Inside Art Anno 5 Numero 44 giugno 2008
Fotografare il gusto: il cibo come piacere immateriale e allusivo
e
Gambetta, direttore artistico di Gnam: il cibo è una fonte creativa
Dalle cornucopie alle nature morte, dai banchetti pantagruelici alla figurazione dei disordini alimentari, il cibo nell’arte, come l’arte nel cibo, è un binomio inscindibile. Cambiano gusti, tendenze e raffigurazione, ma ciò che si porta in tavola è da sempre oggetto d’arte e sinonimo dei tempi. La dotta ignoranza e umile grandezza del mondo contadino in Bruegel il vecchio oltre a descrivere virtù senza le quali non c’è salvezza – semplicità, umiltà e pentimento – permette a una massa di umili striscianti di uscire dalle quotidiane meschinità per assurgere al mondo dei simboli, fa dell’essenziale una filosofia dello spirito. Nelle nature morte la ricerca della verosimiglianza estrema portata in ultimo da Luciano Ventrone, la coincidenza tra segno e cosa da mangiare, buona da vedere, porta quasi a far sì che conoscere il vero dipenda dal dipingerlo, la conquista del reale dalla sua rappresentazione. Così il bulimico paesaggio alimentare di Erró parla non solo della folle vanitas del consumismo, ma fa del cibo un fenomeno comunicativo, estetico ed’immagine, tale che la celebrazione straripante di viveri è esiziale oltraggio alla verità e all’essenza delle cose che il mondo artificializzato non riconosce più. (Maurizio Zuccari)
Fotografare il gusto: il cibo come piacere immateriale e allusivo
Buono da vedere
di Michele Smargiassi*
Certo che c’è un rapporto fra guardare e mangiare. Però non te la cavi facendo foto a tavola, non è così semplice. Le fotografie delle grandi tavolate, l’avrete notato, hanno sempre un che di artificiale, un’aria di cosa sospesa, espressioni imbarazzate che sembrano dire: quando hai finito con quella macchinetta per favore togliti da lì che la minestra si fredda. Perché mangiare mentre ti fotografano no, questo non si fa. Mussolini vietò esplicitamente di essere ripreso a tavola, perché con la forchetta in mano non si è duci, si è golosi e basta. La tavola è antiretorica e non ama il potere; i banchetti ufficiali sono sempre parate un po’ tronfie e ridicole. Per beffeggiare i ministri diccì, i comunisti li chiamavano “mangioni”, e il loro partito, “partito della forchetta”. Ma lasciamo perdere i personaggi, pensiamo a noi: “Metti via quella macchina, non vedi che sto mangiando?”. Non ci piace, e non solo perché poi veniamo con quella certa smorfia. Nessun manuale di galateo credo abbia preso in esame la questione, ma è una cosa che viene da dentro, una cosa ancestrale, animale. Sentirsi osservati mentre si mangia è inquietante. Nella giungla, nella savana,ogni sguardo è una minaccia, e il momento in cui si chinano le fauci sul fiero pasto è anche quello in cui il predatore è più vulnerabile, figuriamoci poi la preda. Mangiare in compagnia, questa sì che è una conquista culturale, un’uscita dallo stato di natura: vuol dire che non temiamo più che il nostro simile ci soffi la merenda sotto il naso. Se homo homini non è più lupus, si vede quando si mette il tovagliolo sulle ginocchia... Che sfida allora questa delle Immagini del gusto, e che meraviglia che siano così tanti ad averla raccolta. Fotografare il cibo, abbiamo detto, è un’impresa moralmente rischiosa. Ma fotografare l’appetito, il buon sapore, fotografare il gusto (bella parola polisemica: di una persona si dice che ha gusto quando mostra una certa tendenza a preferire le cose belle e raffinate), diciamo la verità, è facile come fotografare l’anima. Ciò non toglie che i fotografi, in questo secolo e mezzo, abbiano provato a fotografare anche quella, dunque nulla è vietato per principio all’arte delle lenti. Dunque ci si prova lostesso, e qui avete mille prove di come ci si prova. Da cento ingressi, da mille angoli. Vedere il piacere del cibo, tanto per cominciare, può essere il piacere di vedere il cibo. Textures di formaggi, colori di verdure, lampi di luce cangianti sul-le scaglie dei pesci. Vedere il cibo è vederne l’opulenza,è la meraviglia della cornucopia: schiere di tortellini, battaglioni di cioccolatini, muraglie di forme di grana, dighe di damigiane. Ma già siamo scivolati nella metafora. Il cibo che si mostra è sempre allusivo. Il desiderio del palato frustrato dall’insipienza della carta fotografica si fa transfer di altri piaceri. Il piacere sensuale più vicino al cibo, non vale neppure la pena di ricordare qual è. Vedere i peperoni erotici di Weston. È più facile far l’amore con una fotografia che mangiarla? Forse. Que-sto farebbe del cibo un piacere più immateriale del sesso: ipotesi interessante. Certo, quel che il cibo fa può essere solo evocato, in fotografia, da quel che il cibo appare. L’immagine di un uomo che mangia ci dice sul gusto più o meno quanto l’immagine di un uomo che scrive ci dice della letteratura. Quasi zero.
