittico delle delizie” di Bosch. Sono fortemente attratto da tutta quell’arte, sia di serie A che di serie B, capace di generare stupore e meraviglia. Questo è esattamente il risultato che cerco quando dipingo un quadro. Direi che mi sento molto vicino agli artisti citati, come sento vicina la lezione dei surrealisti. Credo che la mia attitudine verso un tipo di pittura fantastica e barocca derivi innanzitutto dalla cultura popolare del fumetto con la quale sono cresciuto, senza tralasciare poi il fatto che provengo da una terra barocca per definizione».

Cosa significa oggi, in un mondo dove l’arte è concetto più che maestria tecnica, dipingere a olio? Ovvero, può ancora una tecnica tra le più tradizionali fornire lo stupore, la novità di cui sembra necessitare un’opera contemporanea?
«La pittura è di per sé stupefacente perchè è terra che diventa immagine ed è un’immagine umorale, che puzza. Quando guardo un’opera m’interessa più quanto questa riesca a toccarmi nel profondo piuttosto del suo essere più o meno nuova. Ciò che rende contemporanea un’opera è la sensibilità dell’artista che l’ha realizzata, il pittore filtra la realtà e gli stimoli di cui si nutre e li riversa sulla tela rinnovando così la pittura». Parliamo dell’ultima mostra in corso a Mantova, dei soggetti che ritrae. «Si intitola “Clorofilla”. I lavori che ho realizzato sono angoli di natura antropomorfizzata. Ho cercato di portare alle estreme conseguenze uno studio sulle forme naturali che ho cominciato nel 2001 col quadro “Ficus”, dove ritraevo un uomo seduto al cesso che si mimetizzava con l’ambiente fatto di una natura lussureggiante. Sono affascinato da sempre dalle forme naturali specialmente quando, per una casualità beffarda, assumono forme umane. I quadri rappresentano storie umane ricoperte di natura. Rispetto ai lavori di qualche anno fa, dove la narrazione era la struttura dell’opera, cioè nascevano tutti da un racconto inventato, in questi ho lasciato più spazio all’improvvisazione, i soggetti nascono direttamente sulla tela, sono alberi di vario genere, dall’ulivo all’eucaliptus: ho trovato ispirazione nelle trame delle cortecce e mi sono divertito a trasformarle in qualcos’altro, a inventare forme sfruttando la loro superficie piena di asperità».

Nella collettiva conclusa a Torino, “Senza famiglia”, dove era presente, si indagava sui rapporti tra l’artista e il suo mondo, gli amici. Cosa significano la famiglia, l’amicizia, in un contesto come quello artistico? E cosa rappresentano per lei che a Palermo ha dato vita con altri alla cosiddetta “Nuova scuola”, i movimenti in un ambiente per forza di cose dominato dai singoli, dalle personalità? «La nuova scuola altro non era che un gruppo di amici che si sono ritrovati casualmente a condividere la stessa idea di pittura, senza con questo voler dettare nessuna regola. Non è mai stata nostra intenzione creare un movimento, ma più semplicemente ci nutrivamo degli stessi stimoli: pittura, musica, cinema e ci siamo ritrovati a condividere lo stesso studio. In effetti più che un gruppo eravamo una famiglia, ci proteggevamo a vicenda e questo ci ha permesso di affrontare tutte le problematiche che si prospettano a un artista alle prime armi, soprattutto quando vieni dal sud. Caricavamo i tubi con le tele arrotolate in macchina e partivamo alla volta di Milano, Roma, Firenze, Torino con scarse risorse economiche ma pieni di energia. Quindi l’amicizia ha avuto un ruolo fondamentale e lo ha tuttora. Riguardo ai movimenti, non credo che ce ne siano, almeno in italia. L’unico vero movimento è quello di un ritorno consistente alla pittura, nonostante questa fatichi molto a trovare spazio specie quando si tratta di istituzioni pubbliche».

Fare arte al sud, e nello specifico a Palermo, è un handicap o c'è una rinascenza e dunque una visibilità artistica rispetto ad altre aree del paese? E che consigli darebbe a chi, nel meridione come in un qualunque altrove, volesse affacciarsi alla carriera artistica?
«A Palermo in questo momento c’è una forte rinascita dell’arte o almeno ci sono molti ottimi giovani artisti ma non c’è un sistema dell’arte che li supporta (gallerie, musei eccetera): devono comunque confrontarsi con realtà come quella milanese, per esempio, quindi fare arte al sud è tuttora un handicap. Non ho grossi consigli da dare ai giovani artisti, posso solo raccontare la mia esperienza, premesso che sono stato molto fortunato perché ho sempre avuto l’appoggio morale ed economico, seppure con scarse risorse, dei miei amici e della mia famiglia e non tutti possono avere questa fortuna. Il consiglio potrebbe essere di mirare in alto. Credere che sia possibile realizzare quello che si ha dentro, sviluppando al massimo le proprie potenzialità. La realtà meridionale spesso lavora contro tutto questo, nonostante gli apparenti cambiamenti è difficile riuscire a superare il pensiero, largamente diffuso, di accontentarsi, di volare basso, che comunque va bene così. L’artista dovrebbe considerare l’arte come un lavoro, un impegno quotidiano e metodico che porta a una continua crescita e non come un’attività da accostare alla vita reale».

LA MOSTRA
Clorofilla
Ha un titolo assolutamente “verde” la mostra di Fulvio di Piazza che si inaugura il 16 dicembre (ore 19) alla sua galleria di riferimenti, Bonelli arte contemporanea di Mantova. L’ultima produzione dell’artista siracusano, focalizzata su forme arboree ritratte in una fantasmagoria di colori e commistioni organiche, è esposta fino al 28 gennaio. Nel catalogo, edito da Publipaolini, testi di Maurizio Sciaccaluga, Andrea Bruciati e Micaela Giovannotti. Bonelli arte contemporanea, via Corrado 34, Mantova. Da martedì a venerdì 10.30-18.30, sabato su appuntamento.