Inside Art Anno 5 Numero 45 luglio-agosto 2008
ODIATE SPONDE CROCEVIA D’ARTE
Il Mediterraneo è un mare piccolo ma abbracciarlo tutto con lo stesso sguardo è impossibile, dice Martina Corgnati nel pezzo a fianco: forse perché la sua antichità ha disseminato di porte le sue sponde, ha alzato muri sulle sue correnti. Crepate a Berlino, le mura tra mondi vicini e avversi resistono a Cipro tra chi guarda ad Atene e chi a Istanbul, serpeggiano sull’Atlante a separare l’etnia Saharawi dal Marocco che li respinge e dal mondo che li ignora. Si fortificano sulla striscia di Gaza a congelare l’odio fra ebrei e arabi. Da sempre il Mare di mezzo,come questi ultimi chiamavano il Mare nostrum dei latini, è crocevia di traffici e genti, correnti d’acqua e di pensiero. Teatro di scorribande feroci, conflitti implacabili,amori mitici. E, da sempre, l’arte gioca un ruolo di primissimo piano sulle sue sponde, s’incunea tra le parti in lotta, dà la stura a passioni e conoscenze, avvicina i suoi riottosi abitatori, rimescolale acque. Forse è sogno da anime belle credere che essa possa essere la porta attraverso cui far passare i milioni di disperati che si riversano in questo mare d’odio e bellezza in cerca di uno scampo o un futuro quale sia. Forse un’ondata più forte spazzerà via millenarie culture, radicali distinguo. Forse. Ma, come i montanari baschi accoppando un signorotto carolingio dettero vita alla Chanson de geste, come l’Odisseo letterario di Omero ancora ispira quello ligneo di Ceroli, così l’arte s’insinua sui tratturi più impervi, incrocia le rotte meno battute per superare le colonne d’Ercole che l’uomo pone a se stesso. E l’arte,come l’arte di vivere che da questo mare ebbe culla, segna ancora la possibilità di passare tra Scilla e Cariddi pur di trovare Nausicaa. L’ospitalità che i greci chiamavano xenia e i contemporanei sembrano aver smarrito su questi lidi.
Evaristo Manfroni
Il Mediterraneo è piccolo, ma abbracciarlo con lo stesso sguardo è impossibile
MARE DI FRONTIERA
di Martina Corgnati*
Il Mediterraneo è stato, da sempre, luogo di frontiera o meglio spazio in qualche misura indistinto e sospeso fra frontiere mobili che si spostano continuamente, percosse dalla storia. La prossimità o, al contrario, la lontananza di tali frontiere non è generalmente un dato oggettivo ma dipende da punti di vista condizionati,a loro volta, dall’oppressione di media, ideologie, opinioni, interessi, appartenenze vere o presunte di gruppo, di genere, di classe. Il Mediterraneo è un mare piccolo ma abbracciarlo tutto con lo stesso sguardo è impossibile: forse perché è troppo antico o forse perché tanta antichità ha disseminato porte e muri dappertutto lungo le sue correnti. Per questo potrebbe essere non inutile provare a considerarlo proprio dal punto di vista delle porte, cioè delle relazioni, scambi, incontri oppure, al contrario, separazioni, cesure, scontri. Si tratta naturalmente di spazi e termini più simbolici che fisici, come quelli che distinguono per esempio un natante da diporto da una carretta di clandestini, barche e destini vicinissimi magari nello spazio ma radicalmente lontani nel senso e nello status. Ma si tratta anche di luoghi violentemente concreti come frontiere chiuse, checkpoint, sbarramenti e muri che separano esistenze e dividono inclusi ed esclusi, chi è dentro da chi è fuori, anche se poi essere fuori o dentro è condizione largamente reversibile in base alle contingenze storiche. Come fare a orientarsi in questo intreccio labirintico? Tradizionalmente, fino alla metà del ‘900,ha funzionato la distinzione fra colto e incolto, civiltà e barbarie che oggi però è compromessa e inservibile non per la presenza del vuoto costituito da uno spazio ancora selvatico ma per l’espansione incontrollabile di uno spazio inselvatichito che corrisponde all’effettiva situazione delle nostre società europee (ma non solo), trasformate in agglomerati largamente multietnici e multiculturali dalla massiccia immigrazione che ne ha alterato profondamente l’aspetto, la forma e la modalità di esistenza collettiva. Il Mediterraneo infatti è diventato la porta della