* estratto dal catalogo Immagini del gusto. Percorsi contemporanei sul cibo, cortesia Edizioni Piaf
Gambetta, direttore artistico di Gnam: il cibo è una fonte creativa
Mai sazi di emozioni
di Giulia Cavallaro
Andrea Gambetta, classe 1964, è il direttore artistico di Gnam Festival di Parma, alla sua seconda edizione. È consigliere di amministrazione della Solares fondazione culturale che annovera Emir Kusturica come presidente onorario. Analizziamo con lui il rapporto tra creatività e nutrimento nella contemporaneità.
Gnam: un mese dedicato al rapporto tra arte e cibo. Come emerge questa interazione?
«L’interazione tra arte e cibo emerge fin dal titolo della manifestazione, che gioca tra cibo ed espressività. Parma, città enogastronomica per definizione, presenta come aspetto caratterizzante quello del food. L’arte diventa filtro privilegiato con cui indagare questa realtà che è già viva e intensa sul territorio. Il cibo è un compagno ironico con cui tanti artisti, registi, fotografi osservano il mondo dell’alimentazione. Tanti i progetti nell’edizione di quest’anno e nella scorsa,come Hungry Planet, un viaggio antropologico con reportage sulle differenti modalità di approccio al cibo in 24 paesi. Un rapporto quello tra arte e cibo che permette di soffermarsi su tematiche complesse come la fame nel mondo o la pena di morte. Ma anche il cibo come rituale, come mitologia, come espressione culturale».
Dal primo giugno inaugura un altro evento su questo tema, Immagini del gusto. Percorsi contemporanei sul cibo. A cosa pensi sia dovuto questo proliferare di interesse per il rapporto tra arte e cibo anche a livello di coinvolgimento del pubblico con eventi, mostre, conferenze e attività di varia natura?
«Questo avviene dove il cibo ha delle radici forti, cioè in paesi come l’Italia, la Spagna o la Francia, dove offre spunti di riflessione e di emozione. È interessante l’aumento dei festival che analizzano il cibo dal punto di vista internazionale: da una prospettiva ad ampio raggio emergono dati più interessanti rispetto ad una visione locale, come una sagra paesana, senza nulla togliere alla profonda valenza sociale e rituale delle manifestazioni popolari».
Come il cibo e le abitudini culinarie influenzano la produzione artistica contemporanea?
«Il cibo influenza l’arte perchè influenza la vita stessa: determina gesti, offre strumenti di lavoro, cambia i ritmi di vita. Per questo si intreccia con la pratica artistica contemporanea e le pratiche di consumo del food esercitano una forte fascinazione sugli artisti stessi che sentono la necessità di decodificarne e di interpretare significati simbolici. Basta pensare all’enorme contraddizione rispetto alla fame nel mondo e alle nevrosi alimentari, come anoressia, bulimia eobesità. Gli alimenti diventano dei potenti mezzi di comunicazione».
Quali artisti contemporanei sono maggiormente coinvolti nel rapporto col cibo? Con quali meto-dologie? Come il cibo interviene attivamente nel processo artistico?
«Sono tanti gli artisti che rendono vivo questo rapporto, dalla pop art di Oldenburg, alla ritualità di Daniel Spoerri, alla Land art di Dennis Oppenheim, che ha realizzato installazioni urbane con pentole e caffettiere giganti. Il cibo diventa protagonista anche nel lavoro artistico di Martin Parr. In “Food” Parr commenta con ironia le relazioni con il cibo nella società globale dei consumi attraverso lecca lecca colorati, muffins sorridenti, donuts “patriottici”. Il cibo interviene come mezzo espressivo, come soggetto o addirittura come paesaggio nelle realizzazioni di landscape di broccoli, o scogliere di parmigiano di Karl Warner. Infine non possiamo non considerare l’impatto esplosivo che hanno avuto in questo senso gli interventi di Hermann Nitsch e Marina Abramovic».
Slow food è un tentativo di resistenza rispetto all’omologazione alimentare. Quale può essere un possibile parallelismo nel mondo dell’arte?
«Slow food è un grande progetto di Carlo Petrini, caratterizzato da una diffusione territoriale straordinaria,con un coinvolgimento che va dal piccolo produttore al consumatore. Osservando l’arte, il cinema e la fotografia non vedo sinceramente percorsi che possano essere paragonati a questo fenomeno. Il sistema dell’arte dovrebbe assumere logiche di rete più ampie e meno elitarie per raggiungere un impatto simile a quello di slow food. L’arte tende a chiudersi su se stessa, anche se è importante cercare di diffondere cultura in grado di offrire visioni del mondo, soprattutto in un’epoca dove vengono a mancare tanti punti di riferimento».
Il legame tra arte e cibo riflette il più ampio rapporto tra cibo e contesto sociale. A livello collettivo la scelta dell’alimentazione fornisce norme che creano l’identità di gruppo. Non a caso il cibo è anche memoria etnica, in grado di ricreare i paesaggi lasciati dall’emigrante. Che cosa ne pensi di questa interazione?
«Mi viene in mente una designer olandese, Deborah Solomon, che ha ricostruito in parchi e zone abitate da stranieri diversi tipi di cucine che ne richiamano i principali tratti culturali, affiancando ad esempio la cucina orientale a quella africana. Questo per mostrare come l’arte possa con la sua energia e la sua spinta vitale offrire tentativi e visioni differenti alle pratiche che spesso sono consolidate nel mondo occidentale».
Sia l’arte che il senso del gusto sono stati modificati dalla produzione di massa. Oggi siamo di fronte alla necessità di un diverso approccio ai consumi, un generale ripensamento per una diversa qualità del vivere. In che misura l’arte può fornire un contributo critico in questa direzione?
«L’arte può offrire un importante contributo in questo senso, ma spesso non lo fa. I consumatori di domani sono i giovani di oggi, per questo motivo sarebbe importante agire nelle scuole, intervenendo nel consolidamento delle pratiche di vita. L’arte dovrebbe rispondere al bisogno comune di emozionarsi, di creare luoghi di pathos e di contesti dalla forte valenza culturale, per la salvaguardia di idee forti. Purtroppo la massificazione non fa altro che rendere più deboli le nostre credenze. Il cibo e l’arte dovrebbero, unendosi, offrire momenti di intensa ricostruzione socioculturale».
LA MOSTRA/1
Le verità dipinte
Quella di Ventrone è passione autentica per l’arte classicamente intesa, sentimento che lo spinge al di fuori delle regole del mercato e delle mode. Un artista senza tempo che guarda con occhio grato ai grandi artisti del passato, ma che si compiace di esprimere, col silenzio di ogni composizione iperrealista, la realtà del nostro secolo. Una rara occasione per ammirare un’ampia selezione di opere, a cominciare dalle nature morte. Fino al 13 luglio, palazzo Einaudi, piazza d’armi 6, Chiasso (Torino). Info: 0119103591; www.fondazione900.it.
LA MOSTRA/2
Gli stimoli della Gnam
Con Gnam, la rassegna conclusasi lo scorso 3 giugno,ancora una volta Parma, capitale europea del Food, è stata coinvolta attraverso intelligenti suggestioni, provocazioni e stimoli sul tema “Ga-stronomia nell’arte moderna”. La scelta che il direttore artistico della rassegna, Andrea Gambetta, ha compiuto per questa seconda edizione europea , si è focalizzata sulla fotografia come mezzo privilegiato per la rappresentazione del cibo e dell’alimentarsi. In occasione di Gnam è stato realizzato un catalogo edito da Silvana Editoriale. Info: 0521967088; www.gnamfestival.eu.
LA MOSTRA/3
Immagini del gusto
“Immagini del gusto. Percorsi contemporanei sul cibo” presenta 1.000 tra le immagini più significative esposte come portate di un’immensa tavolata fotografica alla quale tutti sono invitati a partecipare. La mostra vede come testimonial il conduttore televisivo Davide Mengacci, esperto di arte culinaria nonché uno degli autori delle foto che saranno esposte alla mostra. La manifestazione occupa anche altre sedi sparse in tutta la cittadina, le strade e le piazze, trasformando Bibbiena in un grande e festoso contenitore di immagini. Il percorso espositivo è un viaggio nella cultura gastronomica italiana,una forte interpretazione della contemporaneità e un momento di riflessione sul linguaggio fotografico. La mostra nazionale di Bibbiena ha un suo volume intitolato “Catalogo mostra nazionale”, mentre le mostre locali sono rappresentate con le immagini del “Libro delle mostre”. Dal primo giugno al 7 settembre, Centro Italiano della fotografia d’autore, via delle Monache2, Bibbiena (Arezzo). Info: www.immaginidelgu-sto.org.