speranza di centinaia di migliaia di disperati in fuga da un’esistenza impossibile o miserrima: non si tratta di profughi del vecchio tipo ma di forzati della storia sospinti su un itinerario sempre difficile, talvolta disperato. Niente di nuovo, in realtà: piuttosto un cronico fenomeno di capillarità, di osmosi, che ha impregnato il mondo più ricco di risorse di elementi estranei per origine, giunti oggi alla terza generazione senza, in molti casi, essersi davvero integrati. Di tutto questo è urgente occuparsi, anche provando a dar voce e a favorire le componenti più aperte e avanzate di società chiuse e in realtà difficili, per costruire le condizioni affinché possa prodursi una specie di discorso. Può l’arte assolvere a un compito così delicato? Forse no: l’arte come strumento politico sembra un’arma spuntata, benché alcuni mostrino volenterosamente di essere convinti del contrario; e per la cronaca spicciola dei fatti in corso il giornalismo, anche quello prezzolato, scandalistico e ideologico, è senz’altro più funzionale della letteratura. Però le immagini, soprattutto le immagini televisive ma virtualmente tutte le immagini, fanno il mondo. Gli uomini trasformati in utenti di immagini hanno imparato a usare «la loro esperienza del mondo per orientarsi entro il mondo immaginario, anziché la loro esperienza delle immagini per orientarsi nel mondo», sostiene un interessante studioso della comunicazione e della cultura come Vilem Flusser. Ecco quindi la responsabilità di chi fa immagine, grande potenza dell’immaginario forse addirittura più forte del linguaggio e della coscienza discorsiva, magia, come la chiama Flusser, che trionfa sulla storia. Anche il Mediterraneo con le sue porte interne e le sue uscite virtuali non assomiglia più affatto al mondo post-coloniale che solleva finalmente la testa liberata dal giogo e ritrova l’orgoglio di un’espressione propria; è un universo globalizzato, disseminato di antenne paraboliche, satellitari e coperture wireless, un universo permeato da messaggi, occasioni, seduzioni. La distanza geografica, o meglio le barriere geografiche, sono inconsistenti rispetto al flusso irrefrenabile dei segnali digitali; e persino in paesi oscurati da tendoni di censura filtrano informazioni e messaggi. E forse l’arte, le arti,sono uno dei pochissimi linguaggi in grado di cimentarsi con questa nuova condizione operativa, per non appiattirsi sulla visione dei media (vera e propria malattia della comunicazione e dell’immaginario) ma continuare a «leggere qualunque situazione umana sotto diversi punti di vista», come dice David Grossman. Preziose, dunque, le esperienze di sguardi e la possibilità di rendere visibili, per restare nella metafora, gli occhi che vedono. Non è poco, comunque non è scontato. Gli artisti invitati a confrontarsi con l’idea di “porte del Mediterraneo” si sono dati il non facile compito di indagare questa condizione di sospensione, la provvisorietà permanente, i rapporti e gli incontri sullo sfondo di lunghissime storie e di profondissime diversità quali quelle che abitano le rive di questo mare e che si pongono come inevitabili termini di riferimento. Molti di loro compartecipano e condividono questa condizione che si potrebbe chiamare semplicemente sospesa e si sono trovati intorno o addosso almeno alcuni degli aspetti di cui si è provato ad accennare: per esempio la condizione di irrequieti pendolari fra legioni di provenienza e quelle di residenza. Sul loro cammino si profilano ostacoli diversi dal passato: non la censura, no, e non la persecuzione, almeno non in questo Occidente dove molti scelgono di vivere, ma piuttosto l’apatia, l’indifferenza, un avvolgente e sfuggente eccesso di complessità, in cui sembrano brillare soltanto le boutades, le provocazioni e le quotazioni di mercato. Eppure sono loro, ancora loro che possono produrre nuove possibilità di mondo, laddove il mondo comune è comunque limitato a significati prestabiliti e ripetuti in maniera indefinita, come dice il filosofo francese Jean Luc Nancy. Siamo ancora ostinatamente convinti del valore di queste possibilità di mondo.
* Critica d’arte, curatrice della mostra Le porte del Mediterraneo
A sud dell’emisfero creativo: uno sguardo sul panorama siciliano
L’ISOLA NELLA CORRENTE
di Anita Tania Giuga
Riassumere lo spirito mediterraneo attraverso lo sguardo dell’ospite. Mi chiedo cosa veda Jenny Saville dal suo palazzo palermitano adiacente il mercato di Ballarò, tra immondizia e luce, tra passato e futuro impossibile persino nella grammatica dialettale che non contempla il domani. I contatti e le residenze tra gli artisti europei, vale a dire quelli dell’Unione e i loro corrispettivi siciliani, non sono supportati da una politica dell’autonomia che favorisca la diffusione dei linguaggi locali e ne tuteli le difficoltà. Catania presenta numerose iniziative sommerse, ma è altrettanto vero che il genius loci lega gli artisti alla terra come falene alla lampada. Si aggiunga un certo rinunciatorismo da coloni, nonché la difficoltà geografica a toccare l’Europa, nonostante l’intervento dei voli low cost. Non esiste un collezionismo manifesto e il sistema fiscale pone gli artisti in gravi difficoltà per il carattere irregolare dei loro redditi. Si dovrebbero esaminare le ripercussioni delle norme nazionali in materia, considerato il bisogno di sopprimere le barriere giuridiche che ostacolano istituzioni e fondazioni desiderose di operare su vasta scala. Abbandonata a un mercato instabile e selvaggio, l’iniziativa è dovuta per lo più all’ingerenza mecenatizia e all’intraprendenza individuale. Malgrado ciò, resta enorme la distonia rispetto all’accelerazione mondializzata e non basta la nascita del Darc (dipartimento per l’arte e l’architettura contemporanea del governo regionale) a porre rimedio a un gap sempre più profondo. La mancanza di “educazione allo sguardo” rende improvvisata l’atmosfera alla quale l’artista rischia di contribuire in modo velleitario. È consuetudine diffusa imbattersi in professionisti della cultura che non hanno mai assistito a un vernissage. Lungi dal contemplare l’arte contemporanea fra le chiavi di registro della loro preparazione. I nostri residenti sono talenti “periferici” nel sistema delle arti: Arturo Patané, Turi Simeti, Pietro Roccasalva e altri si sono infatti naturalizzati nell’altrove. Donchisciottesca anche l’urgenza di doppiare baronati e burocrazie mummificate sulla retorica dell’ornato, proponendo una moderna chiave di lettura sulle potenzialità economiche del microcosmo artistico. Non bastano le episodiche iniziative di mostre ed esibizioni, è necessario un tessuto connettivo stabile e ben articolato per sdoganare la misteriosa intimità a sud dell’emisfero creativo.
LA MOSTRA/1
Mitologie del Mediterraneo
Le avanguardie italiane e il mondo classico: reinvenzioni di modelli che riecheggiano la risposta alla crisi degli anni ‘20 e ‘30. Dalla ripresa della mitologia di Giorgio De Chirico e Alberto Savinio al primitivismo di Lucio Fontana, Mediterraneo. Mitologie della figura nell’arte italiana tra le due guerre, a cura di Sergio Troisi, presenta oltre 70 opere e 5 temi: enigma, origine, attesa, sospensione, disagio. Tra gli artisti Mario Sironi, Carlo Carrà e Corrado Cagli. Catalogo edito da Sellerio. Dal 13 luglio al 5 ottobre, convento del Carmine, piazza Carmine, Marsala. Info:0923711631; www.pinacotecamarsala.it.
LA MOSTRA/2
Le porte del Mediterraneo
Mediterraneo, porta aperta a migranti e perseguitati, chiusa in nome della differenza economica, religiosa, etnica. Più che spazio geografico,metafora delle relazioni umane e sociali. Questo il filo conduttore della mostra curata da Martina Corgnati, a Rivoli fino al 28 settembre, articolata in una sezione storica e una contemporanea. La prima, Viaggiatori e artisti piemontesi alla scoperta del Mare nostrum, presenta dipinti, incisioni, disegni e fotografie che raccontano le relazioni tra Piemonte e Mediterraneo, crocevia che ha ispirato artisti come Antonio Test, e Giulio Viotti. Casa del Conte Verde, via fratelli Piol 8. La seconda, Rotte dell’arte contemporanea, espone lavori di artisti (tra cui TsibiGeva e Armin Linke) che hanno fatto del Mediterraneo la loro vocazione. Catalogo edito da Skira. Palazzo Piozzo, via Gallo 1. Info: 800329329;www.torinocultura.it.
LA MOSTRA/3
Save as... Arte contemporanea dalla Turchia
Per la prima volta in Italia una collettiva dedicata all’arte contemporanea turca, per dare visibilità a una cultura emergente e rendere omaggio al paese che ha concorso con l’Italia all’assegnazione dell’Expo 2015. Il progetto, a cura di Derya Yücel, è realizzato da Santralistanbul (Centro per l’arte contemporanea di Istanbul Bilgi University) in collaborazione con la Triennale di Milano: uno spaccato di tendenze al di là di univoche identificazioni tra arte e spazio. In mostra Nil Yalter, Canan Senol, Ayse Erkmen. Catalogo Triennale Electa. Fino al 7 settembre, Triennale Bovisa, via Lambruschini 31, Milano. Info: www.triennale.it